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La giurisprudenza di legittimità, di recente, ha avuto modo di pronunciarsi più volte in materia di revoca di donazione per ingratitudine. In questo articolo cercheremo, seppur brevemente, di delineare i tratti principali dell’istituto, con occhio vigile alle recenti pronunce della Cassazione.

In primo luogo, è necessario richiamare il disposto dell’art. 801 c.c., secondo cui la domanda di revocazione per ingratitudine non può essere proposta che quando il donatario ha commesso uno dei fatti previsti dai numeri 1, 2 e 3 dell’ articolo 463, ovvero si è reso colpevole d’ ingiuria grave verso il donante o ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio di lui o gli ha rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti ai sensi degli articoli 433, 435 e 436.

La dottrina discute sul fondamento dell’istituto: un primo orientamento ritiene che si tratti di un meccanismo del tutto analogo a quello della presupposizione (cfr. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002, ed. IX, ristampa, 194, il quale afferma che “Vi sono bensì dei casi, in cui, per le circostanze, la legge stessa, con una sua valutazione tipica, considera il negozio subordinato a una determinata situazione di fatto, e perciò ne prevede la risoluzione o revocazione, quando quella situazione si appalesi inesistente o cessi di esistere”. In senso conforme anche SCOGNAMIGLIO F., La revocazione delle donazioni, in Trattato breve delle successioni e donazioni, diretto da Rescigno, coordinato da Ieva, vol. II, Padova, 2010, 565.), un secondo orientamento, invece, ritiene che si tratti di un’ipotesi d’inefficacia sopravvenuta collegata ad una sorta di diritto potestativo di ripensamento (cfr. ASCOLI, Trattato delle donazioni, Milano, 1935, 319, e ROMANO, La revoca degli atti giuridici privati, Padova, 1935, 197, che parlano di jus poenitendi del donante).

Per quanto qui interessa, è necessario rilevare che la revoca ex art. 801 c.c. può essere azionata solo nelle ipotesi tassativamente previste dal Codice.

Ciò premesso, appare interessante sottolineare come, a livello applicativo, la giurisprudenza di legittimità si sia, in particolare, interessata della causa di revocazione costituita dall’ingiuria grave verso il donante.

Di recente, confermando una posizione costante e condivisa anche dalla dottrina, la Cassazione ha affermato che costituisce ingiuria grave qualsiasi atto o comportamento del donatario, idoneo a ledere in maniera rilevante il patrimonio morale del donante, perché espressione di una radicata e profonda avversione verso di lui (Cass. Civ. 7487 del 2011, in cui è stato escluso il ricorrere dell’ingratitudine della donataria che, a fronte della sopravvenuta intollerabilità della convivenza tra i suoi genitori e nella pendenza del giudizio di separazione personale con addebito instaurato dalla madre, aveva invitato il padre, con una lettera formale, a lasciare l’immobile di sua proprietà, acquistato con il denaro ricevuto dalla donazione paterna e materna, destinato a casa familiare).

Da ciò si desume, all’evidenza, che il concetto di ingiuria grave fatto proprio dall’art. 801 c.c., prescinde dallo schema applicativo del delitto di ingiuria ex art. 594 c.p e si configura come una categoria ben più ampia di quella penalistica. Va, inoltre, precisato che per l’azione ex art. 801 c.c., non si richiede che sussistano i presupposti giuridici per l’avvio dell’iniziativa penale.

Con riferimento alle fattispecie applicative, in Cass. Civ. n. 23545 del 10 novembre 2011 è stato escluso che il rifiuto del donatario di prestare assistenza al donante, che versava in stato di abbandono morale, potesse integrare un “ingiuria grave” ex art. 801 c.c., sul presupposto che ciò non costituirebbe una lesione rilevante del patrimonio morale di quest’ultimo. In particolare, si specifica che l’obbligo di assistenza morale e materiale del donante da parte del donatario non è previsto da nessuna norma positiva. Un argomento a favore della tesi opposta avrebbe potuto desumersi dall’art. 437 c.c., che prevede un obbligo “alimentare” in capo al donatario nei confronti del donante, ma secondo la Cassazione, il mancato rispetto dell’obbligo alimentare, in difetto di un espresso richiamo dell’art. 437 c.c. da parte dell’art. 801 c.c. (che, infatti, rinvia unicamente agli artt. 433, 435 e 436), assume rilievo solo nel caso di persona già obbligata a prestarli in virtù di un rapporto di parentela o affinità con il donante.

In Cass. Civ. n. 22936 del 4 novembre 2011, invece, si è ritenuto integrato il presupposto dell”ingiuria grave” nel caso di una donna che aveva tradito e poi abbandonato il marito. Per quanto qui interessa, i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato che la relazione

adulterina aveva assunto il carattere dell’abbandono, essendo stato il marito lasciato in difficoltà e bisognoso di assistenza, mentre la moglie sarebbe stata economicamente in grado di soccorrerlo.

Da ciò non potrebbe, tuttavia, desumersi che l’infedeltà coniugale possa sic et simpliciter rilevare ai fini della revoca, bensì che l’infedeltà, laddove attuata con modalità oggettivamente lesive del patrimonio morale del donante potrebbe costituire un’ingiuria grave rilevante ex art. 801 c.c. Ciò sembra avvalorato da Cass. Civ., n. 14093 del 2008 in cui sono stati ravvisati gli estremi dell’ingiuria grave nella condotta della moglie che aveva intrattenuto per lungo tempo una relazione extraconiugale con modalità oggettivamente menzognere ed irriguardose nei confronti del coniuge, sfociata nell’abbandono della famiglia nonostante la presenza di figli, con ciò rivelando un sentimento di avversione che manifesta tale ingratitudine verso colui che ha beneficiato l’agente, ripugnante per la coscienza comune.

Dalle pronunce sopra richiamate si evince come la revoca della donazione per “ingiuria grave” sia sostanzialmente legata alla sussistenza di una lesione grave del patrimonio morale del donante che dovrà, necessariamente, essere ravvisata caso per caso dall’organo giudicante.

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