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Trasmissione televisiva: limiti al diritto di cronaca e di critica. Il difficile equilibrio tra il diritto di manifestazione del pensiero del giornalista e il diritto dei cittadini di poter formare liberamente il proprio pensiero

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Il Tribunale di Torino, con la sentenza del 20.02.2012 ci offre l’occasione per ripercorrere brevemente i principi che regolano l’attività del giornalista e i diversi, e spesso contrastanti, diritti sottesi alla materia.

Il caso in questione è di rilevanza nazionale e ha riempito le pagine di tutti i più importanti quotidiani: all’interno di una trasmissione televisiva di approfondimento, in cui ci si occupava del sistema industriale Italia, è stato trasmesso un servizio avente ad oggetto una gara di velocità tra le autovetture di tre diverse case automobilistiche, svolta su un circuito – nell’occasione bagnato e/o innevato -, diffondendo risultati che, a parere della società istante, si rivelavano gravemente diffamatori, procurando ingenti danni patrimoniali e non alla casa costruttrice.

In particolare, il test effettuato aveva lo scopo di mettere in evidenza come il modello (si trattava di una macchina sportiva) prodotto dall’attrice fosse meno veloce rispetto a quello dei diretti concorrenti, ingenerando quindi l’idea che il prodotto in questione fosse scadente in confronto a quello messo in commercio dalle altre case automobilistiche.

Ad avvalorare la tesi sostenuta dal giornalista, si aggiungeva come i test effettuati confermassero quelli realizzati dalla rivista specializzata Q.

Il Tribunale di Torino, invece, ha riconosciuto come la condotta posta in essere dal giornalista e dall’azienda televisiva fosse illecita e pertanto sanzionabile ai sensi dell’art. 2043 c.c..

Nello specifico, il Giudice rilevava come il servizio fosse stato artatamente realizzato per screditare ingiustificatamente quel determinato modello. Infatti, durante la trasmissione non era stato specificato che i modelli in questione differivano per cilindrata, pesi, presenza ESP, il che inevitabilmente incideva sulle prestazioni.

Inoltre, dal confronto con il servizio svolto dal mensile Q., emergevano ulteriori differenze, dato che i test effettuati per la trasmissione televisiva erano avvenuti su asfalto bagnato e innevato – circostanza che incide sulle prestazioni delle vetture a seconda dell’ordine di partenza -, mentre quelli effettuati dalla rivista specializzata erano stati effettuati su terreno asciutto.

Infine, i test effettuati dalla rivista avevano portato alla conclusione che il modello sportivo dell’attrice era si il più lento in pista, ma in definitiva era quello consigliato rispetto agli altri, perchè, ai fini del giudizio sulla sportività, entravano in gioco altresì diversi fattori.

In altre parole, si sottolineava come, pur trattandosi di modelli sportivi, non erano però veicoli destinati esclusivamente alle gare, per cui la velocità era solo uno dei parametri, insieme, ad esempio, al comfort e alla sicurezza, di cui era necessario tenere conto.

Dal punto di vista giuridico era stato violato, a parere del Tribunale, il requisito della verità oggettiva, dato che non corrispondeva al vero la circostanza per cui il modello prodotto dall’attrice era tecnicamente inferiore rispetto agli altri.

Ad aggravare la posizione dei convenuti vi era anche il fatto che essi, per avvalorare la loro tesi, avevano sostenuto, durante la trasmissione, che le conclusioni cui erano pervenuti non erano altro che la conferma di quelle della rivista specializzata, in questo modo rafforzando la propria tesi agli occhi dei telespettatori, i quali, conoscendo la fama del mensile in questione, erano portati a dare maggiore credito al contenuto del servizio.

In realtà, come si evinceva dalla fase dibattimentale, la rivista in questione aveva dato un giudizio complessivo diametralmente opposto.

La condotta posta in essere sarebbe quindi, a parere del Tribunale, doppiamente colpevole:Ai telespettatori, infatti, come già accennato, non solo è stato fornito un dato difforme dal vero, ma anche è stato taciuto il dato che la Rivista Q., espressamente richiamata per avvalorare la negativa informazione sulla A., aveva invece compiuto una valutazione positiva della vettura A., addirittura attribuendo, mediante il chiaro ed immediato “linguaggio dei numeri”, il punteggio complessivo più alto”.

In relazione al requisito della verità della notizia, la Suprema Corte ha specificato come non esista verità della notizia quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, allo stesso tempo, dolosamente o colposamente taciuti altri fatti tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottesi obiettivamente idonei a creare nella mente dell’ascoltatore false rappresentazioni della realtà oggettiva (Cass.Civ.n.1205/2007).

Per ciò che concerne, invece, il requisito della pertinenza, il Giudice ha rilevato come “non può essere affermato un interesse della opinione pubblica alla conoscenza di una notizia non vera; la verità deve infatti investire l’intero contenuto informativo della comunicazione, in quanto solo il rigoroso rispetto della verità soddisfa l’interesse sociale alla informazione, che non è configurabile in relazione a false notizie diffamatorie tanto da non consentire la operatività dell’art. 51 cp ( Cass. Pen. Sez. V 87/177154; Cass. Pen. Sez. V 91/187195)”.

Il Giudice, inoltre, ha statuito come nel caso de quo ci si trovasse di fronte non tanto all’esercizio del diritto di critica, richiamato da parte convenuta, quanto piuttosto a quello di cronaca, dato che i messaggi e i comportamenti oggetto di causa appartengono alla cronaca.

Come noto, nell’esercizio del diritto di critica è tollerato un linguaggio più colorito e aspro, in quanto ritenuto connaturato e insito in tale tipo di attività. Fermo restando, però, il rispetto del canone della verità.

Ma la pronuncia in questione si segnala soprattutto perchè specifica il contenuto odierno del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, di cui all’art. 21 Cost.: esso implica non solo il diritto di informare, bensì anche il diritto di essere informati.

Si tratta di due facce della stessa medaglia: il giornalista si deve sentire libero di manifestare liberamente il proprio pensiero, ma lo stesso diritto deve poter essere esercitato da tutti i cittadini, per cui è necessario che le notizie diffuse siano oggettivamente o putativamente vere.

Per tornare all’oggetto della causa, la condotta dei convenuti ha creato, a parere del Tribunale, un danno potenziale a tutti i consumatori, la cui opinione avrebbe subito un’illecita distorsione a causa delle modalità con cui sono state riportate le notizie, ad esempio fornendo solo alcuni dati piuttosto che altri.

Osserva il Tribunale che “anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, autorevolmente ricollegando in maniera inscindibile informazione (da parte di chi fornisce notizie) e consenso (da parte di chi riceve le notizie), premesso che la diffusione di informazioni giornalistiche gioca un ruolo fondamentale in una società democratica, ha evidenziato che al diritto del giornalista di comunicare fatti di interesse generale, corrisponde il diritto del pubblico di ricevere tali informazioni, ed, al proposito, ha ribadito il fondamentale principio del limite del rispetto della verità dei fatti esposti (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. II, 17/7/2008 n 42211 in riferimento alla diffamazione a mezzo stampa)”.

Sul quantum, il Giudice di prime cure ha riconosciuto il risarcimento per i danni patrimoniali, relativi soprattutto ai soldi spesi per realizzare un’idonea campagna di contrasto, e a quelli non patrimoniali, connessi al sub brand A.M., oltre al classico risarcimento in forma specifica mediante la pubblicazione della sentenza sui maggiori quotidiani nazionali.

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