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Trust liquidatorio. Ormai (quasi) pacificamente ammessa la figura del trust interno, la Cassazione si pronuncia sul trust liquidatorio, ponendo in luce l’eventualità del contrasto con la disciplina fallimentare.

Secondo la Convenzione dell’Aja del 1985, ratificata con legge n. 364/1989, il trust è un rapporto giuridico che nasce da un atto dispositivo con cui il disponente (settlor) trasferisce suoi beni al trustee, con il compito di gestirli secondo quanto previsto nell’atto istitutivo del trust, nell’interesse di beneficiari o per il raggiungimento di uno scopo, spesso sotto la supervisione di un guardiano (protector).

Effetto principale del trust è quello segregativo, per il quale si determina la separazione dei beni conferiti, nei confronti del patrimonio sia del disponente che del trustee, con la conseguenza che i loro creditori particolari non potranno aggredirli, salvo revocatoria.
L’assenza di una disciplina nazionale, fatta eccezione per l’articolo 2645 ter c.c., ha posto il problema della legittimità del trust interno, ovvero del trust in cui tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi siano legati ad un ordinamento, come il nostro, che non qualifica lo specifico rapporto come trust, mentre esso viene regolato con il richiamo ad una legge straniera che gli attribuisce quella qualificazione.
Ultimamente, anche alla luce della sentenza della Cassazione n. 10105/2014, sembra che si sia riconosciuta cittadinanza giuridica al trust interno, atteso che la Suprema Corte nella citata pronuncia dà per presupposta la legittimità dell’istituto.

In particolare, premesso brevemente che i trust “puramente liquidatori” realizzano una modalità alternativa di liquidazione di società in bonis, consentendo al trustee di eseguire le operazioni di liquidazione ed alla liquidata di cancellarsi dal registro imprese, la vicenda esaminata dalla Cassazione riguarda un trust “falsamente liquidatorio”, istituito da una società da poco posta in liquidazione, ma in un momento in cui si trovava già in una situazione di insolvenza.
Secondo la Suprema Corte, il conflitto con la disciplina inderogabile fallimentare determina l’inesistenza giuridica del trust falsamente liquidatorio, perché il patrimonio del debitore non può essere sottratto alla procedura pubblicistica, sostituendola con l’attività del trustee.
Peraltro, varie pronunce del Tribunale di Milano hanno affermato che anche il trust puramente liquidatorio non sarebbe ammissibile, perché la cancellazione dal registro delle imprese costituisce l’esito di una fattispecie a formazione progressiva, disciplinata imperativamente dalla legge, almeno quanto alle società di capitali. Invece, nelle società di persone l’articolo 2275 c.c. è interpretato dalla dottrina nel senso che la procedura di liquidazione sia derogabile dai soci.
In conclusione, malgrado l’apertura della Corte di Cassazione al trust puramente li85quidatorio, occorre una certa prudenza, in considerazione della posizione sopra richiamata dei giudici di merito.

L’immagine del post è stata realizzata da Unspalsh, rilasciata con licenza cc.

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