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La High Court dell’Inghilterra e Galles ha stabilito che l’utilizzo da parte della famosa catena di magazzini inglese Marks & Spencer del marchio INTERFLORA (rispetto al quale quest’ultima aveva acquistato spazi pubblicitari da AdWords di Google, al fine di pubblicizzare il proprio servizio di consegna fiori) costituisce contraffazione.

In sintesi, la High Court ha stabilito che

… le pubblicità di M & S oggetto di contestazione non consentono agli utenti internet informati e ragionevolmente attenti di verificare, oppure glielo consentono con molta difficoltà, se il servizio pubblicizzato abbia avuto origine dal titolare del marchio [Interflora], o da un’impresa ad esso collegata, o abbia avuto origine da un terzo.

La High Court era dell’avviso che una percentuale significativa di consumatori che cercavano la parola INTERFLORA e poi cliccavano sull’annuncio di M & S sarebbero stati indotti a credere che il servizio di consegna fiori M & S fosse stato parte della rete Interflora.

La High Court ha ritenuto, pertanto, che l’utilizzo da parte di Marks & Spencer del marchio INTERFLORA avrebbe avuto un effetto negativo sulla funzione di tale marchio quale indicazione di origine, violando, di conseguenza, i diritti di Interflora, secondo quanto previsto dagli artt. 5 (1) (a) e 5 (2) della Direttiva 89/104/CE e dall’art. 9 (1) (a) del Regolamento (CE) 207/2009.

Il nocciolo della questione (e di tutti i casi di violazione del marchio) è cosa è esattamente il consumatore medio. La High Court ha statuito, in proposito, che tale consumatore non è particolarmente dotato da un punto di vista tecnica, non possiede conoscenze specifiche di come funziona AdWords e non ha consapevolezza delle questioni giuridiche in afferenti alla confondibilità dei marchi.

Secondo la High Court, i seguenti fattori devono essere presi in considerazione ai fini della valutazione del rischio di confusione:

1. la funzione di indicazione di origine di un marchio (cioè l’identificazione della fonte di provenienza di beni e servizi in base al marchio che li contraddistingue) è stato pregiudicata dall’utilizzo da parte di M&S della pubblicità oggetto di contestazione (che, nel caso d specie, consisteva nell’apparizione – nel momento in cui gli utenti, in sede di ricerca google, digitavano il fonema INTERFLORA – di annunci che promuovevano il servizio di consegna fiori della convenuta), il quale non ha consentito agli utenti internet informati e ragionevolmente attenti di sapere (o glielo ha permesso con difficoltà) se i prodotti o i servizi pubblicizzati originassero dal titolare del marchio azionato (o da un’impresa ad esso collegata) oppure da un’impresa terza;

2. sussisterebbe un rischio di confusione tra il marchio azionato e quello oggetto di contestazione laddove la pubblicità fosse idonea a creare, in una parte significativa dei consumatori facenti parte del mercato di riferimento (ovvero utenti informati e ragionevolmente attenti), il falso convincimento che esistesse un collegamento tra i prodotti o servizi pubblicizzati (nel caso ci specie i servizi di consegna fiori di M & S) e la rete di consegna di fiori della titolare del marchio azionato (rispetto alla quale la pubblicità di M & S non ha fatto nulla per rendere edotti gli utenti che le società in questione non erano in alcun modo collegate l’una con l’altra).

3. molti utenti internet del Regno Unito non erano in grado di apprezzare la distinzione tra i risultati di ricerca ordinari e le pubblicità a pagamento che apparivano contestualmente alla comparizione dei risultati di ricerca di Google (a differenza ddi risultati di ricerca ordinari, gli inserzionisti pagano affinché gli annunci pubblicitari appaiano insieme con i risultati dei motori di ricerca relativi a parole chiave di loro interesse).

Il caso Interflora è anche il primo caso inglese in cui sono state applicate le linee guida della Corte Europea di Giustizia relative alla funzione di investimento svolta dai marchi d’impresa (la quale viene pregiudicata dall’uso altrui del marchio azionato, idoneo a diluire la reputazione del marchio e compromettere la sua stessa esistenza), interpretandole  nel senso che – nel caso in cui la fonte di provenienza della parola chiave pubblicizzata non è chiara – l’immagine del marchio viene danneggiata, danneggiando altresì le funzioni svolte dal marchio di indicare la fonte di provenienza e di proteggere gli investimenti effettuati dall’impresa di origine.

La High Court ha concluso, nel caso di specie, che:

1. utenti internet ragionevolmente ben informati e attenti non potevano essere stati consapevoli, all’epoca in cui sono avvenuti i fatti de quibus (ovvero nel maggio 2008) che il servizio di consegna fiori M & S non faceva parte della rete Interflora, ma era in concorrenza con quest’ultima (M & S  non aveva reso edotti gli utenti internet di quest’ultima circostanza);

2. il fatto che la rete Interflora permetteva ai propri membri di condurre le loro attività commerciali con i propri brand e aveva stipulato accordi commerciali con diverse grandi catene di distribuzione, rendendo ancora più plausibile la convinzione dei consumatori che ci fosse un collegamento tra il servizio di consegna fiori di M & S e la rete Interflora.

La High Court ha stabilito, pertanto, che Marks & Spencer aveva violato il marchio INTERFLORA, pregiudicando il carattere distintivo e la reputazione di quest’ultimo.

M & S potrà presentare ricorso avverso la decisione della High Court. Un’udienza successiva determinerà, viceversa. il quantum dei danni che M & S dovrà rifondere all’attrice.

La sentenza qui commentata potrebbe portare alla proposizione di ulteriori azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’inserimento di pubblicità di imprese concorrenti sopra i risultati di ricerca della società attrice.

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