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Con la pronuncia n. 5935/12 la Corte di Cassazione penale si occupa di un caso di diffamazione scolastica.

Nello specifico, i genitori di un alunno presentavano una denuncia scritta indirizzata sia al dirigente scolastico che al Provveditore agli Studi di Bologna, in cui deducevano come loro figlio fosse stato percosso e umiliato dal professore.

Era altresì accertato come tale denuncia fosse arrivata presso la redazione di un quotidiano, il quale aveva pubblicato un articolo sull’accaduto.

La quaestio iuris sottesa alla fattispecie investe la configurabilità, nel caso di specie, dell’esimente dell’esercizio del diritto-dovere, incombente sui genitori, di tutelare l’interesse del figlio.

Al riguardo la Suprema Corte ha precisato: “Ciò che viene in considerazione, invece, è la certezza che essi abbiano agito con la coscienza e volontà di diffondere nei modi dianzi visti, all’interno e all’esterno dell’ambiente scolastico, una notizia non verificata manifestamente lesiva della reputazione di un’insegnante che, sebbene non indicata per nome e cognome nell’articolo di giornale, era tuttavia agevolmente riconoscibile dagli abitanti di B. in base agli elementi indicati nella sentenza impugnata (il fatto che a B. vi fosse una sola scuola elementare, la discriminazione religiosa quale causa delle asserite percosse, la giovane età dell’insegnante, l’apertura di un’ispezione, la data dei fatti, la presentazione della denuncia, i precedenti contrasti col personale docente, l’assenza da scuola del bimbo per oltre un mese e il suo successivo trasferimento)”.

La Cassazione, in sostanza, pur riconoscendo il diritto dei genitori di tutelare l’interesse del figlio, ha tuttavia precisato che tale interesse deve essere contemperato con quello dell’insegnante a veder rispettato il proprio onore e decoro, così che i genitori avrebbero dovuto in primo luogo accertare i fatti, o quantomeno non acquisire acriticamente le accuse mosse dal ragazzo, e solo dopo, eventualmente, renderli pubblici.

I giudici di Piazza Cavour, inoltre, hanno ribadito come, per la configurabilità del delitto di diffamazione, non sia necessario pubblicare il nome del soggetto leso, essendo sufficiente che esso sia facilmente riconoscibile sulla base degli elementi resi pubblici.

Per un approfondimento sulla questione dell'”individuabilità” del soggetto offeso vedi Diffamazione e individuabilità del soggetto offeso

Dal punto di vista processuale, infine, la pronuncia de qua si segnala per aver precisato, se mai ce ne fosse bisogno, che la circostanza per cui il reato è prescritto non fa certo venir meno l’obbligo degli imputati di risarcire il danno provocato.

Se questo articolo Ti è piaciuto vedi anche Pubblicazione elenco condomini morosi: è diffamazione!

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

Sentenza 6 ottobre 2011 – 15 febbraio 2012, n. 5935

(Presidente Marasca– Relatore Oldi)

Fatto

Con sentenza in data 6 luglio 2010 la Corte d’Appello di Bologna, così parzialmente riformando la decisione assunta dal locale Tribunale, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di G. M. e M. T. in ordine a due delitti di diffamazione in danno di G. S, per intervenuta prescrizione; ha invece tenuto ferme le statuizioni civili, recanti condanna solidale al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

In fatto era accaduto che i due imputati, quali genitori del minore M. M., con due lettere indirizzate al dirigente scolastico della scuola elementare di B. e al Provveditore agli studi di Bologna, avessero affermato che l’insegnante G. S. aveva ripetutamente percosso e umiliato il loro figlio. Successivamente il giornale “Il Resto del Carlino” aveva pubblicato un articolo sull’argomento, ritenuto ispirato dal M e dalla T.

Ha ritenuto il giudice di merito che i due genitori del minore, senza avere svolto alcun doveroso approfondimento circa la verità di quanto ad essi narrato dal figlio, avessero inoltrato le missive alle autorità scolastiche e, successivamente, riferito la notizia al giornale per la pubblicazione, perché mossi da volontà di ritorsione nei confronti dell’insegnante, che il lunedì successivo all’episodio riferito dal minore gli aveva impartito una nota per mancato espletamento dei compiti di fine settimana.

Hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione i due imputati, per il tramite del comune difensore, affidandolo a tre motivi.

Col primo motivo i ricorrenti denunciano carenza di motivazione in ordine alla volontà ritorsiva ad essi attribuita dalla Corte di merito; denunciano la contraddittorietà di tale convincimento rispetto alla motivazione con cui il giudice per le indagini preliminari aveva escluso la loro responsabilità per calunnia ritenendoli persuasi della veridicità dei fatti riferiti dal figlio.

Col secondo motivo lamentano che la Corte d’Appello non abbia tenuto conto del loro dovere, quali genitori, di proteggere l’integrità psico-fisica del figlio minore, il cui racconto era stato confermato anche davanti ai carabinieri.

Col terzo motivo deducono vizio di motivazione con riferimento al passo della sentenza in cui si afferma che essi imputati abbiano interpretato la nota sul quaderno come biasimo nei loro confronti.

Diritto

I ricorsi dei due imputati, confluiti nell’atto d’impugnazione congiunto, sono da rigettare in quanto infondati.

Essendo fuor di dubbio il carattere diffamatorio della diffusione da parte del M. e della T., nelle forme accertate dal giudice di merito (esposto alle autorità e pubblicazione di un articolo sul giornale “Il Resto del Carlino”), della notizia obiettivamente falsa riguardante una condotta persecutoria dell’insegnante G. S. nei confronti dell’alunno M. M., condotta che sarebbe culminata – sempre secondo le propalazioni incriminate – in manifestazioni di violenza fisica e morale ai danni del minore, il solo problema che si pone sul terreno della astratta punibilità penale, e della connessa responsabilità ai fini civili, riguarda la dedotta configurabilità dell’esimente dell’esercizio del diritto-dovere incombente sui genitori, di tutelare l’interesse del figlio; esimente che sarebbe da riguardare, nell’ottica stessa del ricorso, sotto il profilo putativo.

Orbene, pur dovendosi riconoscere che l’adempimento degli obblighi genitoriali di protezione del figlio poteva giustificare l’adozione di iniziative atte a sollecitare un chiarimento circa l’accaduto, al contempo non può omettersi di rimarcare che la formalizzazione di una denuncia scritta indirizzata non soltanto al dirigente scolastico, ma anche al Provveditore agli Studi di Bologna, avrebbe dovuto essere quanto meno preceduta da una verifica informale della veridicità dei fatti riferiti dal minore: e ciò in quanto il presupposto per l’applicazione a titolo putativo della causa di giustificazione invocata presuppone un errore incolpevole sulla verità dei fatti che, invece, non è configurabile quando sia mancato un preventivo vaglio nella direzione indicata. In nessun modo potrebbe poi trovare giustificazione, siccome esulante dai compiti di salvaguardia dell’interesse del figlio, l’iniziativa diretta a promuovere la pubblicazione della notizia su un quotidiano di rilevante diffusione, quale “Il Resto del Carlino”: pubblicazione che, secondo quanto accertato dal giudice di merito (in esito a una ricostruzione del fatto non sindacabile in questa sede), fu per l’appunto provocata dall’interessamento della stampa ad opera dei coniugi M.

Ciò posto, neppure interessa stabilire se gli odierni imputati siano stati mossi da una volontà ritorsiva nei confronti dell’insegnante, sul presupposto di una lettura in chiave polemica della nota di biasimo impartita al figlio per mancato espletamento dei compiti di fine settimana: la relativa indagine appartenendo alla ricerca del movente, cui nella fattispecie deve riconoscersi rilevanza marginale. Ciò che viene in considerazione, invece, è la certezza che essi abbiano agito con la coscienza e volontà di diffondere nei modi dianzi visti, all’interno e all’esterno dell’ambiente scolastico, una notizia non verificata manifestamente lesiva della reputazione di un’insegnante che, sebbene non indicata per nome e cognome nell’articolo di giornale, era tuttavia agevolmente riconoscibile dagli abitanti di B. in base agli elementi indicati nella sentenza impugnata (il fatto che a B. vi fosse una sola scuola elementare, la discriminazione religiosa quale causa delle asserite percosse, la giovane età dell’insegnante, l’apertura di un’ispezione, la data dei fatti, la presentazione della denuncia, i precedenti contrasti col personale docente, l’assenza da scuola del bimbo per oltre un mese e il suo successivo trasferimento).

Quanto testé osservato rende, al contempo, ragione dell’insussistenza di qualsiasi contraddittorietà fra la declaratoria di responsabilità a titolo di diffamazione e il disposto proscioglimento dall’imputazione di calunnia: per la configurabilità di quest’ultimo reato, invero, è necessario che l’agente abbia piena consapevolezza dell’innocenza della persona che, con la propria denuncia, espone a procedimento penale; mentre analoga certezza non è richiesta ad integrare il delitto di diffamazione, per il quale è sufficiente la coscienza e volontà di diffondere affermazioni lesive della reputazione altrui, in assenza di una causa di giustificazione.

Alla stregua di quanto accertato in linea di fatto, dunque, il giudice di merito ha ben operato nel tener ferma la condanna degli imputati al risarcimento dei danni in favore della persona offesa, pur in presenza della causa estintiva del reato costituita dalla prescrizione medio tempore maturata.

Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Spetta alla parte civile la rifusione delle spese di difesa sostenute nel presente giudizio di legittimità; la relativa liquidazione è effettuata in euro 1.300,00, da maggiorarsi in ragione degli accessori di legge.

Stante il coinvolgimento di un minorenne nella vicenda, deve disporsi l’oscuramento dei dati identificativi.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché in solido alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate in complessivi euro 1.300,00 oltre accessori come per legge. Dispone l’oscuramento dei dati identificati.


L’immagine del post è stata realizzata da Peggy_Marco, rilasciata con licenza cc.

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