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A fronte della assenza di pronunce giurisprudenziali delle magistrature superiori e dei giudici di primo grado, che forniscano una idonea spiegazione circa il significato delle disposizione contenute negli art. 342 e ss del c.p.c. esamineremo brevemente le novità introdotte nel c.d. decreto sviluppo (convertito con legge n.134 del 2012) così come recentemente analizzate attraverso uno studio promosso dall’ ”Ufficio studi giuridici” presso il Consiglio Nazionale Forense.

In primo luogo le novità introdotte dalla citata legge onerano l’appellante a motivare approfonditamente l’appello indicando specificatamente le parti del provvedimento che si intendono impugnare, nonchè le circostanze da cui deriva la violazione di legge e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Tali modifiche, quindi, introducono nel nuovo giudizio di appello, delle conseguenze assai rilevanti soprattutto per quel che concerne i contenuti che deve rivestire tale atto.

In particolare la modifica introdotta dalla suindicata legge onera l’appellante ad indicare espressamente e in maniera estremamente dettagliata, quali parti del provvedimento di primo grado si intendono sottoporre alla attenzione del Collegio, con particolare riferimento alla ricostruzione della vicenda fatta propria nella sentenza e costituente l’oggetto della decisione del giudice di prime cure.

Ne deriva, pertanto, che l’ appellante non dovrà solo “limitarsi” a fare riferimento ai capi e i punti della sentenza che intende impugnare, fornendo altresì al giudice le relative contestazioni, ma dovrà anche articolare, e “suggerire” le modifiche che il Collegio dovrà apportare alla luce della ricostruzione dei fatti di causa così posta dall’istante.

Sulla base di ciò, l’appellante dovrà poi esaltare ed sollevare come l’errata ricostruzione del fatto posta dal giudice abbia prodotto, nella decisione di questi, una errata applicazione della disposizione di legge ritenuta dall’appellante rilevante ai fini della composizione della lite.

La mancanza di tali elementi e degli opportuni approfondimenti determinano l’inammissibilità del giudizio di appello e, pertanto, portano la parte istante a subire una declaratoria di inammissibilità del medesimo.

Nonostante poi la riforma del nuovo giudizio di appello preveda una maggiore ed approfondita articolazione delle contestazioni poste dall’appellante, essa rimane tuttavia ancorata ad un successivo giudizio di “ragionevole probabilità di accoglimento” posto dal giudice di appello.

Infatti, precisa la legge n.134, che ove il giudice d’appello ritenga che l’impugnazione non abbia una “ragionevole probabilità di essere accolta” ne dichiarerà l’inammissibilità con ordinanza spogliandosi pertanto della causa. Avverso tale provvedimento l’appellante potrà ricorrere in Cassazione.

Sulla base di tale assunto e in assenza di pronunce giurisprudenziali al riguardo restano ancora oggi fortissimi dubbi circa il significato da attribuire al termine “ragionevole probabilità di accoglimento” prevista dal nuovo art. 348 bis c.p.c..

Secondo la maggioranza della dottrina, e secondo quanto emerso dagli studi effettuati presso il CNF, si è affermata l’idea che tale concetto debba essere interpretato in senso letterale.

In altri termini il significato espresso dalla disposizione in esame pretende che l’accoglimento dell’appello debba essere considerato ammissibile dal giudice laddove egli, alla luce di una valutazione sommaria e allo stato delle prove a lui presentate, dichiari esistenti le pretese avanzate dall’appellante e, pertanto, ritenga che sussista una “ragionevole probabilità che la domanda attorea possa trovare accoglimento”.

Alla luce di quanto esposto ritengo che, in attesa di pronunce giurisprudenziali in merito, il nuovo giudizio di appello limiti fortemente la possibilità per l’attore di poter usufruire di tale  strumento poichè ostacola fortemente a questi la possibilità di poter contestare l’ingiustizia del provvedimento del giudice di primo grado, ponendosi per tale aspetto, in netto contrasto con l’art. 111 della Costituzione.

Una ulteriore conferma di tale considerazione deriva dalla riforma dell’art. 345 c.p.c. concernente le nuove prove ammissibili.

Con tale disposizione  viene soppressa oggi la possibilità per il Collegio di ammettere nuovi mezzi di prova e documenti ritenuti “indispensabili” ai fini della decisione della causa, con la conseguenza evidente che l’integrazione probatoria in sede di appello resta ancorata solamente all’avvento del caso fortuito o forza maggiore laddove opportunamente dimostrati.

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