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Il Caso

Come noto, una delle modalità preferite di (auto)finanziamento da parte delle società (soprattutto le PMI) è quella del prestito soci.

Spesso, tuttavia, tali società tendono ad effettuare questo tipo di operazioni senza adottare tutta una serie di accorgimenti indispensabili al fine di eliminare o, quantomeno, limitare il rischio di un accertamento fiscale.

Nel caso oggetto del presente articolo, ad esempio, una S.r.l. riceveva un avviso di accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria che, per quanto qui interessa, contestava alla predetta società l’omessa dichiarazione di ricavi per € 57.000, somma pari alla voce “debiti verso soci” contenuta all’interno delle scritture contabili.

Il Fisco, in sostanza, contestava al contribuente un’ipotesi di sotto-fatturazione e, pertanto, di omesso versamento di imposte.

A conferma dell’illegittimità dell’operazione, l’Amministrazione Finanziaria evidenziava l’assenza di un verbale assembleare che “giustificasse” la necessità del finanziamento.

La società, invece, si difendeva, sostenendo che l’assenza della delibera costituisse una mera irregolarità.

Il Fisco, soccombente in secondo grado, presentava ricorso per Cassazione.

La Pronuncia della Cassazione

Con l’ordinanza n. 24746/2020 i Giudici di Piazza Cavour ribaltano il provvedimento emesso dalla Commissione Tributaria Regionale, accogliendo, pertanto, la tesi difensiva dell’Avvocatura dello Stato.

Il ragionamento della Cassazione parte dall’analisi dell’art. 2467 c.c., che, per quanto qui interessa, prevede che “… s’intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.

Nel caso oggetto della presente pronuncia, tuttavia, non vi era alcun documento da cui emergesse l’esistenza di uno dei due requisiti sopra enunciati, così che “… non poteva essere degradata a mera irregolarità formale l’assenza di verbali assembleari sul punto, che non potrebbe spostare la natura delle operazioni avvenute (cfr. gravata sentenza, pag. 3, primo cpv.), quando invece ne costituisce elemento contabile fondamentale al fine della qualificazione quale prestito soci, secondo i principi sopra enunciati, nonché per i profili contabili riflessi, tra cui quelli fiscali”.

Sulla base di questi presupposti i Giudici della Suprema Corte enunciano il seguente principio di diritto: “… la legittimità di un finanziamento soci – opponibile al Fisco – richiede la regolarità formale delle delibere assembleari e delle scritture contabili, in tempi coerenti con l’andamento finanziario del periodo, diversamente l’erogazione finanziaria deve ritenersi re-immissione in azienda di utili occulti“.

Prima di concludere appare, tuttavia, doveroso evidenziare come l’orientamento della Cassazione su questo punto di diritto non sia affatto univoco (in senso difforme, si veda Cass., ordinanza n. 6104/2019).

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