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Sempre più spesso ai legali viene chiesto se assumere i dipendenti di un competitor possa o meno integrare un atto di concorrenza sleale. Alla luce della più recente giurisprudenza di Cassazione, ciò che conta non è tanto il fatto oggettivo dell’assunzione (di per sé lecita), bensì il fine complessivo che ci si prefigge e le modalità con cui avvengono le assunzioni.

Una recentissima sentenza della Cassazione, n. 20228 del 4 settembre 2013, ha fornito un quadro riepilogativo della giurisprudenza in materia.

Il caso oggetto della pronuncia qui commentata concerneva due società a responsabilità limitata che, in prossimità della chiusura del contratto con il proprio distributore, avevano assunto i migliori venditori di quest’ultimo, al fine di poter operare direttamente sul mercato senza necessità di intermediari.

La Cassazione, investita della questione, ribadisce un proprio orientamento consolidato, secondo cui la concorrenza sleale “non può mai derivare dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori (cosiddetto storno di dipendenti) da un’impresa ad un’altra concorrente, nè dalla contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente,attività in quanto tali legittime essendo espressione dei principi della libera circolazione del lavoro e della libertà di iniziativa economica (Cass. 5671/98, Cass 6712/96)”.

In primo luogo, quindi, si chiarisce che la mera assunzione di dipendenti di un’azienda concorrente non è sufficiente ad integrare l’illecito concorrenziale. Occorre, infatti, un quid pluris.

Come ha statuito la sentenza in commento, richiamando alcuni significativi precedenti, lo storno di dipendenti può considerarsi vietato solo se attuato con la precisa intenzione di danneggiare l’impresa concorrente (ad esempio, quando lo storno viene realizzato con un atto direttamente ed immediatamente rivolto ad impedire al concorrente di continuare a competere).

Tale “animus nocendi” viene dalla Corte individuato nelle condotte contraddistinte dai seguenti elementi fattuali: a) la quantità del soggetti stornati, b) la portata dell’organizzazione complessiva dell’impresa concorrente; c) la posizione che i dipendenti stornati rivestivano all’interno dell’azienda concorrente; d) la scarsa fungibilità dei dipendenti; e) la rapidità dello storno; f) il parallelismo con l’iniziativa economica del concorrente stornante”.

L’esempio offerto dalla vicenda concreta appare utile a esemplificare il discorso. L’intento di danneggiare il distributore è stato desunto dal fatto che le società produttrici, nel momento in cui avevano deciso di interrompere il lungo rapporto con la controparte (che aveva distribuito i loro prodotti per anni), si erano procacciate alcuni dipendenti del distributore, particolarmente esperti nella vendita. Il risultato era, dunque, quello di avere immediatamente a disposizione una valida rete di distribuzione e di arrecare un nocumento alla controparte, trovatasi improvvisamente priva di personale esperto e qualificato.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

(Svolgimento del processo)

Con la sentenza n.ro 722/2004 resa in data 07.10.2004, il Tribunale di Lecco respingeva la domanda proposta da Detas spa volta all’accertamento del compimento da parte di K.A. Schmersal Holding GmbH KG (già Schmersal GmbH E Co.) e di Schmersal Italia s.r.l. di atti di concorrenza sleale ai suoi danni e la connessa domanda di risarcimento del danno, accoglieva la domanda di Detas per la violazione del patto di esclusiva da parte della Schmersal Gmbh e condannava quest’ultima al pagamento della somma di Euro 9.389,65, dichiarava, in accoglimento della riconvenzionale proposta dalle convenute, la Detas spa debitrice della somma di Euro 488.406,31 per saldo prezzo forniture e la condannava al relativo pagamento in favore della Schmersal, compensando tra le parti le reciproche poste attive e passive.

Avverso la detta sentenza proponeva appello la Detas spa chiedendone la riforma in accoglimento della propria domanda e con rigetto di quella riconvenzionale avversaria. Si costituivano la Schmersal Gmbh e la Schmersal spa che,nel chiedere il rigetto del gravame, riproponevano in via di appello incidentale l’eccezione di tardività della domanda di risarcimento del danno per violazione del patto di esclusiva e censuravano la decisione di avere ritenuto legittimo l’inadempimento del pagamento delle fatture da parte della Detas a fronte dell’antecedente inadempimento della Schmersal Gmbh di dar corso agli ordinativi già ricevuti, in tal modo respingendo la domanda degli interessi sulle somme dovute.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 248/07, in parziale accoglimento dell’impugnazione principale, accertava il compimento dei lamentati atti di concorrenza sleale e condannava in solido le due società appellate al risarcimento dei conseguenti danni da liquidarsi nel prosieguo del giudizio.

Confermava per il resto l’impugnata sentenza.

Avverso la detta sentenza ricorrono per cassazione K.A. Schmersal Holding GmbH KG (già Schmersal GmbH E Co.) e Schmersal Italia s.r.l sulla base di quattro motivi cui resiste con controricorso la Detas spa.

(Motivi della decisione)

Con il primo articolato motivo di ricorso le ricorrenti censurano la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto sussistente il compimento da parte di Schmersal Gmbh e Schmersal Italia “di atti di concorrenza sleale ai danni di Detas s.p.a. ex art. 2598 c.c., n. 3, mediante lo storno illegittimo di una nutrita serie di dipendenti la conseguente disgregazione della struttura aziendale e l’impossessamento delle liste della clientela”. In particolare lamentano che il giudice di secondo grado avrebbe errato nell’applicazione di tali principi al caso sottoposto al suo esame, fondando la propria statuizione su circostanze errate, ovvero non provate e senza tener conto di circostanze oggettive (debitamente allegate e provate da Schmersal) che – se correttamente valutate – avrebbero portato ad una decisione di segno opposto.

Con il secondo motivo assumono che erroneamente il giudice di seconde cure ha ritenuto infondata l’eccezione di tardività della domanda di risarcimento danni.

Con il terzo motivo lamentano l’omessa pronuncia sulla domanda subordinata di riduzione del danno liquidato dal giudice di prime cure in ordine alla pretesa violazione del patto di esclusiva. Con il quarto motivo si dolgono del rigetto della loro impugnazione incidentale con cui avevano censurato la sentenza di primo grado laddove aveva dichiarato legittima la sospensione dei pagamenti operata dalla Detas per essere fondata su una giusta eccezione di inadempimento.

Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla resistente sulla scorta della considerazione che a seguito di quanto stabilito nell’art. 360 c.p.c., comma 3, norma che, nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, comma 1, (“ratione temporis” applicabile) la sentenza impugnata non sarebbe stata ricorribile per cassazione. L’eccezione è infondata.

Questa Corte ha già chiarito che non è ricorribile per cassazione, la sentenza d’appello non definitiva la quale, non definisca, neppure parzialmente, il giudizio e ne disponga ai sensi dell’art. 279 c.p.c., comma 2, n. 4, la prosecuzione nel merito, in virtù di quanto stabilito nell’art. 360 c.p.c., comma 3, norma che, nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, comma 1, (“ratione temporis” applicabile), distingue tra le “sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio”, assoggettandole all’impugnazione per cassazione necessariamente differita, e le sentenze non definitive su domanda o parziali, assoggettandole invece all’impugnazione per cassazione immediata ovvero, in alternativa, all’impugnazione differita con onere di formulazione della riserva di ricorso. (Cass. 18104/10).

Nel caso di specie è indubbio che la sentenza impugnata abbia deciso parzialmente la controversia ritenendo sussistere il diritto della resistente al risarcimento del danno e quindi definendo la stessa per tale aspetto, rinviando poi per il prosieguo per la quantificazione del danno.

Venendo all’esame del primo articolato motivo di ricorso, va premesso che la concorrenza illecita per mancanza di conformità ai principi della correttezza non può mai derivare dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori (cosiddetto storno di dipendenti) da un’impresa ad un’altra concorrente, nè dalla contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente,attività in quanto tali legittime essendo espressione dei principi della libera circolazione del lavoro e della libertà di iniziativa economica (Cass. 5671/98, Cass 6712/96). Questa Corte, peraltro, ha ripetutamente affermato che lo storno dei dipendenti deve ritenersi vietato come atto di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598 c.c., n. 3, allorchè sia attuato non solo con la consapevolezza nell’agente dell’idoneità dell’atto a danneggiare l’altrui impresa, ma altresì con la precisa intenzione di conseguire tale risultato (animus nocendi), la quale va ritenuta sussistente ogni volta che, in base agli accertamenti compiuti dal giudice del merito ed insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati, lo storno dei dipendenti sia posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare alla luce dei principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di danneggiare l’organizzazione e la struttura produttiva dell’imprenditore concorrente (Cass. 6079/96; Cass 5718/96; Cass 2996/80, Cass 125/74; Cass 3763/68, Cass 1561/67, Cass 6928/83). Ciò si verifica quando lo storno viene realizzato con un atto direttamente ed immediatamente rivolto ad impedire al concorrente di continuare a competere, attesa l’esclusività di quelle nozioni tecniche e delle relative professionalità che le rendono praticabili, così da saltare il costo dell’investimento in ricerca ed in esperienza, da privare il concorrente della sua ricerca e della sua esperienza, e da alterare significativamente la correttezza della competizione (Cass 9386/12; Cass 13424/08).

A tali principi si è sostanzialmente attenuta la sentenza impugnata che, in estrema sintesi, ha desunto l’intento di danneggiare la resistente da parte Schmersal dal fatto che questa,nel momento in cui aveva in animo di interrompere il lungo rapporto con la Detas, che aveva per anni distribuito i suoi prodotti sul mercato italiano, si era procacciata alcuni dipendenti di quest’ultima, particolarmente esperti nel settore della distribuzione, in modo tale da potere immediatamente utilizzare una valida rete distributiva e da porre al contempo in difficoltà la Detas, ormai concorrente, che si vedeva sguarnita di personale esperto in quel settore. La società ricorrente, del resto, non contesta una violazione dei principi di diritto che regolano la fattispecie da parte della sentenza impugnata, quanto piuttosto incentra le articolate censure contenute nel motivo sul vizio di motivazione, sostenendo, in particolare, che la Corte d’appello: avrebbe trascurato l’esame di prove rilevanti, avrebbe ritenuto provate circostanze che invece non lo erano, non avrebbe preso in esame gli specifici argomenti svolti da essa ricorrente nel giudizio di secondo grado e, infine, in svariate circostanze avrebbe svolto una motivazione insufficiente e contraddittoria.

Con la prima e la seconda censura, la società ricorrente deduce che non vi sarebbe stata la prova che i dipendenti asseritamente stornati erano effettivamente passati alle dipendenze di essa ricorrente. La Corte d’appello avrebbe poi errato nel determinare il numero dei dipendenti della Detas stornati e la loro percentuale rispetto alla forza lavoro della predetta società nonchè l’arco di tempo in cui essi avrebbero lasciato la società resistente. Inoltre (seconda censura) non sarebbe stata fornita la prova circa le loro mansioni (addetti alla vendita anche dei prodotti Detas) e la Corte non avrebbe considerato che la Detas aveva rapidamente ricostruito la propria rete distributiva. A ciò deve aggiungersi che non sarebbero esposte nella sentenza le ragioni in base alle quali il personale trasferito sarebbe stato particolarmente esperto e la Corte d’appello sarebbe incorsa in contraddizione circa la scarsa fungibilità dei dipendenti trasferiti.

La prima censura è infondata e per certi versi inammissibile. Quanto alla effettività del passaggio dei dipendenti, la sentenza impugnata asserisce che il dato non è contestato. A tale proposito, va rammentato che il convenuto, a norma dell’art. 167 cod. proc. civ. nella nuova formulazione, deve nella memoria di costituzione in primo grado “prendere posizione, in maniera precisa e non limitata a una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proponendo tutte le sue difese in fatto e in diritto…”; nel caso in cui il convenuto nulla abbia eccepito in relazione a tali fatti, gli stessi devono considerarsi come pacifici sicchè l’attore è esonerato da qualsiasi prova al riguardo ed è inammissibile la contestazione dei medesimi fatti in sede di legittimità. (Cass 18202/08 Cass 3974/12). Era pertanto onere delle ricorrenti dedurre e documentare di avere contestato con la comparsa di risposta la circostanze che i predetti dipendenti della Detas erano addetti alla sola distribuzione dei prodotti Schmersal.

Tale deduzione non si rinviene nel ricorso onde la circostanza non è suscettibile di verifica in questa sede.

In ogni caso risulta dagli stessi brani degli scritti difensivi riportati nel ricorso che le ricorrenti avevano riconosciuto che un certo numero di dipendenti della Detas, erano passati alle dipendenze della Schmersal Italia. Dal brano riportato della comparsa di costituzione in appello (pg 14 del ricorso) si evince, infatti, il riconoscimento dell’avvenuto passaggio laddove è scritto “nei fatti quindi solo quattro dipendenti passarono a Schmersal (posto che, giova ripeterlo, i sig.ri D., B. e M. vennero licenziati dalla stessa Detas)”. Lo stesso risulta dalla conclusionale di primo grado riportata a pg 34 del ricorso ove si affermava che “le lettere di dimissioni dimostrano un fatto non contestato in causa e, cioè, che i dipendenti in questione – nel legittimo esercizio di un proprio diritto – decisero di passare alle dipendenze della costituenda Schmersal Italia…”.

La doglianza in esame è dunque inammissibile.

Circa l’arco di tempo in cui si verificò il passaggio dei dipendenti, la Corte d’appello ha osservato che esso avvenne nell’arco di un solo mese.

La ricorrente deduce che sei dipendenti ed un agente rassegnarono la dimissioni tra il novembre 2000 ed il gennaio 2001. Trattasi di una differenza temporale del tutto irrilevante poichè, anche se i dipendenti in questione lasciarono la Detas nell’arco di due mesi anzichè di uno, ciò non vale ad escludere l’esistenza di uno storno anti concorrenziale.

Circa il numero dei dipendenti individuati dalla sentenza nel numero di tredici, dal contenuto dianzi esposto della comparsa di risposta in appello, riportato nel ricorso, risulterebbero essere in realtà sette. Di quattro, come detto è riconosciuto il passaggio. Dei sig.ri D., B. e M. le ricorrenti escludono il detto passaggio sostenendosi che gli stessi erano stati licenziati.

Tale assunto è peraltro erroneo, risultando da quanto sostenuto dalla stessa società ricorrente che gli stessi si erano dimessi nel novembre 2000, mentre il licenziamento è intervenuto solo successivamente in corso di preavviso nel mese di dicembre ed il loro trasferimento presso la Schmersal non risulta comunque contestato in grado di appello e risulterebbe comunque dalla comunicazione del Dr S. riportata a pag. 6 del controricorso.

A tale numero vanno peraltro aggiunte le tre segretarie rispettivamente di D., B. e M. il cui trasferimento assieme ai predetti non è contestato.

La motivazione della Corte d’appello appare dunque sostanzialmente corretta, non avendo rilevanza la circostanza se vi sia stata una unità in più od in meno nel personale passato alle società ricorrenti e quanta percentuale detto personale rappresentava rispetto alla forza lavoro della Detas, posto che su meno di trenta dipendenti complessivi anche un numero di quattro cinque unità sarebbe comunque molto significativo.

In tal senso è ugualmente priva di rilevanza la circostanza se uno degli agenti passati alla Schmersal fosse plurimandatario o meno. E’ appena il caso di ricordare che in tema di controllo, in sede di legittimità, della adeguatezza della motivazione, affinchè i difetti in essa ravvisabili possano assumere valore sintomatico della eventuale ingiustizia della decisione, occorre che l’errore da cui è affetta la sentenza impugnata abbia nell’economia della decisione una incidenza causale tale che, la sua assenza, avrebbe condotto il giudice del merito ad una decisione diversa.(Cass 2625/98). Pertanto il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base. (Cass 21249/06). Nel caso di specie nessuno degli elementi dedotti dalle ricorrenti risulta decisivo.

Quanto alla seconda censura, la stessa si incentra in primo luogo sul fatto che la Corte d’appello avrebbe dato per acquisita una circostanza non dimostrata e, cioè, che i dipendenti stornati sarebbero stati addetti anche alla vendita dei prodotti Detas.

L’assunto è inammissibile ancor prima che privo di fondamento.

Invero, essendo i sigg.ri D., B. e M. addetti alla rete distributiva della Detas rispettivamente per le aree di Bologna, Milano e Torino, la Corte d’appello ha correttamente desunto in via presuntiva della Detas che gli stessi provvedessero anche alla vendita dei prodotti Detas oltre che Schmersal. In ogni caso, come già rammentato, il convenuto, a norma dell’art. 167 cod. proc. civ., nella nuova formulazione, nella memoria di costituzione in primo grado “deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata a una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proponendo tutte le sue difese in fatto e in diritto…”; nel caso in cui il convenuto nulla abbia eccepito in relazione a tali fatti, gli stessi devono considerarsi come pacifici sicchè l’attore è esonerato da qualsiasi prova al riguardo ed è inammissibile la contestazione dei medesimi fatti in sede di legittimità.(Cass 18202/08 Cass 3974/12).

Era pertanto onere delle ricorrenti dedurre e documentare di avere contestato con la comparsa di risposta la circostanze che i predetti dipendenti della Detas erano addetti alla sola distribuzione dei prodotti Schmersal.

Tale deduzione non si rinviene nel ricorso onde la circostanza non è suscettibile di verifica in questa sede.

In secondo luogo le ricorrenti lamentano che la Corte non avrebbe considerato che la Detas aveva rapidamente ricostruito la propria rete distributiva.

Tale circostanza è invero priva di rilevanza in ordine alla sussistenza della concorrenza sleale perchè, anche a ritenere fondata la circostanza dedotta, ciò non escluderebbe che, comunque, per un certo asso di tempo la Detas non è stata in condizione di concorrere validamente sul mercato in ragione dello smembramento dei propri uffici di distribuzione subendo pertanto un pregiudizio concorrenziale.

Quanto poi alle ulteriori doglianze, secondo cui nella sentenza non sarebbero esposte le ragioni in base alle quali il personale trasferito sarebbe stato particolarmente esperto e la Corte d’appello sarebbe incorsa in contraddizione circa la scarsa fungibilità dei dipendenti trasferiti, si osserva che la Corte distrettuale ha osservato che i sigg.ri D., B. e M., oltre alle segretarie ed alla addetta al marketing, erano persone particolarmente esperte e conosciute dalla clientela, da ciò deducendo che le stesse erano particolarmente esperte professionalmente e qualificate proprio nel settore che interessava alla Schmersal e cioè quello attinente alla rete distributiva.

Trattasi di valutazione di merito adeguatamente motivata che, come tale, non risulta censurabile in questa sede di legittimità.

E’ appena il caso di aggiungere che il giudice di merito non è vincolato dalle considerazioni effettuate dalle parti, per cui nessuna rilevanza assume a tale proposito che nell’atto di citazione la Detas avesse ritenuto che i predetti soggetti non rivestivano ruoli di responsabilità infungibili.

Con la terza censura le ricorrenti assumono che la Corte d’appello avrebbe ritenuto, in totale assenza di prove, sussistere una scorretta attività da parte di esse ricorrenti volta, in violazione degli obblighi di correttezza professionale, alla captazione dei dipendenti della Detas.

In particolare le ricorrenti riportano una serie di documenti prodotti dalla stessa controparte a sostegno delle proprie tesi recanti comunicazioni tra i dipendenti trasmigrati e la Schmersal dai quali non potrebbe desumersi alcun comportamento scorretto o infedele da parte dei dipendenti stessi e della stessa Schmersal e lamentano inoltre il mancato esame delle prove da esse prodotte. La censura appare inammissibile.

E’ ben vero che la sentenza impugnata ha fornito una motivazione estremamente scarna rilevando che tramite i continui contatti intercorsi tra la Schmersal ed i dipendenti Detas risultanti dai tabulati telefonici interni e dalle e-mail le ricorrenti “avevano posto in essere una vera e propria campagna di sensibilizzazione e di convincimento ai fini di indurli alla trasmigrazione”, non è tuttavia questo l’elemento decisivo posto a base della decisione con cui è stata ritenuta sussistere la concorrenza sleale. Questa è stata infatti individuata, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, nell’atto illecito che “venga attuato con lo specifico scopo di danneggiare l’altrui azienda animus nocendi (Cass. civ. sez. 1 22.07.2004 n. 13658) avuto riguardo a determinati elementi quali: a) la quantità del soggetti stornati, b) la portata dell’organizzazione complessiva dell’impresa concorrente; c) la posizione che i dipendenti stornati rivestivano all’interno dell’azienda concorrente;

d) la scarsa fungibilità dei dipendenti; e) la rapidità dello storno; f) il parallelismo con l’iniziativa economica del concorrente stornante”.

In tale contesto nessun rilievo viene dato all’attività di convincimento svolta dalla parte stornante poichè ciò che rileva è il risultato che viene perseguito che è quello di crearsi un vantaggio competitivo a danno del concorrente tramite una strategia diretta ad acquisire uno staff operativo costituito da soggetti pratici del medesimo sistema di lavoro dentro una zona precisa. In tal modo il loro modus operandi, le conoscenze burocratiche e di mercato da essi acquisite, l’immagine stessa di operatori di un certo settore, sono stati tolti ad una organizzazione concorrente, la quale, nell’immediato, si è trovato svuotata di specifiche sue ordinarie possibilità operative.(v. Cass 5671/98).

La sentenza impugnata pertanto esamina solo come elemento di contorno e con una valutazione generica il comportamento tenuto dalla Schmersal per acquisire i dipendenti della Detas perchè ragiona a monte, ovvero sull’obbiettivo strategico delle ricorrenti costituito dalla finalità di sottrarre lo staff costituente la struttura portante della rete distributiva della Detas allo scopo di paralizzare la concorrente e di acquisirne lo spazio individuando in ciò l’animus nocendi costituito dalla volontà di appropriarsi, attraverso un gruppo di dipendenti, del metodo di lavoro e dell’ambito operativo della concorrente. (v Cass 5671/98).

In conclusione, dunque, la mancanza di una dettagliata valutazione circa la correttezza o meno del comportamento della Schmersal nel contattare i singoli dipendenti non riveste carattere decisivo ai fini della decisione in quanto la ricostruzione dell’elemento psicologico risulta fondato sulla base di altri elementi.

Con la quarta censura le ricorrenti lamentano che la Corte d’appello abbia ritenuto che la Schmersal Italia abbia adibito i dipendenti trasmigrati presso di essa alle medesime mansioni che esse avevano presso la Detas in assenza di qualsivoglia prova. La doglianza non ha fondamento.

E’ giurisprudenza costante di questa Corte che spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). (Cass 9368/06).

In tale contesto non è neppure indispensabile che il giudice indichi in maniera espressa le singole fonti di prova poste a base della decisione come avvenuto nel caso di specie. Peraltro, è riportato nel controricorso (pag 6) un brano di una comunicazione del dr. S. della Schmersal ai clienti della società ove si legge “dai loro uffici di Torino, Milano e Modena, rispettivamente B.D., D.G. ed M.A., assieme alle loro segretarie, seguiranno giorno per giorno le vostre attività e le vostre problematiche” dal quale risulta chiaramente la fonte di prova sulla quale la Corte d’appello ha basato il proprio giudizio.

Con la quinta censura del primo motivo le ricorrenti lamentano che la Corte d’appello abbia ritenuto senza motivazione alcuna che con il passaggio dei dipendenti alla Schmersal questi abbiano anche portato la lista clienti della Detas. Tale motivo è inammissibile.

Vale a tale proposito quanto esposto in ordine alla terza censura.

L’argomento addotto dalla Corte d’appello è infatti privo di decisività ed ha un puro carattere di contorno, risultando elemento decisivo il fatto che la Schmersal si sia appropriata, attraverso l’acquisizione dei più volte citati dipendenti della Detas del metodo di lavoro e dell’ambito operativo relativo alla rete di distribuzione. In tale contesto nessuna rilevanza riveste il fatto che i dipendenti abbiano portato con sè una lista contenente l’elenco dei clienti ovvero la conoscenza diretta degli stessi.

Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che il giudice di seconde cure ha ritenuto infondata l’eccezione di tardività, già sollevata in primo grado, della domanda di risarcimento danni conseguente a inadempimento contrattuale per violazione del patto di esclusiva con motivazione insufficiente in quanto effettuata per relationem alla sentenza di primo grado. Il motivo è infondato.

Nel caso di specie, la motivazione della Corte d’appello sulla eccezione di tardività della domanda in questione è stata del seguente tenore: “….ritiene la Corte che non vi sia motivo di discostarsi dalla decisione sul punto assunta dal primo giudice il quale, con motivazione bene argomentata e del tutto esaustiva ha respinto l’eccezione di tardività”.

Tale motivazione appare conforme ai più recenti orientamenti di questa Corte, in diverse occasioni ribaditi, secondo cui la motivazione della sentenza “per relationem” è ammissibile, dovendosi giudicare la sua completezza e logicità sulla base degli elementi contenuti nell’atto al quale si opera il rinvio e che, proprio in ragione dello stesso, diviene parte integrante dell’atto rinviante, fermo restando, tuttavia, secondo un principio generale dell’ordinamento, desumibile dalla L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, per gli atti amministrativi (e valido, a maggior ragione, in forza dell’art. 111 Cost., per l’attività del giudice), che il rinvio va operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione “per relationem”. (Cass 23231/10; Cass 979/09).

In tale senso, ad esempio, è stato ritenuta non incorrere nella violazione dell’art. 111 Cost., art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e art. 132 cod. proc. civ. la motivazione della sentenza che, richiamando testualmente un precedente del medesimo ufficio reso su una questione analoga, dopo aver esaminato specificamente le singole censure proposte dall’appellante, concludeva nel senso che le argomentazioni della sentenza richiamata “rispondono a tutti i motivi d’impugnazione dedotti dagli appellanti”. (Cass 3367/11). Nel caso di specie, non è dubbio che il richiamo operato alla sentenza di primo grado risponde pienamente ai principi dianzi enunciati poichè la sentenza stessa è certamente a conoscenza delle parti in causa per cui le stesse sono state messe nella condizione di recepire la motivazione richiamata dalla Corte d’appello. La riprova di ciò la si rinviene nel fatto che le ricorrenti hanno riportato nel ricorso la motivazione sul punto della sentenza di primo grado ed hanno svolto altresì critiche alla stessa ritenendone viziata la motivazione.

Anche sotto tale ultimo profilo il motivo è infondato e per certi versi inammissibile.

La motivazione del giudice di prime cure, riportata nel ricorso e fatta propria dalla Corte d’Appello, è stata la seguente:

“Preliminarmente va chiarito che la domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento è stata formulata dall’attrice in atto di citazione e riproposta al momento della precisazione delle conclusioni: infatti, in atto di citazione, dopo aver elencato i danni subiti – tra cui quelli derivati dall’inadempimento contrattuale (v. pag. 17 dell’atto di citazione) – ne calcola l’ammontare totale – quantificato in Lire 5.255.000.000 – e chiede la condanna al risarcimento; separatamente quantifica il danno all’immagine e chiede che anche questo sia risarcito. La domanda è stata riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, pertanto non può essere condivisa l’eccezione preliminare sollevata dalle società convenute secondo cui l’attrice non avrebbe mai chiesto il risarcimento del danno conseguente all’inadempimento, ma solo del danno da concorrenza sleale e del danno all’immagine”. Va preliminarmente rammentato che l’interpretazione della domanda giudiziale, consistendo in un giudizio di fatto, è incensurabile in sede di legittimità e, pertanto, la Corte di cassazione è abilitata all’espletamento di indagini dirette al riguardo soltanto allorchè il giudice di merito abbia omesso l’indagine interpretativa della domanda, ma non se l’abbia compiuta ed abbia motivatamente espresso il suo convincimento in ordine all’esito dell’indagine. (Cass 5876/11; Cass 12944/12). Nel caso di specie la motivazione appare del tutto adeguata. La stessa si basa infatti sull’accertamento della domanda per come formulata nell’atto di citazione e per come riproposta in sede di precisazione delle conclusioni.

Tale motivazione si attiene a quanto ripetutamente espresso da questa Corte secondo cui il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, deve avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale. (Cass 23794/11). La Corte d’appello ha cioè valutato il contenuto della domanda tenendo conto delle vicende di causa complessivamente rappresentate e di quanto espresso esplicitamente con l’atto di citazione e con le conclusioni di primo grado che la parte ha rassegnato.

In ragione di ciò le censure che le ricorrenti propongono, secondo cui il danno per inadempimento della clausola di esclusiva non era stato richiesto in sede di quantificazione dello stesso, tendono in realtà a proporre una inammissibile censura di merito a quanto ritenuto dalla Corte d’appello e dal giudice di prime cure. A tale proposito è appena il caso di rammentare che questa Corte ha già avuto occasione di affermare che in caso di domanda di risarcimento “di tutti i danni” la quale è indicativa della volontà di conseguire l’integrale risarcimento di tutte le voci di danno legittimamente ricollegabili all’evento lesivo, la successiva specificazione dei singoli danni di cui si invochi la liquidazione ha valore meramente esemplificativo e non può essere interpretata come volontà di delimitare il “petitum”. (Cass 26505/09). Il motivo va quindi respinto.

Altrettanto deve dirsi per quanto concerne il terzo motivo con cui ricorrenti lamentano l’omessa pronuncia sulla domanda subordinata di riduzione del danno liquidato dal giudice di prime cure in ordine alla pretesa violazione del patto di esclusiva. Invero deve ritenersi che la domanda in questione, che risulta riportate in sentenza tra le conclusioni delle parti, sia stata comunque oggetto di esame sia pure implicito da parte della Corte d’appello e che la stessa sia stata rigettata unitamente al rigetto della domanda di tardività della domanda di danno da inadempimento laddove si è ritenuto che il giudice di primo grado aveva motivato adeguatamente sul punto.

Con il quarto motivo le ricorrenti si dolgono del rigetto della loro impugnazione incidentale con cui avevano censurato la sentenza di primo grado laddove aveva dichiarato legittima la sospensione dei pagamenti operata dalla Detas per essere fondata su una giusta eccezione di inadempimento. Il motivo è infondato.

Risulta dal motivo di appello riprodotto nel ricorso che le ricorrenti si erano dolute oltre che sull’accertamento della tempistica dei reciproci inadempimenti anche sulla mancanza di un esame comparativo della loro rispettiva rilevanza e gravità da parte del giudice di primo grado.

Su tale punto la costante giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che la regola costituita dall'”exceptio non rite adimpleti contractus”, di cui all’art. 1460 cod. civ., si fonda su due presupposti: l’esistenza dell’inadempimento anche dell’altra parte e la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, bensì in relazione alla situazione oggettiva (Cass 8425/06). Pertanto nei contratti con prestazioni corrispettive, qualora una delle parti adduca, a giustificazione della propria inadempienza, l’inadempimento dell’altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute rispetto alla funzione economico – sociale del contratto, accertando in primo luogo la gravità dell’inadempimento cronologicamente anteriore, atteso che il requisito della buona fede previsto dall’art. 1460 cod. civ. sussiste qualora il rifiuto sia stato determinato non solo da inadempimento grave ma anche da motivi corrispondenti agli obblighi di correttezza che l’art. 1175 cod. civ. impone alle parti in relazione alla natura del contratto e alle finalità da questo perseguite. (Cass 12978/02,21479/05, 13840/10). La motivazione della sentenza ancorchè sintetica ed in parte implicita appare rispondere ai principi dianzi enunciati. Da tale motivazione si evince che la Schmersal si era resa per prima inadempiente dei propri obblighi contrattuali sospendendo a Detas la consegna di merce già confermata e che ciò aveva causato a quest’ultima problemi nel giustificare la mancata consegna della merce ai propri clienti (teste Br.).

Da ciò la sentenza ha implicitamente dedotto che la gravità prevalente dell’inadempimento fosse addebitabile alla Schmersal posto che essa per prima non aveva assolto alle proprie obbligazioni (elemento cronologico) e che ciò rivestiva particolare gravità avendo avuto ricadute sulla attività commerciale della Detas, che si era trovata nella impossibilità di effettuare le forniture ai propri clienti.

Il ricorso va in conclusione rigettato. Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 10.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2013

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