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Con sentenza n. 16637 del 2013 la Corte di Cassazione ha sancito il principio secondo il quale nei contratti a prestazioni corrispettive, laddove entrambe le parti si siano rese inadempienti alla esecuzione della propria prestazione, ai fini della pronuncia sulla risoluzione di questo, il giudice di merito è tenuto a formulare un giudizio di comparazione relativa al comportamento complessivo tenuto dalle parti e stabilire quale tra esse si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti che hanno portato alla alterazione del sinallagma contrattuale.

 

Il fatto dal quale trae origine la decisione in commento deriva dalla sottoscrizione di un contratto preliminare attraverso il quale il Sig. Tizio si era obbligato a vendere in favore dell’acquirente Caio una casa dietro il pagamento di un prezzo di L. 1.600.000.000. In sede di sottoscrizione, Tizio aveva dichiarato che l’immobile era stato realizzato in conformità con le concessioni edilizie esistenti all’epoca, e che non erano state apportate modifiche urbanistiche rilevanti, impegnandosi contestualmente a fornire all’acquirente, in sede di sottoscrizione del contratto definitivo, la documentazione urbanistica attestante la regolarità amministrativo urbanistica dell’immobile.

Tuttavia, in sede di sottoscrizione del rogito notarile, il venditore Tizio dichiarava di essere sprovvisto della predetta documentazione urbanistica e, parallelamente, affermava che da verifiche da lui stesso effettuate risultava che all’immobile erano state apportate rilevanti modifiche rispetto al progetto approvato, tra le quali risultava un mutamento di destinazione d’uso del piano cantinato.

Sulla base di tali premesse l’acquirente Caio decideva di avocare in giudizio il venditore Tizio, dando atto della disponibilità dell’acquirente alla esecuzione del contratto, accollandosi anche le spese di demolizione per le opere illegittimamente realizzate, chiedendo al Tribunale la previa riduzione del prezzo pattuito sulla base delle irregolarità amministrative riscontrate.

Si costituiva altresì il convenuto Tizio il quale, viceversa, sosteneva che l’acquirente Caio si era reso inadempiente al pagamento del prezzo, sottolineando come gli interventi che dovevano essere eseguiti sull’immobile erano diversi rispetto a quelli citate dall’attore e che, nonostante ciò, egli non aveva diritto alla riduzione del prezzo originariamente pattuito poiché lo stesso venditore aveva più volte invitato l’acquirente a farsi carico della realizzazione degli interventi volti alla regolarizzazione dell’immobile de quo.

Sulla base di tali considerazioni Tizio richiedeva il rigetto delle istanze presentate dall’attore e, in via riconvenzionale, chiedeva la risoluzione contrattuale per inadempimento dell’acquirente con annesso risarcimento del danno.

Il Tribunale, con sentenza non definitiva, riconosceva l’inadempienza contrattuale dell’acquirente accogliendo le doglianze sostenute dal venditore. Sulla base di tali considerazioni il giudice di prime cure condannava l’acquirente Caio al risarcimento del danno, riconoscendo come “prevalente” i comportamenti assunti dal venditore volti a sanare, a proprie spese, le irregolarità amministrative indicate in precedenza.

In sede di impugnazione la Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la risoluzione del contratto di compravendita, riconoscendo l’inadempienza di entrambe parti, e pertanto condannava il venditore Tizio alla restituzione in favore dell’acquirente di tutte le somme versate a titolo di caparra confirmatoria.

Secondo la Corte di Appello il rifiuto dell’acquirente di adempiere alla propria obbligazione risultava essere legittimo sulla base degli “asseriti ritardi del venditore nella definizione della pratica di sanatoria delle irregolarità urbanistiche ivi presenti nell’immobile”.

La questione veniva così portata all’attenzione della Corte di Cassazione la quale, nella sopra citata sentenza ha affermato che “in presenza di reciproche domande di risoluzione, laddove il giudice accerti l’inesistenza di addebiti avanzati da entrambe le parti, non può pronunciare la risoluzione contrattuale per colpa di uno di essi, ma deve, viceversa, dare atto della impossibilità di eseguire il contratto per volontà di entrambe le parti, decidendo quanto agli effetti risolutori di cui all’art. 1458 c.c.. Tale principio, sottolinea la Corte, tuttavia può essere applicato solo quando sussistono reciproci inadempimenti.

Secondo la Cassazione, la Corte di Appello laddove avesse voluto pronunciare la risoluzione contrattuale per colpa di una delle parti contraenti ed in presenza di reciproci inadempimenti, avrebbe dovuto accertare e valutare quale tra di essi risultava essere prevalente e ciò sulla base del principio secondo il quale nei contratti a prestazioni corrispettive il giudice, affinché possa pronunciarsi sulla risoluzione contrattuale, deve stabilire quale è la parte che si sia resa per così dire più inadempiente dell’altra, ovvero determinare quale inadempimento abbia maggiore rilevanza rispetto all’altro. Tale valutazione deve essere compiuta, secondo la Corte, attraverso una “valutazione sinergica del comportamento delle parti, attraverso una indagine complessiva dell’intero loro agire”.

Tali principi possono essere applicati, nel caso di specie, in danno del venditore Tizio poiché questi, spiega la Corte, si è reso altresì autore, nelle more del giudizio, della stipulazione di un ulteriore contratto di compravendita nel quale ha ceduto l’immobile de quo a terzi, provocando un inadempimento contrattuale maggiormente lesivo dell’interesse della controparte.

Pertanto, sulla base di tali considerazioni, la Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dell’acquirente Caio, cassando la sentenza impugnata e rinviando la decisione nel merito alla Corte di Appello.

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