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La Suprema Corte, con la recente sentenza n. 3447/12, è stata investita di una quaestio iuris ancora dibattuta in dottrina e giurisprudenza, cioè quella relativa alla risarcibilità del danno alla capacità lavorativa futura per i disoccupati.

Il caso in questione riguardava un sinistro stradale e nei precedenti gradi di giudizio gli attori non erano riusciti a ottenere il ristoro di tale voce di danno, per cui decidevano di proporre ricorso in Cassazione.

Gli Ermellini, invece, hanno ribaltato la sentenza impugnata, ritenendola fondata sia dal punto di vista fattuale che normativo.

Le due CTU predisposte, infatti, avevano confermato che il grado di invalidità permanente aveva inciso ai fini dell’attività lavorativa, per cui i giudici di merito avrebbero dovuto procedere alla quantificazione del suddetto danno, secondo i parametri legislativi di cui all’art. 4 della L. 39 del 1977.

Nello specifico la Suprema Corte ha precisato che “In tema di determinazione del reddito da considerare ai fini del risarcimento del danno per invalidità permanente, l’art. 4 del D.L. n. 857 del 1976, convertito in legge n. 39 del 1977 – dopo aver indicato (primo comma) i criteri da adottarsi con riguardo ai casi di lavoro, rispettivamente, autonomo e subordinato -, allorché stabilisce (terzo comma) che “in tutti gli altri casi” il reddito da considerare ai suddetti fini non può essere inferiore a tre volte l’ammontare annuo della pensione sociale, ricomprende in tale ultima previsione non solo l’ipotesi in cui l’invalidità permanente ed il conseguente danno futuro siano stati riportati da soggetti che non siano lavoratori autonomi o dipendenti, ma anche quella, più generale, in cui il danno futuro incida su soggetti attualmente privi di reddito, ma potenzialmente idonei a produrlo (Cass., 26 settembre 2000, n. 12764)”.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 17 gennaio – 6 marzo 2012, n. 3447

(Presidente Petti – Relatore D’amico)

Svolgimento del processo

D.M.R.P., in qualità di trasportata e i coniugi Gi.Pi. e G.D.P. nella qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore Pi.Fa., conducente di un ciclomotore, nonché Pi.Gi. in proprio, quale proprietario dello stesso ciclomotore, convennero in giudizio la N. T. Assicurazioni s.p.a. e Z.A. al fine di ottenere il risarcimento sia dei danni alla persona in favore della conducente, sia dei danni subiti dalla terza trasportata, sia dei danni al mezzo.

Il Tribunale di Enna accoglieva la richiesta di risarcimento danni da sinistro stradale proposta da Gi..Pi. in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà unitamente a D.P.G., anch’essa attrice, della minore Pi.Fa., nonché la richiesta risarcitoria, per i medesimi fatti, di P.D.M.R., richieste operate contro Z.A. e la N. T. Assicurazioni s.p.a. Condannava questi ultimi convenuti in solido, al pagamento in favore di P.D.M.R. della somma di Euro 103.740,57, oltre accessori e della somma di Euro 1.494,12 in favore di Fa.Pi., oltre accessori. Condannava altresì i genitori esercenti la potestà sulla minore Fa.Pi. e la società assicuratrice U. Assicurazioni al pagamento in favore di A.Z. della somma di Euro 70,28.

Il suddetto Tribunale, applicando il principio di cui all’art. 2054, 2 comma, c.c., riteneva la presunzione di responsabilità di entrambi i veicoli coinvolti e poiché la richiesta di risarcimento della P. era stata indirizzata solo nei confronti dello Z. e della sua società assicuratrice (N. T. Assicurazioni), in virtù del principio di responsabilità solidale tra coobbligati, condannava questi ultimi al pagamento dell’intero danno risarcibile nei confronti della P., mentre liquidava al cinquanta per cento il risarcimento chiesto da F.P., corresponsabile nella verificazione dell’evento dannoso, ulteriormente ridotto di un altro cinquanta per cento per il concorso di colpa di quest’ultima che non indossava il casco al momento dell’incidente.

Proponeva appello D.M.P. chiedendo la maggiore liquidazione dei danni, ivi compreso il danno esistenziale.

La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Enna, determinava il danno subito da P.D.M. in Euro 86.497,76, oltre interessi.

Condannava la predetta P. a restituire alla C.S.T. s.p.a., già N. T. Assicurazioni s.p.a., la maggiore somma ricevuta in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre accessori.

In accoglimento della domanda di regresso, proposta dalla C.S.T. nei confronti degli altri coautori del danno, condannava Pi.Fa., Gi.Pi. e la U. Assicurazioni s.p.a. al pagamento della metà della somma suddetta, comprensiva di interessi legali in favore della suddetta C.S.T.

Propone ricorso per cassazione D.M.R.P. con sei motivi.

Resiste con controricorso G. Assicurazioni s.p.a., già N. T. s.p.a.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso P.D.M.R. denuncia “insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza con conseguente violazione dell’art. 360 n. 5, c.p.c. e dell’art. 115 comma 1 c.p.c. in riferimento alla dinamica del sinistro”.

Secondo parte ricorrente l’impugnata sentenza ha erroneamente ricostruito la dinamica del sinistro ed è affetta da vizi logici, specie nella parte ove afferma la responsabilità del terzo trasportato.

Il motivo deve essere rigettato.

Esso propone infatti una diversa ricostruzione della dinamica del sinistro e si incentra quindi su profili di merito.

In particolare lamenta difetti di motivazione solo perché il Giudice ha deciso la controversia in modo difforme rispetto alle aspettative della ricorrente.

Si deve peraltro rilevare che qualora la messa in circolazione dell’autoveicolo in condizioni di insicurezza (e tale è la circolazione di un ciclomotore con a bordo due persone in violazione dell’articolo 170 del codice della strada), sia ricollegabile all’azione o omissione non solo del trasportato, ma anche del conducente (che prima di iniziare o proseguire la marcia deve controllare che essa avvenga in conformità delle normali norme di prudenza e sicurezza), fra costoro si è formato il consenso alla circolazione medesima con consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta colposa dell’altro ed accettazione dei relativi rischi; pertanto, in caso di eventi dannosi si verifica un’ipotesi di cooperazione nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell’azione produttiva dell’evento (diversa da quella in cui distinti fatti colposi convergano autonomamente nella produzione dell’evento) (Cass., 22 maggio 2006, n. 11947).

Nel caso in esame è da ritenere giustificata l’attribuzione della responsabilità alla trasportata sia per le ragioni di cui sopra, sia in quanto la stessa non indossava il casco protettivo.

Con il secondo motivo si denuncia: “Omessa pronuncia in ordine al motivo di gravame relativo al quantum del danno morale con conseguente violazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c. e dell’art. 112 dello stesso codice di rito”.

Secondo parte ricorrente la Corte ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta di rideterminazione del danno morale in misura di un mezzo del danno biologico anziché in misura di un quarto come stabilito dal Tribunale.

Il motivo è inammissibile in quanto si denuncia omessa pronuncia mentre la Corte si è pronunciata sul punto confermando la liquidazione operata dal giudice di primo grado. Piuttosto si sarebbe dovuto denunciare violazione di legge.

Con il terzo motivo si denuncia “Omessa pronuncia in ordine all’errato calcolo degli interessi e della rivalutazione monetaria con conseguente violazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c. e dell’art. 112 dello stesso codice di rito”.

Sostiene parte ricorrente di aver fatto rilevare che il Tribunale aveva errato nella determinazione della misura degli interessi legali e della rivalutazione monetaria dovuti dalla società assicuratrice. Per tale ragione la P. aveva chiesto alla Corte d’Appello di riformare la sentenza di primo grado e di liquidare gli interessi legali e la rivalutazione monetaria nella misura dovuta. Poiché la Corte d’appello ha omesso di pronunciarsi in ordine a tale domanda, si afferma, ricorre un error in procedendo con conseguente violazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c.

Il motivo deve ritenersi infondato.

L’impugnata sentenza affronta infatti il tema degli interessi e della rivalutazione attenendosi ai criteri stabiliti dalle sezioni unite di questa Corte nella pronuncia n. 1712/1995 la quale ha statuito che la somma dovuta va devalutata alla data dell’evento e rivalutata anno per anno sino al soddisfo, calcolandosi sulla stessa gli interessi, anno per anno.

Per il danno patrimoniale la Corte d’Appello ha stabilito che vanno calcolati gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dal 1996 al soddisfo.

Con il quarto motivo parte ricorrente lamenta “Omessa o insufficiente e/o contraddittoria valutazione delle risultanze processuali con conseguente violazione dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., dell’art. 115 comma 1 c.p.c. e del comma 3 dell’art. 4 della legge n. 39 del 1977 tenuto conto che non è stato preso in considerazione il contenuto delle due CC.TT.UU. medico legali laddove si afferma che il grado di invalidità permanente ha inciso ai fini dell’attività lavorativa”.

Parte ricorrente critica la Corte d’Appello per aver rigettato la domanda relativa al risarcimento per la diminuzione dell’attività lavorativa futura subita in seguito all’invalidità permanente e sostiene che detta Corte ha errato nel ritenere la domanda non provata.

In particolare, prosegue la P. , se la Corte avesse preso in considerazione il contenuto delle due cc.tt.uu. medico legali avrebbe dovuto liquidare anche il danno patrimoniale da invalidità permanente relativo all’attività lavorativa futura anche applicando il parametro di cui al comma 3 dell’art. 4 della l. n. 39 del 1977.

Il motivo deve essere accolto.

In tema di determinazione del reddito da considerare ai fini del risarcimento del danno per invalidità permanente, l’art. 4 del D.L. n. 857 del 1976, convertito in legge n. 39 del 1977 – dopo aver indicato (primo comma) i criteri da adottarsi con riguardo ai casi di lavoro, rispettivamente, autonomo e subordinato -, allorché stabilisce (terzo comma) che “in tutti gli altri casi” il reddito da considerare ai suddetti fini non può essere inferiore a tre volte l’ammontare annuo della pensione sociale, ricomprende in tale ultima previsione non solo l’ipotesi in cui l’invalidità permanente ed il conseguente danno futuro siano stati riportati da soggetti che non siano lavoratori autonomi o dipendenti, ma anche quella, più generale, in cui il danno futuro incida su soggetti attualmente privi di reddito, ma potenzialmente idonei a produrlo (Cass., 26 settembre 2000, n. 12764).

L’impugnata sentenza non ha motivato in ordine all’esclusione del risarcimento del danno futuro, né ha tenuto conto delle consulenze tecniche del Dott. F., secondo la quale la danneggiata ha riportato un grado di invalidità permanente, sotto l’aspetto lavorativo, nella misura del 50% e del Dott. R. secondo la quale appare indubitabile un riverbero di grado lieve del complesso invalidante sulle capacità attitudinali della danneggiata.

Con il quinto motivo si denuncia “Insufficiente motivazione rispetto alle doglianze mosse nell’atto d’appello avverso le CC.TT.UU. medico legali con conseguente violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. e dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c.”.

Sostiene parte ricorrente che la Corte d’Appello non ha adeguatamente motivato la risposta alle doglianze mosse alla sentenza di primo grado, fornendo una motivazione generica e superficiale.

Il giudice di merito, prosegue parte ricorrente, nonostante i rilievi mossi nell’atto d’appello da parte della P. in ordine al contenuto delle due cc.tt.uu., ha espresso una motivazione insufficiente e non ha esaminato i rilievi mossi alle stesse cc.tt.uu.

La Corte di merito, secondo la P., avrebbe dovuto fornire idonea motivazione soprattutto in ordine alla mancata applicazione delle tabelle medico legali richiamate dalla stessa ricorrente, considerato che nei casi di “disturbo post traumatico grave” è previsto un grado di invalidità compreso fra il 30% ed il 60%.

Il motivo deve essere accolto.

L’impugnata sentenza infatti non ha adeguatamente motivato in ordine ai rilievi mossi nell’atto di appello da parte della P. sul contenuto delle due cc.tt.uu., non ha indicato quale tabella medico-legale sia stata applicata in relazione alla patologia riscontrata, non ha disposto il rinnovo delle stesse cc.tt.uu. nonostante queste ultime fossero in parziale contraddizione.

La Corte non indica inoltre le ragioni della riduzione dal 60% al 26% della percentuale di invalidità.

Con il sesto ed ultimo motivo parte ricorrente denuncia “Insufficiente motivazione e violazione o falsa applicazione di norme di diritto con conseguente violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., 132 n. 4 c.p.c. ed art. 118 disp. att. c.p.c.”.

L’accoglimento del quarto e del quinto motivo comporta l’assorbimento del sesto.

In conclusione, devono essere accolti il quarto e quinto motivo del ricorso, assorbito il sesto, rigettati gli altri con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvio alla Corte d’Appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto e quinto motivo del ricorso; dichiara assorbito il sesto; rigetta gli altri, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvio alla Corte d’Appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

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