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La Mediazione familiare, a mio parere, può essere definita come un processo collaborativo di risoluzione dei conflitti tra coniugi assistiti da uno o più soggetti imparziali (c.d. mediatori familiari) il cui compito consiste nel cercare di addivenire, attraverso una serie di comunicazioni con le parti, alla formulazione di una propria proposta che possa alla fine essere accettata dalle stesse e, come tale, idonea a porre fine alla lite sorte tra i coniugi.

L’istituto della di Mediazione Familiare nacque negli Stati Uniti nel 1978 a Bristol e, successivamente fu importato in Europa, dapprima in Gran Bretagna nel 1979 e poi via via adottato nella maggior parte dei paesi europei.

In Italia la mediazione familiare è stata adottata dalla legge 8.02 2006, n.54, la quale, affermando il principio della bigenitorialità in tema di affidamento condiviso della prole, aveva stabilito che l’attuazione del principio sopra descritto dovesse essere effettuato attraverso il possibile ricorso a procedure conciliative, poste “come percorso importante ed efficace per il raggiungimento delle finalità della presente legge” ovvero per consentire il ripristino di un rapporto collaborativo nell’ambito della coppia e, conseguentemente, addivenire al raffreddamento dei livelli di conflittualità.

In particolare la finalità della mediazione familiare è quella di consentire di raggiungere un accordo tra i coniugi che consenta a questi di evitare il sorgere di conflitti deleteri che portino ad un inasprimento dei rapporti tra questi e con la prole. L’istituto in esame ha avuto, fin da subito, una vasta applicazione a tal punto da portare una notevole e repentina riduzione del numero dei procedimenti contenziosi giudiziali in materia familiare.

La diffusione dell’istituto della mediazione e la sua ascesa sempre più crescente all’interno degli uffici giudiziari è oggi considerata da molti, e anche da me, una valida risorsa per tutto il nostro sistema giudiziario e legislativo.Infatti, risolvere un conflitto, attraverso l’utilizzo della mediazione familiare consente agli operatori di riconoscere, apprezzare e approfondire i contrasti nascenti tra i coniugi e, attraverso la disamina dei loro problemi e delle loro posizioni, arrivare a formulare una proposta che possa essere la più vantaggiosa per essi e, successivamente, possa spingerli al raggiungimento di un accordo tra di loro. Nella effettuazione di tale compito il mediatore deve infatti mantenere una posizione centrale e bilanciata tra le parti. Infatti solo mantenendo tale ruolo il mediatore può aiutare i coniugi a raggiungere e combinare le loro energie al fine di giungere alla soluzione del problema, anzichè trasportare la lite in un contenzioso giudiziale.

Talvolta, purtroppo, dalla mia piccola esperienza maturata, sia i mediatori e talvolta anche legali, sono sempre più spesso “trasportati” dalle pretese dei rispettivi clienti fino al punto da immedesimarsi loro stessi nel ruolo delle “parti in giudizio”, giungendo talvolta ad esorbitare nell’ottica della deontologia professionale.

Ciò, conseguentemente, spinge gli stessi mediatori e avvocati a porsi sempre più spesso in competizione l’uno con l’altro per accaparrarsi il possesso di un territorio che entrambi vogliono ovvero il raggiungimento di quel risultato per essi vincente.Ne deriva pertanto, a mio parere, una inevitabile snaturalizzazione della mediazione che sta purtroppo oggi pian piano trasformandosi in strumento di amplificazione dei litigi con notevoli ripercussione negative sia all’interno della famiglia sia all’interno del nostro sistema giudiziario.

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