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La sentenza n. 19739/12 della Suprema Corte ci consente di tornare sul tema dei requisiti che l’avviso di accertamento deve avere ai fini della sua validità.

Come noto tale atto deve essere sottoscritto. Ma da chi?

Accade, infatti, sovente che la sottoscrizione non sia apposta dal capo dell’ufficio, ma da un altro soggetto da lui delegato.

Nel caso di specie, la CTR di … aveva rigettato l’appello dell’Agenzia – appello proposto contro la sentenza n. 33/01/2007 della CTP di … che aveva accolto il ricorso di (…) – ed aveva così confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento per IRPEF – IRAP – IVA relativo all’anno 1996, siccome non recante valida sottoscrizione ai sensi dell’art. 42 del DPR n. 600/1973.

L’Agenzia delle Entrate ribadiva come tale atto fosse stato debitamente sottoscritto dal funzionario dell’area controllo dell’ufficio, con sottoscrizione apposta “per il direttore ed in virtù di apposita delega conferita dal direttore dell’Ufficio a detto funzionario, in riferimento dell’esercizio delle funzioni attribuite a quest’ultimo”.

Sul punto, però la Cassazione ha ribadito come la delega debba essere prodotta in giudizio, pena l’invalidità dell’atto: “L’avviso di accertamento è nullo, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973 n.600; se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio titolare ma di un funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio. Fermi, infatti, i casi di sostituzione e reggenza di cui all’art. 21, comma primo, lett. a) e b) del D.P.R. 8 maggio 1987 n. 266, è espressamente richiesta la delega a sottoscrivere; il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio”.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA 13 NOVEMBRE 2012, N. 19739

 Ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

La CTR di …… ha rigettato l’appello dell’Agenzia – appello proposto contro la sentenza n. 33/01/2007 della CTP di che aveva accolto il ricorso di (…) ed ha così confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento per IRPEF – IRAP – IVA relative all’anno 1996, siccome non recante valida sottoscrizione ai sensi dell’art. 42 del DPR n. 600/1973.

La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo che – non risultando prodotta nel giudizio di primo grado la delega a favore del funzionario che aveva sottoscritto il provvedimento impositivo e non potendo essa essere prodotta nel giudizio di appello per il divieto dell’art. 345 cpc – a nulla poteva rilevare che l’Agenzia appellante avesse chiesto di produrre nel grado di appello la delega conferita dal direttore dell’ufficio al menzionato funzionario.

L’ Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo.

L’intimato si è costituito con controricorso.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 cpc – può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc. Con il motivo di ricorso (centrato sulla violazione sia dell’art. 42 del DPR n.600/1973 che sulla violazione dell’art. 5g del D.Lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360 comma I n. 3 cpc) la parte ricorrente si duole – da un canto – del fatto che il giudicante abbia ritenuto fondata l’eccezione di nullità, per quanto l’atto fosse sottoscritto “da parte di funzionario dell’area controllo dell’ufficio, (con sottoscrizione apposta “per il direttore ed in virtù di apposita delega conferita dal direttore dell’Ufficio a detto funzionario, in riferimento dell’esercizio delle funzioni attribuite a quest’ultimo), sicché la nullità non si sarebbe potuta pronunciare in applicazione dell’art. 42 che la commina solo per l’ipotesi in cui l’atto non sia sottoscritto.

Si duole – d’altra parte – dell’applicazione al processo tributario della disposizione prevista nell’art. 345 del codice civile, per quanto questa sia derogata dalla speciale previsione del menzionato art. 58 che consente alle parti la produzione in appello dei documenti che abbiano mera funzione di supporto probatorio alle pretese già svolte nel precedente grado. Il motivo di ricorso appare inammissibile e se ne propone il rigetto. Da un canto la pronuncia del giudicante (per implicito concludente circa la nullità del provvedimento non sottoscritto dal capo dell’ufficio o da altro funzionario specificamente delegato) è conforme alla giurisprudenza  ripetuta di questa Corte (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14626 del 10/11/2000; Cass. Sez.5, Sentenza n. 14195 del 27/10/2000), senza che si ravvisino ragioni per mutare detto orientamento, giurisprudenza secondo la quale: “L’avviso di accertamento è nullo, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973 n.600; se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio titolare ma di un funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio. Fermi, infatti, i casi di sostituzione e reggenza di cui all’art. 21, comma primo, lett. a) e b) del D.P.R. 8 maggio 1987 n. 266, è espressamente richiesta la delega a sottoscrivere; il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio”. D’altro canto, la censura concernente la violazione dell’art. 58 D.Lgs. 546/1992 (per quanto possa considerarsi irrilevante la menzione del numero 3 dell’art. 360 cpc anziché del n.4) avrebbe necessitato l’assolvimento di un onere di autosufficienza nell’allegazione sia delle modalità di produzione che del contenuto del documento di cui si lamenta il diniego di ammissibilità e l’omesso esame (con specifico riferimento alla decisività e sufficienza delle circostanze oggetto della produzione documentale, in punto di loro coerenza con la previsione del comma 1 dell’art.42 ridetto) a cui la parte ricorrente non ha provveduto.

Sul punto è ricorrente l’insegnamento di questa Corte secondo il quale: “Con riferimento al regime processuale anteriore al D.lgs. n. 40 del 2006, ad integrare il requisito della cosiddetta autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione concernente, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (ma la stessa cosa dicasi quando la valutazione dev’essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio ai sensi del n. 3 dell’art. 360 o di un vizio integrante error in procedendo ai sensi dei numeri 1, 2 e 4 di detta norma), la valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali, è necessario non solo che tale contenuto sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità essa è rinvenibile. L’esigenza di tale doppia indicazione, in funzione dell’autosufficienza, si giustificava al lume della previsione del vecchio n. 4 dell’art.369, secondo comma, cod. proc. civ., che sanzionava (come, del resto, ora il nuovo) con l’improcedibilità la mancata produzione dei documenti fondanti il ricorso, producibili (in quanto prodotti nelle fasi di merito) ai sensi del primo comma dell’art.372 cod. proc. civ.” (Cass. Sez. 3, Senteîza n. 12239 del 25/05/2007; con differenti sfumature argomentative, concordano anche Cass., Sentenza n. 4840 del 07/03/2006; Cass., Sentenza n. 17424 del 29/08/2005; Cass., Sentenza n. 6972 del 04/04/2005; Cass., Sentenza n. 6225 del 23/03/2005). Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità;

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna la parie ricorrente a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in € 500,00 oltre accessori di legge ed oltre € 100,00 per esborsi.

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