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L’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale non può giustificare, da sola, una pronuncia di addebito della separazione, qualora una tale condotta sia successiva al verificarsi di un’accertata situazioni di intollerabilità della convivenza, sì da costituire non la causa di detta intollerabilità ma una sua conseguenza. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16089 del 21 settembre 2012.

La Suprema Corte torna, così, a pronunciarsi nuovamente in materia di addebito della separazione ai sensi dell’art. 151 c.c. secondo comma. La disposizione testé richiamata precisa, infatti, che il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione al suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.

Si tratta, quindi, di stabilire in che termini e limiti la violazione del dovere di fedeltà (art. 143 c.c.) possa fondare una pronuncia di addebito a carico del coniuge “inadempiente”.

Al riguardo, la Cassazione, con la sentenza n. 17193 del 2011, aveva chiarito che l'obbligo di fedeltà è sicuramente impegno globale di devozione, che presuppone una comunione spirituale tra i coniugi, volto a garantire e consolidare l'armonia interna tra essi (in tale ambito, la fedeltà sessuale è soltanto un aspetto, ma sicuramente assai rilevante). Quanto all'addebito, esso sussiste se vi siano violazioni degli obblighi matrimoniali, di regola gravi e ripetute, che diano causa all'intollerabilità della convivenza, (ciò anche per l'obbligo di fedeltà, come per qualsiasi altro obbligo coniugale).

Occorre, pertanto, soffermarsi su questo concetto di “causa” dell’intollerabilità della convivenza. In sostanza, alla luce della consolidata giurisprudenza della Cassazione, la violazione dell’obbligo di fedeltà legittima l’addebito della separazione esclusivamente laddove sia la “causa” della crisi matrimoniale.

Il suddetto principio è stato, infatti, espresso, fra le altre, da Cass. Civ. 20256 del 2006, laddove si affermò che: l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale, anche quando si sostanzi nell'abbandonarsi al meretricio, può essere causa (anche esclusiva) dell'addebito della separazione solo quando risulti accertato che ad essa sia, in fatto, riconducibile la crisi dell'unione, mentre se successiva al verificarsi di una situazione di intollerabilità della convivenza, non è, di per sé solo, rilevante e non può, conseguentemente, giustificare una pronuncia di addebito. Il comportamento tenuto dal coniuge successivamente al venir meno della convivenza, ma in tempi immediatamente prossimi a detta cessazione, è invece privo di efficacia autonoma nel determinare l'intollerabilità della convivenza stessa, potendo rilevare ai fini della dichiarazione di addebito della separazione qualora costituisca conferma del passato, e concorra ad illuminare sulla condotta pregressa.

La pronuncia qui in commento, pertanto, si colloca nello stesso solco di Cass. Civ. 20256/2006, escludendo, così, l’addebito della separazione in un’ipotesi in cui la relazione extra-coniugale era sorta in un’epoca in cui il rapporto fra i due coniugi era già entrato in una crisi non più reversibile.

 

* * * 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Sentenza 19 aprile – 21 settembre 2012, n. 16089

(Presidente Carnevale – Relatore Bisogni)

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Bolzano con sentenza n. 835/2007 ha dichiarato la separazione giudiziale tra S.S. e S.S. con addebito della separazione al marito.

La Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, ha accolto l’appello di S.S. diretto ottenere la pronuncia della separazione senza addebito. Nella motivazione della sentenza la Corte d’appello ha affermato che i comportamenti dello S. contrari ai doveri nascenti dal matrimonio (relazione extra-coniugale dello S. con un’altra donna) sono da ritenersi provati, concretamente e con certezza, a partire dal febbraio 2003 epoca in cui la S. manifestò al marito la sua contrarietà ad avere un figlio da lui. Tale comportamento della S. ha portato la Corte trentina a ritenere che la relazione extra-coniugale dello S. sia configurabile come una reazione proporzionata al comportamento della moglie, parimenti contrario ai doveri matrimoniali, e come tale non suscettibile di costituire un fondato motivo per addebitargli la separazione. Per altro verso la Corte di appello ha evidenziato come non vi sia una prova appagante dell’inizio della predetta relazione extra-coniugale in epoca antecedente al febbraio 2003, periodo in cui la relazione fra i due coniugi era già entrata irreversibilmente in crisi.

Contro la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione S.S. a

ffidandosi a tre motivi di impugnazione.

Si difende con controricorso S.S.

Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevato che non può essere accolta la richiesta del P.M. di dichiarazione di inammissibilità del ricorso formulata in udienza per essere stato descritto lo svolgimento del processo mediante una trascrizione sequenziale degli atti processuali nel corpo del ricorso per cassazione. In effetti tale metodologia, che non corrisponde a una corretta formulazione del ricorso per cassazione, non impedisce però al lettore di percepire i fatti rilevanti ai fini della identificazione del contenuto dell’impugnazione. Venendo quindi all’esame dei motivi di impugnazione si osserva quanto segue.

Con il primo motivo di ricorso si deduce insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio e cioè la causa dell’inizio della relazione extra coniugale di S.S. Viene in particolare contestata l’affermazione della Corte d’appello per cui l’espressione della ricorrente, pronunciata nel febbraio 2003 e riferita dalla sorella E.S. (“da lui non voleva avere nessun figlio”) abbia provocato la reazione di S.S. e lo abbia indotto ad iniziare la relazione extraconiugale.

Con il secondo motivo si deduce omessa motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio quale l’epoca di inizio della relazione extraconiugale di S.S. erroneamente datata al febbraio 2003 mentre risaliva all’autunno 2002 come avevano dimostrato le prove espletate nel corso dell’istruttoria.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio del mancato addebito di colpa a S.S. per il fallimento del matrimonio.

I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente essendo logicamente collegati inscindibilmente fra loro.

La Corte di appello ha ritenuto che le prove espletate nel corso dell’istruttoria non consentano di affermare che la relazione extra-coniugale dello S. fosse iniziata prima del febbraio 2003. Contro tale affermazione la ricorrente richiama le deposizioni testimoniali riportandone il contenuto ma non svolge alcuna argomentazione critica puntuale da cui possa evincersi che la motivazione resa dalla Corte di appello sia viziata per insufficienza o contraddittorietà.

Per altro verso la motivazione della Corte di appello è sicuramente illogica laddove cerca di mettere in relazione l’insorgere del rapporto sentimentale fra S.S. e la nuova segretaria della S. s.r.l. con la dichiarazione della S., alla cognata E.S., secondo cui ella non voleva aver un figlio dal marito. Va, in primo luogo, osservato che sicuramente una tale dichiarazione non legittimava affatto S.S. a intraprendere una relazione extra-coniugale. Inoltre emerge con evidenza dalla lettura della deposizione testimoniale che la Corte di appello non ha tenuto conto del contenuto effettivo della dichiarazione resa da E.S.: “S. nel 2003 (mi sembra nel febbraio) mi ha telefonato e mi ha detto che forse aveva esagerato in un momento d’ira con S. dicendo che da lui non voleva aver nessun figlio”. Dichiarazione dalla quale non emerge affatto una chiara e consolidata volontà della S. di non aver figli dallo S. ma semmai emerge la situazione di crisi del rapporto coniugale e la preoccupazione della S. per la sua fine.

Una tale valutazione di incongruità della motivazione non può però comportare l’accoglimento del ricorso in quanto la decisione, come si è esposto in precedenza, si basa su una doppia ratio decidendi al fine di escludere l’addebito della separazione allo S. Resta infatti non intaccata dalle censure mosse dalla ricorrente l’ulteriore motivazione relativa all’insorgere della relazione extra-coniugale in un’epoca in cui il rapporto fra i due coniugi era già entrato in una crisi non più reversibile. Tale ratio decidendi appare conforme a quanto, più volte è stato ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, e cioè che l’innosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale non può giustificare, da sola, una pronuncia di addebito della separazione, qualora una tale condotta sia successiva al verificarsi di un’accertata situazioni di intollerabilità della convivenza, sì da costituire non la causa di detta intollerabilità ma una sua conseguenza. Una tale situazione, secondo la Corte di appello, ricorre nel caso in esame in cui entrambe le parti hanno messo in evidenza la persistenza della crisi che da tempo aveva investito la loro relazione. Si tratta di una motivazione che può ritenersi esente di vizi logici e esaustiva se ricollegata all’analisi delle prove relative all’epoca di inizio della relazione extra-coniugale dello S.

Il ricorso va pertanto respinto. In considerazione della parziale verifica della illogicità della motivazione della decisione impugnata, oltre che in relazione alla specificità del contenuto della controversia si ritiene corrispondente a giustizia la integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione. Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/2003.

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