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Caparra confirmatoria. Ognuno di noi ha sentito parlare, almeno una volta nella vita, di “caparra confirmatoria”, “caparra penitenziale”, “acconto”, “deposito cauzionale”, utilizzando spesso le predette espressioni come sinonimi, o quasi.

In realtà nel linguaggio giuridico ognuna di esse fa riferimento ad un preciso istituto, con proprie regole e conseguenze diverse.

Proviamo a fare chiarezza.

Cos’è la caparra confirmatoria?

La caparra confirmatoria (art. 1385 c.c.) consiste nella consegna di una somma di denaro o, seppur più raro nella prassi, di una determinata quantità di cose fungibili (ad es. derrate alimentari o una parte dei prodotti acquistati).

La predetta consegna avviene al momento della conclusione del contratto (si pensi al caso classico della caparra confirmatoria versata dall’acquirente di un immobile al momento della sottoscrizione del contratto preliminare, conosciuto anche come compromesso).

Una volta che il contratto verrà eseguito, la caparra dovrà essere restituita oppure, come accade nella maggioranza dei casi, verrà imputata alla prestazione dovuta (tornando all’esempio dell’acquisto di un appartamento, se il prezzo dell’immobile è pari a 100.000,00 Euro e la caparra versata è di Euro 10.000,00, al momento della sottoscrizione del contratto definitivo le parti imputeranno quest’ultima somma in conto prezzo, restando da saldare l’importo di 90.000,00 Euro).

Cosa accade nel caso di inadempimento?

Abbiamo visto cosa accade nell’ipotesi in cui le parti, dopo aver sottoscritto il contratto, lo eseguano correttamente.

E se una delle due si rende inadempiente?

E’ proprio in questi casi che si vede la funzione tipica della caparra confirmatoria, che consiste nel garantire la serietà di chi la versa e nella predeterminazione del danno risarcibile.

Procediamo con ordine.

Caso 1. La parte che ha versato la caparra confirmatoria è inadempiente

Nel caso in cui la parte che ha versato la caparra è inadempiente (ad es. il promissario acquirente di un appartamento), l’altra ha due alternative: recedere dal contratto e trattenere quanto ricevuto oppure proporre domanda di esecuzione o risoluzione del contratto.

La prima ipotesi presenta il vantaggio di non dover passare necessariamente per le aule dei Tribunali e di non dover dimostrare l’ammontare dei danni subiti, in quanto sono stati già predeterminati dalle stesse parti che hanno qualificato quella somma di denaro come caparra confirmatoria.

Per quanto concerne le modalità con cui esercitare il recesso, si consiglia di inviare alla controparte una lettera raccomandata o una PEC sottoscritta digitalmente in cui si manifesti in maniera espressa l’inadempimento avvenuto e la conseguente volontà di recedere dal contratto.

Nel caso, invece, in cui si decida di domandare l’esecuzione o la risoluzione del contratto la parte adempiente dovrà affrontare un giudizio e soprattutto dovrà fornire validi ed esaustivi elementi di prova in ordine all’entità del danno subito.

Questa strada potrebbe essere seguita quando la parte adempiente è cosciente che i danni subiti sono nettamente superiori all’ammontare della caparra ed è in grado di fornire sufficienti prove a supporto.

Caso 2. La parte che ha ricevuto la caparra confirmatoria è inadempiente

Nel caso, invece, in cui sia inadempiente la parte che ha ricevuto la caparra (si pensi al promissario venditore di un immobile, sia esso privato o società costruttrice, che non voglia o non possa più vendere l’appartamento), l’altra parte potrà richiedere il doppio della caparra versata al momento della sottoscrizione del compromesso (in sostanza la restituzione dell’importo pagato più una somma di pari ammontare) oppure, come nel caso 1, decidere di proporre domanda di esecuzione o risoluzione del contratto.

Anche qui valgono tutte le ulteriori considerazioni sopra esposte relative al caso 1.

Vale la pena aggiungere che vi è una corrente giurisprudenziale (per un caso pratico Clicca qui) secondo la quale sia nel caso 1 che nel caso 2 l’esercizio del recesso non può essere arbitrario, ma deve far riferimento ad un inadempimento di non scarsa importanza, così come richiesto dall’art. 1455 in materia di risoluzione per inadempimento, realizzando, così, un perfetto parallelismo tra i due rimedi (recesso da una parte, domanda di esecuzione/risoluzione dall’altra).

Cosa si intende per inadempimento di non scarsa importanza?

Definire una linea di demarcazione netta tra inadempimento di scarsa importanza e di non scarsa importanza non è facile; tuttavia, possiamo precisare i principi cardine per potersi orientare.

Innanzitutto, l’angolo visuale da cui partire è quello della parte adempiente, per cui se, per ipotesi, è inadempiente la parte che vende un bene, occorrerà capire se il suo inadempimento è da considerarsi importante o meno a seconda dell’interesse che ha la parte acquirente.

In secondo luogo, occorrerà calibrare l’indagine a seconda del bene acquistato: una cosa è acquistare un immobile, altra cosa è acquistare un’autovettura, altra ancora acquistare un quadro antico.

Infine, si dovrà comprendere quanto l’inadempimento incida in quel determinato caso: per fare un esempio, se io acquisto un appartamento e lo stesso non presenta gli allacci per le utenze (luce, acqua, gas) ben si potrebbe sostenere l’importanza dell’inadempimento rispetto al mio interesse, il quale si sostanzia nell’avere un immobile che goda delle caratteristiche e dei servizi minimi ai fini dell’abitabilità, per cui potrei decidere di recedere dal contratto e chiedere il doppio della caparra versata.

Sarebbe, invece, più difficile sostenere la non scarsa importanza dell’inadempimento nell’ipotesi in cui nell’appartamento acquistato manchi il battiscopa in una parte di una stanza o una qualche altra rifinitura.

Per un’analisi delle figure affini (caparra penitenziale, acconto, deposito cauzionale) clicca qui

L’immagine del post è stata realizzata da Sebastien Wiertz, rilasciata con licenza cc.

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