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Si torna nuovamente a parlare di violenza sessuale, a causa della tristemente nota vicenda accaduta recentemente. Purtroppo, ancora una volta i canali di comunicazione mediatica non informano, ma contribuiscono a sedimentare tra le persone distorte ed erronee convinzioni.

Ancora una volta, si confondono le misure cautelari personali con la pena. Ancora una volta, si strumentalizza una sentenza della Suprema Corte di Cassazione per urlare allo scandalo e al disvalore sociale, che però verrà presto dimenticato dai media.

Infine, ancora una volta, non si comprende la distinzione tra diritto vivente e politica legislativa.

Riassumendo, con la sentenza del 2 febbraio scorso, la Corte di Cassazione ha correttamente annullato un’ordinanza del Tribunale del Riesame di Roma, che aveva confermato la misura della custodia cautelare in carcere per i due giovani accusati di violenza sessuale di gruppo.

Il tribunale del Riesame aveva ritenuto di non poter valutare la sostituzione della custodia cautelare in carcere con altra misura cautelare meno afflittiva, in ragione del divieto legislativo imposto dal c.d. “Decreto sicurezza” approvato con Decreto Legge 23 febbraio 2009, n. 11 e convertito nella legge 23 aprile 2009, n. 38.

Il suddetto Decreto, avendo modificato l’articolo 275, comma 3°, secondo e terzo periodo, del Codice di Procedura Penale, prevedeva, al pari di quanto già avveniva per i reati di  stampo mafioso, l’obbligatorietà della custodia cautelare in carcere per i delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, violenza sessuale, atti sessuali con minorenni e violenza sessuale di gruppo.

Tale divieto di graduazione della misura cautelare caducava ab origine ogni possibile valutazione sul caso concreto, eliminando nettamente la possibilità da parte del Giudice di valutare il soddisfacimento delle esigenze cautelari con altre misure cautelari meno afflittive (come ad es. gli arresti domiciliari).

A riguardo, la Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 265 in data 21 luglio 2010, ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l’art. 275 c.p.p., nella parte in cui prevedeva che, qualora sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine ad alcuni gravi reati contro la persona (tra cui la violenza sessuale), doveva essere applicata obbligatoriamente la custodia cautelare in carcere, salvo che fossero acquisiti elementi dai quali risultassero esigenze cautelari insussistenti.

La Corte di Cassazione, nel corso della motivazione della sentenza del 20.1.2012, ha sostenuto l’applicabilità dei principi interpretativi della citata sentenza della Corte Costituzionale anche al regime cautelare applicabile agli indagati raggiunti da gravi indizi del reato ex art. 609-octies c.p. , ovvero di violenza sessuale di gruppo, in considerazione della non difformità delle caratteristiche essenziali di tale reato rispetto agli altri reati “sessuali” (art. 609-bis o art. 609-quater c.p.).

In particolare, La Suprema Corte ha richiamato la filosofia che anima la disciplina delle misure cautelari personali, affermando con fermezza il criterio del “minor sacrificio necessario”, assicurato dalla pluralità graduata di misure cautelari, tra le quali la custodia cautelare in carcere deve rappresentare l’extrema ratio.

Vi è di più. La Corte di legittimità ha ribadito che l’ordinamento italiano non può tollerare, in tema di misure cautelari, alcun automatismo e presunzione, ma deve lasciare al Giudice l’apprezzamento e la motivazione circa i presupposti e le condizioni che hanno legittimato l’applicazione della singola misura in relazione alla situazione concreta.

Con deflagrante chiarezza, la Corte Costituzionale ha evidenziato che la finalità della custodia preventiva non può e non deve essere considerata la risposta al più che preoccupante allarme sociale causato dal moltiplicarsi dei reati di violenza sessuale.

Pertanto, come spesso accade, i c.d. sostitutivi penali potrebbero essere ancora una volta l’unico rimedio esperibile.

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