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Non è configurabile il reato previsto dall’art. 473 c.p. (Contraffazione, alterazione o uso di marchio segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni) con riferimento ai marchi non ancora registrati. Lo ha stabilito la Suprema Corte con la Sentenza nr. 25273 del 2012.

L’antefatto: La vicenda de qua traeva origine dalla abusiva riproduzione di un marchio figurativo – non registrato – su un numero determinato di capi di abbigliamento.

La questione: Il profilo problematico nasceva dall’esistenza di due orientamenti contrapposti della giurisprudenza di legittimità. Sulla base del primo, più risalente, si è, invero, ritenuto che per la configurabilità dei delitti contemplati dall’art. 473 c.p. è necessario che il marchio o il segno distintivo sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge all’esito della prevista procedura (cfr. Cass. Pen. 6418/1998; in senso conforme V. anche 11816/1980 e 8250/1986). Sulla base del secondo e più recente orientamento, al contrario, si è affermato che non è necessario che il segno distintivo di cui si assume la falsità sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge, ma è sufficiente la presentazione della relativa domanda (Cass. Pen. 9752/2009).

La soluzione: La Suprema Corte, investita della questione, dopo aver richiamato entrambi gli orientamenti, ha, tuttavia, ritenuto di dover applicare alla vicenda de qua l’orientamento secondo cui la tutela penale non si estende ai marchi non registrati.

Si ribadisce, infatti, che il bene giuridico protetto è la garanzia dell’interesse pubblico preminente della fede pubblica, piuttosto che quello privato del soggetto titolare dei diritti di sfruttamento del marchio. Inoltre, si evidenzia come l’art. 473 comma 3 c.p., disponga espressamente che: I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale. Da ciò – secondo gli Ermellini – dovrebbe desumersi la necessarietà della registrazione.

Questa conclusione, secondo la Corte, assume maggior valore a seguito della riforma dell’art. 473 c.p., operata dalla L. 23 luglio 2009 n. 99 che, infatti, ha inserito l’inciso “potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale” nell’art. 473 I° comma, c.p: si può conoscere, infatti, solo un titolo già rilasciato mentre la semplice richiesta dello stesso non da luogo, di perse, alla garanzia dell'esito positivo della procedura amministrativa avviata.

In conclusione, quindi, si può affermare che la tutela penale prevista dall’art. 473 c.p. possa applicarsi ai soli marchi registrati, fermo restando che il mero deposito della domanda sarà suscettibile di avere rilevanza ai fini civili.

 * * *

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARASCA Gennaro – Presidente –

Dott. OLDI Paolo – Consigliere –

Dott. SANDRELLI Gian Giacomo – Consigliere –

Dott. VESSICHELLI Maria – rel. Consigliere –

Dott. ZAZA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) D.S. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 2090/2007 CORTE APPELLO di BARI, del 25/10/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/04/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GALASSO A. che ha concluso per il rigetto;

Udito il difensore Avv. O. F.M. in sost. Avv. C.

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione D.S. avverso la sentenza della Corte di appello di Bari in data 25 ottobre 2010 con la quale, in riforma della sentenza di primo grado – che era stata di assoluzione ed era stata impugnata dalla sola parte civile – è stata pronunciata condanna al risarcimento del danno in ordine al comportamento contestato come contraffazione, ex art. 473 c.p., del disegno “figura di cuore-Sweet-years”, riprodotto illecitamente su un certo numero di capi di abbigliamento, disegno di proprietà della S.r.l. Go Old 50 di Milano.

Il fatto è stato accertato il (OMISSIS).

La Corte d'appello riteneva di seguire la giurisprudenza più recente che – a differenza di quella valorizzata dal giudice di primo grado – sostiene che la fattispecie di cui all'art. 473 c.p., contestata nella specie, sia da ritenere integrata quando la contraffazione riguardi un marchio o un disegno relativamente ai quali sia stata solo presentata la domanda di registrazione.

Deduce il ricorrente:

1) la inosservanza dell'art. 473 c.p. per essere state disattese le diverse opzioni interpretative della giurisprudenza di legittimità seguita dal giudice di primo grado (Cass. Sent. n. 6418 del 1998).

Secondo questa, la tutela prevista dall'articolo menzionato presuppone che il marchio o il segno distintivo sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge. Invece la tutela del marchio nella fase interinale tra la presentazione della domanda e la registrazione è prevista ai soli effetti civili, senza esplicare alcun effetto sul piano della tutela penale;

2) in via subordinata la difesa chiede che la contestazione venga comunque derubricata in quella di cui all'art. 517 c.p..

Tale ipotesi punisce la riproduzione del segno o del marchio avvenuta in maniera soltanto parziale, ossia con pochi tratti di somiglianzà rispetto a quelli originali, essendo, l'art. 517 c.p., posto a tutela non della fede pubblica ma dell'ordine economico. Proprio questa sarebbe la fattispecie ricorrente nel caso concreto in cui, sulle magliette sequestrate, è stata riprodotta la sc

ritta Swett Newk e non Sweet Years accanto ad un cuore parzialmente stilizzato: una mera imitazione e non certo una contraffazione del marchio, il quale, oltretutto, non si richiede nemmeno che debba essere stato previamente registrato ma solo adottato da altro imprenditore.

Una simile soluzione comporterebbe, peraltro, la revoca delle statuizioni civili atteso che la parte civile costituita non potrebbe corrispondere al soggetto giuridico danneggiabile per effetto della condotta in esame: un soggetto collettivo rappresentato dalla massa dei consumatori e non già la casa utilizzatrice del marchio non ancora rilasciato.

La difesa denuncia, altresì, sul punto, un vizio di motivazione da parte della Corte di merito che non si sarebbe posta, attraverso la disposizione di un'apposita perizia, nelle condizioni per motivare le ragioni dell'eventuale sussistenza o insussistenza della fattispecie gradata.

Alla odierna udienza il difensore del ricorrente ha chiesto dichiararsi la prescrizione del reato.

Il ricorso è fondato nei termini che si indicheranno.

Preliminarmente occorre rilevare la eccentricità della richiesta difensiva, formulata durante la odierna discussione, tenuto conto che l'imputato è stato assolto in primo grado e tale statuizione è rimasta intangibile anche in grado di appello, ove le ragioni della parte civile sono state (ri)valutate esclusivamente ed autonomamente, su sua domanda, ai soli effetti civili. La prescrizione del reato, essendo statuizione che riguarderebbe il versante degli effetti penali della sentenza, è preclusa dal giudicato assolutorio su tale punto.

Quanto al merito del ricorso, capace di spiegare effetti ai soli effetti civili, ritiene questa Corte che debba essere seguito l'orientamento evocato dal ricorrente, e fatto proprio dalla giurisprudenza – allo stato invero risalente – di questo giudice della legittimità, secondo cui, poichè la tutela penale dei marchi o dei segni distintivi delle opere dell'ingegno o di prodotti industriali è finalizzata alla garanzia dell'interesse pubblico preminente della fede pubblica, più che a quello privato del soggetto inventore,l'art. 473 c.p., comma 3 – secondo il quale le norme incriminatrici in tema di contraffazione e alterazione dei marchi o dei segni si applicano sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale – deve essere interpretato nel senso che per la configurabilità dei delitti contemplati dai precedenti commi del medesimo articolo è necessario che il marchio o il segno distintivo, di cui si assume la falsità, sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge all'esito della prevista procedura, sicchè la falsificazione dell'opera dell'ingegno può aversi soltanto se essa sia stata formalmente riconosciuta come tale. (In motivazione la Corte ha precisato come dall'affermazione di tale principio discenda che la tutela penale dei marchi e dei segni distintivi non possa estendersi – contrariamente a quanto avviene in campo civilistico – anche alla posizione interinale del brevettante nel periodo intercorrente tra il momento della presentazione della domanda e quello della concessione del brevetto o della registrazione) (Sez. 2, Sentenza n. 6418 del 26/03/1998 Ud. (dep. 02/06/1998) Rv. 211176).

Invero non ignora, questa Corte l'opposto orientamento della stessa giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di contraffazione o alterazione di brevetti, disegni e modelli industriali ai sensi dell'art. 473 c.p., la presentazione della domanda di brevetto, con la specificazione delle singole rivendicazioni e con la descrizione dei modelli, vale ad individuare l'oggetto materiale della tutela penale. Ed invero, dal momento della presentazione della domanda conoscibile dal pubblico diventa possibile l'illecita riproduzione del modello, sicchè l'anticipazione dell'efficacia del brevetto al momento della presentazione della domanda ha una sua peculiare e specifica rilevanza proprio ai fini della tutela penale del modello (Sez. 5, Sentenza n. 8758 del 22/06/1999 Ud. (dep. 08/07/1999) Rv. 214653 Presidente: Pandolfo GV. Estensore: Nappi A.; conf. Sez. 5, Sentenza n. 48534 del 07/10/2011 Ud. (dep. 28/12/2011) Rv. 251538; Sez. 2, Sentenza n. 6323 del 21/11/2006 Cc. (dep. 14/02/2007) Rv. 235713; Sez. 5, Sentenza n. 9752 del 08/01/2009 Cc. (dep. 03/03/2009) Rv. 242997).

Tuttavia deve osservarsi, conformemente anche alla dottrina che ha commentato la innovazione apportata alla materia de qua con L. 23 luglio 2009, n. 99 (che con l'art. 15, comma 1, lett. a) ha “riscritto” l'art. 473 c.p.), che l'inciso inserito nel nuovo testo dell'art. 473 c.p., comma 1 “potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale” lascia fondatamente pensare che, con la detta riforma, si è inteso ratificare la giurisprudenza che richiedeva, per la tutela penale, la avvenuta registrazione del marchio o del segno, non bastando la semplice domanda: si può conoscere, infatti, solo un titolo già rilasciato mentre la semplice richiesta dello stesso non da luogo, di perse, alla garanzia dell'esito positivo della procedura amministrativa avviata. Non risulta, d'altra parte, dall'andamento dei lavori preparatori, che il legislatore abbia manifestato in modo chiaro una volontà diversa da quella risultante dalla lettera della legge promulgata.

Nè può ritenersi che il citato inciso, formulato testualmente con riferimento alla posizione del contraffattore materiale del marchio, non estenda la propria efficacia – limitatrice della operatività del precetto – alla posizione, menzionata nello stesso comma della norma e rilevante per il caso di specie, del semplice utilizzatore del marchio contraffatto.

La impossibilità, dunque, di ritenere configurabile, anche solo per gli effetti civili, la ipotesi di reato contestata nel caso di specie, comporta la necessità che venga esplorata, con adeguata motivazione – ponendosi tale onere a carico del giudice civile competente per valore in grado di appello – la eventualità che la condotta accertata a carico del ricorrente integri gli estremi della diversa e meno grave fattispecie dell'art. 517 c.p. – evocata dalla stessa difesa – fattispecie che sarebbe sussistente in presenza di un marchio – come nella specie – semplicemente imitato, per quanto al tempo non registrato; al giudice del rinvio è fatto carico altresì di valutare la idoneità della accertata condotta, ove rilevante ai sensi dell'art. 517 c.p., a cagionare un danno alla odierna parte civile.

 P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, per nuovo esame.

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