Dark Light

La condanna alle spese, disposte ex artt. 91-92 cpc, diversamente da quanto può sembrare non segue il principio della soccombenza (salvo l’eccezione ex art.88 cpc nei riguardi di un comportamento scorretto di parte). Rimane pacifico il criterio della vittoria totale, incompatibile per definizione con la condanna alle spese (Cassazione civile sez. I – 16/06/2011, n. 13229).

Soccombente è la parte che nell’adire o nel resistere a domanda di parte, la stessa non veda riconosciuta la propria pretesa o, del caso, resista inutilmente ad una altrui – parimenti è considerata soccombente la parte che nel c.d. cumulo di domande ne vede riconosciuta solo una parte di esse (c.d. soccombenza parziale).

Distinguiamo parte vincitrice (totale) da tutte le altre parti soccombenti per una ragione: fondamentale ai fini della condanna alle spese è il criterio della causalità. Ovvero, a meno che al termine del procedimento giurisdizionale non ci sia una delle due parti vincitrice totale, quest’ultima dovrà soggiacere al principio della causalità che ne determina, in via residuale, la condanna alle spese (Cassazione civile sez. III – 30/03/2010, n. 7625).

E’ altresì più corretto precisare che, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che ai fini della distribuzione dell’onere delle spese del processo tra le parti non è l’essenziale criterio rivelatore della soccombenza, ma, è l’avere dato causa al giudizio, posto che la soccombenza non è esclusa dalla circostanza che, una volta convenuta in giudizio, la parte sia rimasta contumace o abbia riconosciuto come fondata la pretesa che aveva prima lasciato insoddisfatta così da renderne necessario l’accertamento giudiziale.

Pertanto, l’individuazione del soccombente si fa in base al principio di causalità, con la conseguenza che la parte obbligata a rimborsare alle altre le spese che hanno anticipato nel processo, è quella che, col proprio comportamento tenuto fuori del processo, abbia determinato a darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, ha dato causa al processo od al suo protrarsi. “Non esente da onere delle spese la parte che, col suo comportamento antigiuridico (per la trasgressione delle norme di diritto sostanziale) abbia provocato la necessità del processo” (Cfr. Cassazione civile sez. VI – 30/03/2011, n. 7307; nello stesso senso Cassazione civile sez. III – 12/05/2015, n. 9587). Ancora, per la parte che resiste in contumacia v. Cassazione civile sez. VI – 30/05/2016, n. 11179.

Per concludere è corretto desumere che, eccezion fatta nei riguardi della vittoria totale, non è sufficiente essere soccombenti in una causa ai fini della condanna alle spese.

La soccombenza non è altro che una mera concretizzazione dell’aver inutilmente adito o resistito ad una pretesa in sede meritale. Soggiace, infatti, al criterio sopraesposto la c.d. economicità processuale.

L’estrema ratio sottesa, a parere dello scrivente e della Suprema Corte, non è altro che l’inutile audizione dell’organo giurisdizionale (Cfr. Cassazione civile sez. VI – 30/05/2016, n. 11179). Tant’è, che lo stesso articolo 91 c.p.c. prevede l’ipotesi di condanna alle spese anche per la parte risultante vincitrice che vede riconosciuta la propria pretesa in maniera minore, alla fine del procedimento giurisdizionale, rispetto alla proposta di conciliazione ricevuta. Rimane comunque, come lo stesso giudice di legittimità rileva, competenza del giudice di merito la condanna alle spese. Lo stesso giudice, dunque, decide con motivazione la condanna alle spese nei confronti di una o entrambe le parti. Si applicano i criteri sopraindicati e si valuta caso per caso, indipendentemente dalla vittoria parziale o meno, nei riguardi di colei che ha inutilmente promosso o resistito a domanda di parte causando un inutile dispendio di energia processuale (Cassazione civile sez. VI, 17/02/2016, n.3038; Cassazione civile sez. VI – 30/05/2016, n. 11179).

A sostegno della tesi fin qua argomentata, segnaliamo una sentenza della Cassazione, riunitasi a sezioni unite che richiama un principio di diritto oramai consolidato. Tant’è che così esprimendosi nella sentenza n.2572/2012: “In proposito, è opportuno premettere che la disposizione citata, nella parte in cui fa riferimento alla concorrenza di “gravi ed eccezionali ragioni”, si pone come norma “elastica”, configurabile quando una disposizione di limitato contenuto delinea un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa. Non diversamente da quando un determinato comportamento viene giudicato conforme o meno a buona fede”, così correttamente ripreso infatti anche con sentenze successive di merito da parte del Tribunale Vibo Valenziano (Sentenza n. 282/2019) e dalla Corte d’Appello Barese (Sentenza n. 594/2020); interessante notare come emerge in entrambe le due sentenze, come le stesse sez. unite del resto ammettono, la buona fede delle parti, determinante ai fini della condanna alle spese, normale conseguenza di una norma definita elastica. Statuizioni di fondamentale importanza, che sanciscono, a parere di chi scrive, la fine della, ormai, datata ipotesi di condanna alle spese nei riguardi della sola parte soccombente. Tant’è che nella citata sentenza della Corte d’Appello Barese, nonostante la parte risulti vincitrice, con il suo comportamento abbia causato la propria citazione in giudizio da parte dell’INPS, (nei riguardi di una causa che aveva ad oggetto contributi lavorativi). Dunque, determinante, come fin qui trattato, è il comportamento delle parti affinché non si voglia incorrere nella condanna alle spese. Ancora in questo senso, per ragioni estensive nei riguardi delle CTU ex art. 92 cpc, applicando lo stesso identico principio di diritto, il tribunale Genovese (Sentenza n. 1208/17) condanna alle spese della CTU la parte che per l’accertamento compiuto in quella sede ne è risultata vincitrice. Appare, per cui, rivelatore il carattere comportamentale delle parti, indipendentemente dalle ragioni di merito che determinano la causa. Per concludere, la ratio che emerge è: sanzionare con le spese legali la parte che con il suo comportamento ha causato un irragionevole spreco di energie processuali, indipendentemente sia dalle ragioni di merito e sia che essa possa essere stata o meno citata in giudizio anche quando questa rimanga in contumacia (principio di causalità).

Photo by Bill Oxford on Unsplash

Related Posts
AVVOCATO,

CERCHI SENTENZE SU CASI ANALOGHI AL TUO?

CASSAZIONE.NET 4.0 L'EVOLUZIONE DELLO STUDIO LEGALE
PROVA GRATIS
close-link
Avvocato, vuole gestire tutta la sua professione con un'App?....
PROVA  ORA GRATIS
close-image