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Con la pronuncia n. 409 del 13 gennaio 2012, la Cassazione torna sul tema del recesso per inadempimento in presenza di caparra confirmatoria, riaffermando il principio secondo cui: ai fini della legittimità del recesso ex art. 1385 cod. civ. come della risoluzione, non è sufficiente l’inadempimento ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 cod. civ.

L’occasione ci consente di ripercorrere, brevemente, i tratti salienti dell’istituto della caparra confirmatoria, al fine di fornire un quadro esaustivo dei principi in tema di importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c.

La caparra confirmatoria consiste nella materiale dazione di una somma di denaro o di altre cose fungibili, in considerazione di un possibile inadempimento, meglio, di una mancata esecuzione del contratto cui accede (cfr. BARBERO S., Diritto privato italiano, Torino, 1951, 89).

Detto istituto è disciplinato dall’art. 1385 c.c., che, per l’appunto, stabilisce che, qualora sia stata versata una somma a titolo di caparra confirmatoria, questa, nel caso in cui il contratto si estingua con l’adempimento, deve essere “restituita ovvero imputata alla prestazione dovuta” (In realtà, nella stragrande maggioranza dei casi, la restituzione della caparra confirmatoria non avviene quasi mai, in quanto viene solitamente imputata al prezzo residuo dovuto, per ragioni di praticità). Viceversa, in caso di inadempimento, la parte non inadempiente può: a) esercitare il diritto di recesso, ritenendo la caparra o esigendo il doppio di quella versata (art. 1385 comma 2), b) domandare, secondo le regole generali, l’adempimento o la risoluzione del contratto, oltre al risarcimento del danno (art. 1383 comma 3). Evidente la differenza rispetto all’acconto, che, in caso di inadempimento, dovrà comunque essere restituito.

Per quanto concerne la natura giuridica della caparra confirmatoria, secondo un orientamento costante, cristallizzato in Cass. Civ. 5424/2002 essa si qualifica come un contratto che si perfeziona con la consegna che una parte fa all’altra di una somma di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili per il caso d’inadempimento delle obbligazioni nascenti da un diverso negozio ad essa collegato (c.d. contratto principale), e, sebbene la prestazione della caparra confirmatoria, necessaria al perfezionamento del negozio, sia riferita dall’art. 1385, comma 1, c.c. al momento della conclusione del contratto principale, le parti, nell’ambito della loro autonomia contrattuale, possono, tuttavia, differirne la dazione, in tutto od in parte, ad un momento successivo, purchè anteriore alla scadenza delle obbligazioni pattuite.

Inoltre, in Cass. Civ. 11356/2006, si è chiarita la duplice funzione della caparra, in quanto, da un lato, è volta a garantire l’esecuzione del contratto, venendo incamerata in caso di inadempimento della controparte (sotto tale profilo avvicinandosi alla cauzione); dall’altro, nel caso di inadempimento, costituisce una liquidazione anticipata del danno subito dalla parte non inadempiente.

In caso di inadempimento del contratto, si è detto che alla parte non inadempiente è riconosciuta la possibilità di trattenere la caparra (o esigere il doppio di quella prestata) ovvero di domandare la risoluzione del contratto, unitamente al risarcimento del danno, secondo i criteri ordinari.

Tali rimedi sono tra loro alternativi e non cumulabili, come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 553/2009), che, sul punto hanno affermato che: “in caso di inadempimento del contratto preliminare di vendita, la parte non inadempiente può chiedere in giudizio la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni subiti oppure può chiedere il recesso del contratto e il trattenimento della caparra confirmatoria ricevuta all’atto della stipula del preliminare. Resta, però, inibito all’adempiente di convertire la domanda di risoluzione e di risarcimento in domanda di recesso e trattenimento della caparra ricevuta, poiché la parte inadempiente deve essere tutelata, per motivi giuridici e di equità, nei propri diritti difensivi qualora essa non sia stata posta in condizione di contraddire agli argomenti introdotti ex novo dalla propria controparte processuale

Ferma restando l’alternatività dei rimedi sopra indicati, tuttavia, recesso e risoluzione si fondano, in realtà, sui medesimi presupposti e, di conseguenza, vengono assoggettati alla medesima discipina. In particolare, in Cass. Civ, n. 11784/2002, cit., si è sostenuto che il recesso per inadempimento ex art. 1385, comma 2, c.c., costituisce uno strumento speciale di risoluzione del contratto, collegato alla pattuizione di una caparra confirmatoria quale determinazione convenzionale del danno risarcibile e che, di conseguenza, in tal caso, debbano essere assunti gli stessi criteri previsti per la domanda di risoluzione per inadempimento.

Di conseguenza, come, altresì, riaffermato dalla pronuncia in commento, non ogni inadempienza giustifica il rimedio di cui all’art. 1385 comma 2 c.c. ai fini della legittimità del recesso ex art. 1385 cc. come della risoluzione, non è sufficiente l’inadempimento ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 cod. civ.

In particolare, in Cass. Civ. 3954/2008, si è precisato che detta valutazione viene operata alla stregua di un duplice criterio, applicandosi in primo luogo un parametro oggettivo, attraverso la verifica che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale. L’indagine va poi completata mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità, nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata.

Nella pronuncia in commento la Suprema Corte, pertanto, ha riconosciuto la “non gravità” dell’inadempimento con riferimento all’ipotesi di stipulazione di un preliminare di vendita avente ad oggetto un’unità immobiliare con destinazione abitativa, in cui, tuttavia, per mero errore materiale degli elaborati grafici, era stata indicata una destinazione diversa (sottotetto e ripostiglio con servizi igienici).

Al riguardo, ha ritenuto correttamente motivata la pronuncia del giudice di secondo grado che ha, correttamente, ritenuto che la condotta ascrivibile alla convenuta fosse quella relativa alla mancata regolarizzazione della documentazione urbanistica e, per tale ragione, ha considerato non grave l’inadempimento precisando che sarebbe stato, invece, grave ove l’immobile effettivamente non avesse avuto la destinazione pattuita ma quella di sottotetto e ripostiglio.

Vale la pena, infine, precisare che il concetto di gravità dell’inadempimento si ricollega ad altri istituti fondamentali del diritto civile:

  • la clausola risolutiva espressa, in cui sono le stesse Parti a qualificare la gravità dell’inadempimento di una o più specifiche obbligazioni contrattuali. In tal caso, si produce una risoluzione di diritto del contratto. 
  • la predeterminazione della gravità dell’inadempimento da parte dello stesso legislatore, come nel caso del mancato pagamento dell’affitto.

* * *

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 29250/2010 proposto da:

V.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 78, presso lo studio dell’avvocato ORSINI ALESSANDRO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALERNO GABRIELLA giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo studio dell’avvocato PARDINI LUCA, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONGIOVANNI CARLO ALBERTO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1521/2009 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, del 22/09/2009 depositata il 18/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato ORSINI ALESSANDRO difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

<

div style=”text-align: justify”>Svolgimento del processo e motivi della decisione

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata alle parti:

“1. V.I. conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Lucca sezione distaccata di Viareggio B.M.T. per sentire accertare l’inadempimento della convenuta al contratto preliminare con il quale quest’ultima gli aveva promesso in vendita un unità immobiliare con destinazione abitativa, con la condanna della medesima al pagamento del doppio della caparra.

Faceva presente che, dalla documentazione consegnata all’acquirente e dalle indagini da quest’ultimo effettuate al momento in cui doveva stipularsi il definitivo, era risultato che l’immobile aveva la destinazione di sottotetto e ripostiglio con servizi igienici e non era abitabile, sicchè l’immobile non aveva le caratteristiche pattuite.

La convenuta resisteva sostenendo che l’immobile fosse abitabile e che, per mero errore materiale degli elaborati grafici, nel provvedimento amministrativo – suscettibile di semplice correzione – era stata indicata una destinazione diversa.

Il tribunale accoglieva la domanda con sentenza che era riformata in sede di gravame in cui – premesso che l’immobile avesse caratteristiche idonee alla commerciabilità, che la documentazione urbanistica era affetta da un mero errore materiale suscettibile di correzione e che in effetti era stato successivamente corretto in breve tempo – era esclusa la gravità dell’inadempimento della promittente venditrice, inadempimento consistito nel non avere fornito al promissario acquirente idonea documentazione attestante la destinazione abitativa pattuita.

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi V. I..

Ha resistito l’intimata.

2. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., essendo manifestamente infondato.

Il primo motivo, lamentando violazione del principio di corrispondenza fa chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cod. cod. proc., deduce che la sentenza – nel ritenere che la sanatoria consegnata all’attore successivamente alla data del 28-2-2002 (stabilita per la stipula del definitivo) era idonea a rendere commerciabile l’immobile come civile abitazione – aveva posto a base della decisione un’ eccezione in senso stretto che la convenuta non aveva sollevato, posto che la medesima aveva sempre sostenuto un fatto diverso ovvero che l’immobile aveva i requisiti di civile abitazione sulla base della documentazione amministrativa consegnata alla data del 28-2-2002: la convenuta non aveva mai eccepito la non essenzialità del termine ovvero che il V. le avrebbe dovuto concedere una proroga per ottenere una nuova sanatoria.

Il secondo motivo denuncia la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata laddove, dopo avere ritenuto che l’immobile non era commerciabile per civile abitazione e che la documentazione consegnata al promissario impediva di vendere l’immobile, aveva affermato che la concessione era sanabile con una semplice procedura, escludendo per tale ragione la gravità dell’inadempimento che poi peraltro riteneva tale per non essersi la promittente venditrice offerta o attivata per ottenere prima della causa la correzione dell’errore. Ma, a questo punto, sarebbe stata la convenuta a dovere chiedere la proroga del termine fissato per la stipula e a doversi attivare: il che non fece ma inviò una diffida ad adempiere, sicchè correttamente l’attore manifestò il recesso perchè la convenuta non si offrì di correggere la sanatoria.

Il terzo primo motivo, lamentando violazione dell’art. 1218 cod. civ., deduce che, a stregua della condotta posta in essere dalla convenuta, i Giudici avrebbero dovuto applicare i principi in materia di responsabilità contrattuale essendo emerso l’inadempimento della medesima, senza che fosse necessario verificare l’essenzialità del termine pattuito, sicchè legittimo fu il recesso dell’attore.

I motivi – che, essendo strettamente connessi possono essere esaminati congiuntamente – vanno disattesi. a) Nella specie, l’azione di recesso dal contratto proposta dall’attore era fondata sull’inadempimento (fatto costitutivo), che sarebbe consistito nella mancanza delle caratteristiche dell’immobile pattuite a stregua della documentazione urbanistica consegnata all’attore: rientrava nei poteri officiosi del giudice verificare, come ha per l’appunto fatto la sentenza impugnata, l’esistenza e la gravità dell’inadempimento posto a base della domanda e che era stato contestato dalla convenuta, non essendo evidentemente in alcun modo vincolante il tenore di quelle che erano state le difese dalla medesima formulate e che sono state peraltro soltanto in parte considerate valide.

Occorre al riguardo ricordare che eccezioni non rilevabili d’ufficio sono solo quelle in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito (Cass. 12353/2010). b) non sussiste la dedotta contraddittorietà della motivazione, atteso che secondo quanto accertato dai Giudici l’immobile aveva le caratteristiche pattuite avendo nella sostanza la destinazione abitativa ma che la documentazione consegnata all’attore non era rispondente a tale situazione: peraltro, la sentenza ha chiarito che tale non corrispondenza era il frutto di un mero errore materiale rilevabile dall’esame della stessa documentazione (quindi dallo stesso promissario acquirente) e suscettibile di correzione che poteva essere ottenuta – come successivamente fu effettivamente ottenuta – nel giro di un mese dalla relativa istanza.

Coerentemente, da tali premesse la sentenza ha: escluso che l’inadempimento addebitabile potesse individuarsi nella mancanza della destinazione abitativa pattuita; ha, invece, ritenuto che la condotta ascrivibile alla convenuta fosse quella relativa alla mancata regolarizzazione della documentazione urbanistica e, per tale ragione, ha considerato non grave l’inadempimento precisando che sarebbe stato, invece, grave ove l’immobile effettivamente non avesse avuto la destinazione pattuita ma quella di sottotetto e ripostiglio;

c) ai fini della legittimità del recesso ex art. 1385 cod. civ. come della risoluzione, non è sufficiente l’inadempimento ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., dovendo il giudice tenere conto della effettiva incidenza dell’inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l’utilità del contratto alla stregua dell’economia complessiva dello stesso; la sentenza impugnata, attenendosi a tali principi, ha compiuto tale valutazione e a tal fine ha proceduto alla (necessaria) verifica circa la natura non essenziale del termine pattuito per il definitivo (il cui accertamento è riservato all’indagine del giudice di merito che deve compierlo alla stregua della interpretazione della volontà negoziale), avendo ritenuto che la proroga dei termini per la stipula del definitivo, necessaria per la regolarizzazione della documentazione urbanistica – da definirsi in tempi rapidi e in quello spirito di cooperazione che deve ispirare il comportamento dei contraenti alla luce del principio della buona fede al quale i Giudici hanno evidentemente inteso riferirsi – non avrebbe potuto fare venir meno l’interesse del promissario acquirente all’esecuzione del contratto.

Le doglianze si risolvono nella censura della valutazione circa la non scarsa importanza dell’inadempimento che ha a oggetto un accertamento di fatto riservato al giudice di merito”.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni conformi a quelle di cui alla relazione.

Vanno condivise le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione, non potendo ritenersi meritevoli di accoglimento i rilievi formulati dai ricorrenti con la memoria illustrativa atteso che gli stessi non sono idonei a scalfire le considerazioni di cui alla relazione.

Il ricorso va rigettato.

Tenuto conto della peculiarità della vicenda processuale e che la convenuta è stata pur sempre riconosciuta inadempiente anche se tale inadempimento è stato considerato di gravità tale non ritenere legittimo il recesso manifestato dall’attore, le spese della presente fase possono compensarsi fra le parti.

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