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Con sentenza del 26 settembre 2013, la III Sezione Civile del Tribunale di Verona si è occupata della risarcibilità del cd. danno non patrimoniale alla libertà sessuale in favore del convivente more uxorio.

Il caso. La Sig.ra X era stata sottoposta ad un intervento chirurgico al proprio apparato genitale, il quale aveva causato delle lesioni tali da compromettere la propria vita sessuale.

Per tale ragione, anche il compagno decideva di chiedere il risarcimento danni per la lesione del proprio diritto alla libertà sessuale.

Quaestio iuris. Ciò premesso, il Tribunale di Verona si è posto i seguenti interrogativi:

– se il diritto alla vita sessuale assurga al rango di posizione giuridica costituzionalmente tutelata all’interno del rapporto coniugale e, una volta che si arrivasse ad una soluzione affermativa

– se la stessa sia estensibile anche al rapporto di convivenza more uxorio.

Prima di analizzare le suddette questioni di diritto, il Giudice ha ritenuto opportuno precisare come “Il bene giuridicamente protetto però non è costituito dal “diritto reciproco di ciascun coniuge ai rapporti sessuali con l’altro coniuge”, secondo quanto affermato in una pronuncia risalente dalla Suprema Corte (Cass. 11 novembre 2006 n. 8976), quanto piuttosto la libertà sessuale dell’individuo (in tali termini cfr. Trib. Napoli, sez. II, 13 aprile 2007 n. 3996)”.

Entrando, poi, nel merito della questione, il Giudicante ha, in primo luogo, correttamente evidenziato come “anche il coniuge che non è stato direttamente leso nella propria integrità fisica subisce un pregiudizio alla propria libertà sessuale in conseguenza della impossibilità o difficoltà ad intrattenere rapporti sessuali con il partner. E’ evidente infatti che la compromissione o limitazione del diritto alla libertà sessuale di uno dei coniugi produce un identico effetto sul corrispondente diritto dell’altro coniuge. I diritti dei due partner sono tra loro interdipendenti anche perchè possono essere esercitati, quale espressione del legame affettivo esistente tra i coniugi, esclusivamente nell’ambito del rapporto di coniugio, stante il dovere di fedeltà sancito dall’art. 143 comma 2 c.c.”.

Tale principio, a parere del Tribunale, può essere applicato, tramite un procedimento di interpretazione estensiva, anche al convivente more uxorio.

La Giurisprudenza di legittimità (cfr. sentenza n. 9801 del 2005), infatti, ha avuto modo di rilevare come i doveri derivanti dal matrimonio non possano non riflettersi anche sui rapporti tra le parti nella fase precedente il matrimonio, “imponendo loro, pur in mancanza, allo stato, di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva della costituzione di tale vincolo, un obbligo di lealtà, di correttezza e di solidarietà”.

Proseguendo su questa linea interpretativa estensiva, il passaggio successivo porta alla conclusione per cui anche all’interno di una unione di fatto, che abbia caratteristiche di serietà e stabilità, sia possibile configurare i diritti e gli obblighi mutuati dal matrimonio.

Così il Tribunale: “Se quindi anche dal rapporto di convivenza derivano obblighi analoghi a quelli derivanti dal matrimonio, tra i quali non si vede perchè non possa essere incluso quello di fedeltà, è agevole comprendere come anche il convivente di colui che abbia subito una lesione agli organi sessuali, comportante una significativa limitazione della propria vita sessuale, possa patire questa stessa conseguenza”.

Tribunale di Verona

Sezione III Civile

Sentenza 26 settembre 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale di Verona

Sezione III Civile

Il Tribunale, in persona del Giudice Unico Massimo Vaccari

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al N. 8869/2011 R.G. promossa da:

N. S. (C.F.****) rappresentato e difesa dall’avv. SILVIO SCOLA presso il cui studio sito in Verona via Foroni 1 è elettivamente domiciliato;

ATTORE

contro

OSPEDALE SACRO CUORE DI NEGRAR DON CALABRIA, (C.F. 00280090234) rappresentato e difeso dagli avv.ti RICCARDO CONTERNO del foro di Genova e MASSIMILIANO BERTANZA del foro di Verona ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo sito in VIA SAFFI 1 37123 VERONA;

CONVENUTO

CONCLUSIONI

PARTE ATTRICE

Sia nel merito che in via istruttoria come da verbale di udienza del 4 aprile 2013

PARTE CONVENUTA

Nel merito come da comparsa di costituzione e risposta

In via istruttoria come da memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c

MOTIVI DELLA DECISIONE

S. N. ha convenuto in giudizio davanti a questo Tribunale l’ospedale classificato Sacro Cuore – Don Calabria (d’ora innanzi per brevità ospedale Sacro Cuore) per sentirlo condannare a rifondergli tutti i danni che ha assunto di aver subito a seguito della impossibilità di aver rapporti sessuali con la propria compagna Agnese S. con la quale conviveva more uxorio dall’anno 2004.

Per meglio dar conto delle ragioni della propria domanda l’attore ha dedotto che:

– la S. era stata sottoposta ad un intervento di isteroannessiectomia presso la divisione ostetrico ginecologica del nosocomio sopra citata il 12 giugno 2006, a seguito del quale le erano state diagnosticate una fistola vescico-vaginale destra e una uretero-vaginale sinistra;

– al fine di riparare tali lesioni la donna nel settembre 2006 era stata sottoposta ad un primo intervento chirurgico di riparazione della fistola vescico-vaginale e ad un secondo intervento nell’ottobre dello stesso anno per la chiusura della fistola uretero vaginale destra mediante applicazione di uno stent ma questo secondo intervento non aveva avuto successo e il 15 novembre 2006 si era dovuto procedere al posizionamento di un foley che era stato definitivamente rimosso solo in data 9 febbraio 2007;

– la ct di parte che era stata svolta sulla persona della S. aveva accertato che le due fistole erano state provocate dal primo intervento chirurgico e dovevano quindi ascriversi a negligenza o imperizia degli operanti;

– tale responsabilità era stata riconosciuta da controparte che aveva risarcito la S. con la somma di euro 55.000,00 comprensiva di spese legali.

A seguito di quanto occorso alla S., e successivamente al percorso terapeutico e di recupero che ella aveva seguito, l’attore aveva subito ingenti danni biologici, patrimoniali e non patrimoniali legati alla propria sfera sessuale. In particolare il N., era stato costretto a rinunciare ai rapporti sessuali con la compagna per lungo tempo e, successivamente, aveva dovuto ridurli drasticamente rispetto al periodo precedente l’intervento per la paura di procurare un ulteriore danno fisico alla donna.

L’istituto sacro cuore si è costituito ritualmente in giudizio e ha resistito alla domanda avversaria assumendone la infondatezza e sostenendo, in particolare, che la insorgenza di fistole nella chirurgia ginecologica oncologica costituisce una complicanza piuttosto frequente e non prevenibile o evitabile dai sanitari i quali, nel caso di specie, avevano provveduto alla adozione delle cure più adeguate e il loro intervento aveva anche consentito alla donna di sopravvivere a fronte di una patologia ad elevatissimo rischio di mortalità.

La causa è giunta a decisione senza lo svolgimento di attività istruttoria a seguito del rigetto da parte di questo giudice delle istanze istruttorie delle parti.

Ciò detto con riguardo all’iter del giudizio e agli assunti delle parti, ad avviso di questo giudice la domanda attorea è fondata e come tale merita di essere accolta.

Alla formulazione di un giudizio di responsabilità nei riguardi dei sanitari che operarono la S. nelle circostanze sopra descritte può giungersi sulla base della considerazione che alle puntuali valutazioni del ct di parte attrice la convenuta non ha contrapposto né una propria ct di parte né della documentazione di carattere scientifico che potessero supportare il suo assunto secondo cui l’evento riferito dall’attore sarebbe stata una ordinaria complicanza. A ben vedere poi il convenuto, nell’articolare tale difesa, non si è fatto carico di spiegare come potesse conciliarsi con essa il particolare, opportunamente evidenziato nella relazione del ct di parte, che in questo caso le fistole furono due. Tale circostanza infatti è sufficientemente indicativa, in difetto di una valida spiegazione alternativa, della sussistenza dei profili di colpa evidenziati dal c.t. di parte attrice nel comportamento dei sanitari che operarono la donna.

In mancanza di risultanze di carattere tecnico scientifico ed anche fattuali favorevoli al convenuto non può poi darsi ingresso alla ctu dallo stesso richiesta che quindi ha carattere eminentemente esplorativo.

Ciò detto in punto di an della responsabilità del convenuto occorre ora valutare se l’attore abbia subito o meno un concreto pregiudizio per effetto delle lesioni riportate dalla sua convivente.

Sul punto va innanzitutto precisato che il convenuto non ha mai contestato specificamente i presupposti di fatto della pretesa del N., ossia che tra lui e la S. esista un rapporto di convivenza more uxorio iniziato alcuni anni prima dei fatti illeciti per cui è causa, nell’ambito del quale i due avevano una regolare vita sessuale e che essa è peggiorata sensibilmente dopo gli interventi di cui si è detto.

L’attore ha individuato in una simile situazione la causa diretta di un proprio pregiudizio di duplice natura, alla integrità psichica e non patrimoniale.

Può escludersi che il N. abbia patito il primo tipo di danno, non avendo egli fornito prova di essere attualmente affetto da una patologia o disturbo di tipo psichico definibili con precisione. Le ct di parte che egli ha prodotto a tal fine infatti danno conto di uno stato di ansia dell’attore che non è in nessun modo oggettivabile.

Resta allora da stabilire se il danno lamentato dall’attore possa essere qualificato come danno non patrimoniale.

Ai fini di tale verifica è utile rammentare quali siano le caratteristiche di questo tipo di pregiudizio secondo i più recenti arresti della Cassazione a Sezioni Unite espressi nelle sentenze nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008. Orbene tali pronunce hanno individuato la peculiarità del danno non patrimoniale nella sua tipicità, desumibile dall’art. 2059 c.c., quale norma di rinvio, per l’individuazione del presupposto della ingiusta lesione di interessi tutelati dall’ordinamento, ai casi previsti dalla legge (e quindi a fatti costituenti reato o altri fatti riconosciuti dal legislatore ordinario produttivi di tale tipo di danno) ovvero ai diritti costituzionalmente tutelati, con la precisazione che in questo caso la rilevanza costituzionale deve riguardare l’interesse leso e non il pregiudizio conseguente e che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone che la lesione sia grave e il danno non sia futile.

Sulla base di tali coordinate occorre ora chiedersi se il diritto alla vita sessuale assurga al rango di posizione giuridica costituzionalmente tutelata all’interno del rapporto coniugale e, una volta che si arrivasse ad una soluzione affermativa, se la stessa sia estensibile anche al rapporto di convivenza more uxorio.

Ad avviso di questo Giudice l’interrogativo posto merita senza dubbio una risposta positiva.

Il bene giuridicamente protetto però non è costituito dal “diritto reciproco di ciascun coniuge ai rapporti sessuali con l’altro coniuge”, secondo quanto affermato in una pronuncia risalente dalla Suprema Corte (Cass. 11 novembre 2006 n. 8976), quanto piuttosto la libertà sessuale dell’individuo (in tali termini cfr. Trib. Napoli, sez. II, 13 aprile 2007 n. 3996). A conforto di tale affermazione va ricordato che la Corte Costituzionale nell’incipit della sentenza 18 dicembre 1987 n. 571 ha affermato che “essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompresso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art. 2 Cost. impone di garantire”.

E’ stata la stessa Corte Costituzionale, quindi, in epoca di molto precedente alle sentenze delle Sezioni Unite sopra citate che ha individuato il fondamento costituzionale del diritto alla libertà sessuale cosicché la lesione di esso integra un danno di carattere non patrimoniale.

A ben vedere tali principi non sono che il portato dell’esperienza reale.

Il soggetto che subisce lesioni all’apparato sessuale del tipo di quelle riportate dalla S. non perde la propria capacità sessuale ma ne vede limitato, e nei caso più gravi compromesso, l’esercizio. Poiché l’attività sessuale costituisce al tempo stesso indispensabile complemento e piena manifestazione del legame affettivo che esiste, nella normalità dei casi, tra i coniugi anche la significativa riduzione di essa determina un generale peggioramento della vita di coppia e, nei casi più gravi, può anche provocare la rottura del rapporto.

Si noti poi che anche il coniuge che non è stato direttamente leso nella propria integrità fisica subisce un pregiudizio alla propria libertà sessuale in conseguenza della impossibilità o difficoltà ad intrattenere rapporti sessuali con il partner. E’ evidente infatti che la compromissione o limitazione del diritto alla libertà sessuale di uno dei coniugi produce un identico effetto sul corrispondente diritto dell’altro coniuge. I diritti dei due partner sono tra loro interdipendenti anche perchè possono essere esercitati, quale espressione del legame affettivo esistente tra i coniugi, esclusivamente nell’ambito del rapporto di coniugio, stante il dovere di fedeltà sancito dall’art. 143 comma 2 c.c.

Ad avviso di questo giudice le medesime caratteristiche sono ravvisabili anche all’interno di un legame more uxorio quale quello esistente tra l’attore e la S.

Sul punto va innanzitutto chiarito che non si pone il problema di valutare la meritevolezza del rapporto esistente tra i due poiché, come detto, la convenuta non ha mai contestato che esso, già prima del fatto causativo di danno per la donna, avesse assunto i caratteri (esistenza di una duratura comunanza di vita e di affetti con vicendevole assistenza morale e materiale) che, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 29 aprile 2005 n. 8976), consentono di accostarlo a quello di coniugio.

Ciò chiarito la conclusione sopra detta discende dalla assimilazione tra stabile convivenza more uxorio e matrimonio alla quale è giunta la giurisprudenza di legittimità negli ultimi anni.

La Corte, già con sentenza 10 maggio 2005 n. 9801, ha ritenuto che il principio di indefettibilità della tutela risarcitoria trovi spazio applicativo anche all’interno dell’istituto familiare, pur in presenza di una specifica disciplina dello stesso, configurandosi la famiglia come sede di autorealizzazione e di crescita, segnata dal reciproco rispetto ed immune da ogni distinzione di ruoli, nell’ambito della quale i singoli componenti conservano le loro essenziali connotazioni e ricevono riconoscimento e tutela, prima ancora che come coniugi, come persone, in adesione al disposto dell’art. 2 Cost., che, nel riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, delinea un sistema pluralistico ispirato al rispetto di tutte le aggregazioni sociali nelle quali la personalità di ogni individuo si esprime e si sviluppa (v., sul punto, anche la successiva Cass., sent. n. 18853 del 2011).

Si noti che con tale sentenza la Corte ha riconosciuto la responsabilità da fatto illecito per il soggetto che abbia omesso di informare prima del matrimonio il futuro coniuge delle proprie disfunzioni sessuali, tali da impedire l’assolvimento dell’obbligo coniugale, in quanto tale condotta determina una lesione del diritto fondamentale del coniuge a realizzarsi pienamente nella famiglia, nella società ed eventualmente come genitore e quindi al di fuori di un legame matrimoniale.

Sulla base di tali premesse un’altra recentissima pronuncia della Suprema Corte (Cass. sez. I 20 giugno 2013 n. 15481) nel richiamarsi espressamente ad esse, ha aggiunto in maniera ancor più incisiva che:“..il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia, così come da parte del terzo, costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo chiaramente ritenersi che diritti definiti come inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i loro titolari si pongano o meno all’interno di un contesto familiare. … L’intensità dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilità ed indisponibilità, non può non riflettersi – come pure chiarito dalla sentenza n. 9801 del 2005 – sui rapporti tra le parti nella fase precedente il matrimonio, imponendo loro, pur in mancanza, allo stato, di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva della costituzione di tale vincolo, un obbligo di lealtà, di correttezza e di solidarietà.

La violazione dei diritti fondamentali della persona è, altresì, configurabile, alle condizioni descritte, all’interno di una unione di fatto, che abbia, beninteso, caratteristiche di serietà e stabilità, avuto riguardo alla irrinunciabilità del nucleo essenziale di tali diritti, riconosciuti, ai sensi dell’art. 2 Cost., in tutte le formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’individuo (v., in tal senso, Cass. sent. n. 4184 del 2012)”.

A conforto delle succitate affermazioni la stessa decisione ha poi citato tutta una serie di norme speciali, anche molto recenti, nelle quali il legislatore ha attribuito rilevanza alla famiglia di fatto.

Se quindi anche dal rapporto di convivenza derivano obblighi analoghi a quelli derivanti dal matrimonio, tra i quali non si vede perchè non possa essere incluso quello di fedeltà, è agevole comprendere come anche il convivente di colui che abbia subito una lesione agli organi sessuali, comportante una significativa limitazione della propria vita sessuale, possa patire questa stessa conseguenza.

Ai fini della quantificazione in termini monetari del danno alla vita sessuale patito dall’attore occorre tener conto dell’età che egli aveva all’epoca del fatto (quarantasette anni) e che era tale da far ritenere in via presuntiva che egli avesse una attività sessuale regolare e anche frequente, tanto più che, come si è detto, tale circostanza non è mai stata contestata dalla convenuta.

Alla luce di tali considerazioni si stima adeguato un ristoro economico di euro 25.000,00 calcolati all’attualità.

Trattandosi un credito di valore su di esso spettano la rivalutazione monetaria e gli interessi al tasso legale. Più precisamente gli interessi legali vanno riconosciuti a decorrere dalla data del fatto illecito e vanno calcolati sulla somma devalutata, secondo gli indici ISTAT, proprio al momento del fatto e via via rivalutata annualmente (cfr. sul punto Cass. Sez. Un. 17.02.1995 n.1712) fino ad oggi.

Venendo alla regolamentazione delle spese del giudizio esse vanno poste a carico del convenuto in applicazione del criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo facendo riferimento al d.m.140/2012. La condanna alle spese è giustificata anche dall’atteggiamento tenuto dal convenuto a seguito della proposta conciliativa che questo Giudice aveva formulato alle parti con ordinanza del 23 giugno 2012, accettata dall’attore, e che è consistito in una totale inerzia.

Ai fini della determinazione del compenso spettante all’attore i valori medi di liquidazione previsti dal predetto regolamento per le fasi di studio e introduttiva possono essere aumentati del 50 %, avuto riguardo alla relativa complessità della materia del contendere. Il compenso per le fasi istruttorie e decisoria invece può essere contenuto nei valori medi di liquidazione previsti per esse dal regolamento atteso che non vi è stata attività istruttoria. La somma complessivamente spettante all’attore a titolo di compenso è pertanto di euro 2.475,00 ad essa va aggiunta quella di euro 500,00 a titolo di rimborso delle spese vive sostenute, di cui euro 206,00 a titolo di ripetizione del contributo unificato ed il resto a titolo di rimborso delle spese di collazione, scritturazione e notifica, calcolate in via presuntiva.

P.Q.M.

Il Giudice Unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando, ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, così decide condanna:

– condanna il convenuto a corrispondere all’attore la somma di euro 25.000,00 oltre agli interessi legali su tale somma dalla data del fatto illecito (12 giugno 2006) fino a quella di pubblicazione della presente sentenza, calcolati sulla somma suddetta devalutata al momento del fatto e via via rivalutata anno per anno nonché agli interessi legali sulla somma totale così risultante dalla data di pubblicazione della presente sentenza a quella del saldo effettivo;

– condanna altresì il convenuto a rifondere all’attore le spese di lite che liquida nella somma complessiva di euro 2.975,00 di cui 2.475,00 per compenso ed il resto per spese, oltre Iva e Cpa.

Verona 26 settembre 2013.

Il Giudice

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Attribuzione
Alcuni diritti riservati a Tommie Hansen

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