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Cosa accade quando, a seguito di un sinistro stradale, si cita il proprietario del veicolo responsabile dell’incidente e questi fallisce?

Di tale questione si è occupata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10640/12.

Il caso. Dagli atti risultava come, successivamente all’introduzione del giudizio, il proprietario dell’autovettura ritenuta responsabile dell’evento fosse fallito.

Gli attori, quindi, avevano riassunto il giudizio nei confronti del fallimento in persona del curatore, chiedendone la condanna al risarcimento del danno in solido con il coobbligato.

Le corti di merito avevano da ciò desunto l’improcedibilità dell’azione e la devoluzione del relativo giudizio al tribunale fallimentare: “Ciò perchè la domanda tende a far valere un diritto verso la massa e, quindi, potenzialmente idonea ad influire sulla par condicio creditorum.

Diversamente, per l’azione nei confronti del conducente, trattandosi di domanda del tutto autonoma e distinta il cui accoglimento non ha nessuna incidenza nei confronti della massa (Cass. 7.1.1983 n. 105; v. anche Cass. 24.2.2011 n. 4464; Cass. 9.7.2005 n. 14468)”.

Gli Ermellini, infatti, sono partiti dal presupposto secondo cui “E’ principio assolutamente pacifico quello secondo cui ogni pretesa a contenuto patrimoniale svolta nei confronti di un soggetto fallito debba essere azionata attraverso lo speciale procedimento endofallimentare dell’accertamento del passivo, da attivarsi davanti al tribunale fallimentare, essendo improcedibile ogni diversa azione”.

Pertanto, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la dichiarazione di inammissibilità/improseguibilità, poiché gli attori, a seguito del fallimento, hanno riassunto il giudizio nei confronti del curatore, chiedendo la condanna del medesimo in solido con l’assicurazione coobbligata.

Secondo i giudici di legittimità, invece, “La parte danneggiata, infatti, avrebbe dovuto, in alternativa alla sola domanda nei confronti del danneggiante da proporsi con il rito fallimentare, astenersi da ogni conclusione nei suoi confronti o dichiarare l’intenzione di avvalersi di un’eventuale condanna solo in esito al ritorno in bonis”.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 26 giugno 2012, n. 10640

Svolgimento del processo

B. e C.F. proposero appello avverso la sentenza del tribunale di Torre Annunziata – sezione distaccata di Sorrento del 30.1.2005, con la quale era stata dichiarata l’improseguibilità del giudizio relativo al risarcimento dei danni da sinistro stradale, a seguito dell’intervenuta dichiarazione di fallimento della S. L. sas, proprietaria del veicolo, responsabile dei danni causati agli appellanti; giudizio nel quale era stata richiesta la condanna solidale della società e della sua compagnia di assicurazione per la responsabilità civile SIS Assicurazioni spa.

La Corte d’Appello, con sentenza in data 11.9.2009, rigettò la proposta impugnazione.

Hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi B. e C.F.

Resiste con controricorso la Compagnia di Assicurazione di Milano spa, quale incorporante della SIS Assicurazioni spa.

L’altro intimato non ha svolto attività difensiva.

Le parti costituite hanno anche presentato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 24, 43, 23, 51, 52; degli artt. 39, 183, 184, 345, 307, 48, 50 c.p.c.; dell’art. 1292, 1218 c.c.; omesso esame di fatto decisivo e controverso del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 24, 43, 23, 51, 52; degli artt. 39, 183, 184, 345, 301, 48, 50 c.p.c.; dell’art. 1292, 1218 c.c.;

della L. n. 990 del 1969, art. 18; omesso esame di fatto decisivo e controverso del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5;

omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

I due motivi, per l’intima connessione delle censure con gli stessi proposte, sono esaminati congiuntamente.

Essi non sono fondati per le ragioni che seguono.

E’ principio assolutamente pacifico quello secondo cui ogni pretesa a contenuto patrimoniale svolta nei confronti di un soggetto fallito debba essere azionata attraverso lo speciale procedimento endofallimentare dell’accertamento del passivo, da attivarsi davanti al tribunale fallimentare, essendo improcedibile ogni diversa azione.

Nè un’eccezione a tale principio può derivare dalla circostanza che la domanda proposta attenga ad un’azione che, come nella specie, comporti il necessario intervento di più litisconsorti (L. n. 990 del 1969, art. 23), posto che, come aveva già rilevato la più attenta dottrina, in esito alla riforma della legge fallimentare che non prevede più l’opposizione allo stato passivo nelle forme dell’ordinario processo di cognizione, viene impedito il simultaneus processus nei confronti del fallito e dei litisconsorti. E ciò perchè nell’attuale rito è sicuramente esclusa la presenza di parti estranee al fallimento nell’ambito di un procedimento che, comunque si voglia individuarne l’oggetto, non prevede pronunce di condanna, o anche solo di accertamento, destinate ad avere efficacia in ambito extraconcorsuale nei confronti del litisconsorte in bonis (v. anche Cass. 5.8.2011 n. 17035). Poichè gli originari attori, però, a seguito dell’intervenuto fallimento, dichiarato nel corso del giudizio di primo grado, hanno riassunto il giudizio nei confronti del fallimento in persona del curatore chiedendone la condanna al risarcimento del danno in solido con il coobbligato – con ciò optando per l’azione volta alla condanna, oltre che dell’assicuratore, anche del responsabile fallito -, l’azione, nel suo complesso, non può che essere dichiarata inammissibile.

La parte danneggiata, infatti, avrebbe dovuto, in alternativa alla sola domanda nei confronti del danneggiante da proporsi con il rito fallimentare, astenersi da ogni conclusione nei suoi confronti o dichiarare l’intenzione di avvalersi di un’eventuale condanna solo in esito al ritorno in bonis.

Né a diversa conclusione può pervenirsi in ossequio al principio per il quale l’improcedibilità del giudizio tra il creditore ed uno dei condebitori solidali, determinata dal fallimento di quest’ultimo, non impedisce che il giudizio stesso prosegua nei confronti di altro condebitore in bonis nella sede ordinaria, senza essere attratto nella competenza del tribunale fallimentare, qualora si tratti di azione avente con il fallimento un rapporto di mera occasionante, e non sia da esso derivante (o che, comunque, lo investa o ne risulti influenzata, con conseguente necessità di svolgimento dinanzi a detto tribunale, ai fini dell’unitarietà della procedura e della par condicio creditorum).

Il fallimento del proprietario dell’autoveicolo – come nella specie – infatti sopravvenuto nel corso del giudizio di primo grado relativo alla propria responsabilità ed a quella del conducente, ai sensi, rispettivamente, del comma 3 e del comma 2, art. 2054 cod. civ., comporta l’improcedibilità dell’azione contro il proprietario stesso e la devoluzione del relativo giudizio al tribunale fallimentare, ove il danneggiato proponga domanda di ammissione al passivo.

Ciò perchè la domanda tende a far valere un diritto verso la massa e, quindi, potenzialmente idonea ad influire sulla par condicio creditorum.

Diversamente, per l’azione nei confronti del conducente, trattandosi di domanda del tutto autonoma e distinta il cui accoglimento non ha nessuna incidenza nei confronti della massa (Cass. 7.1.1983 n. 105; v. anche Cass. 24.2.2011 n. 4464; Cass. 9.7.2005 n. 14468).

Quanto, poi, al tema della obbligazione solidale, non coglie nel segno la tesi sostenuta dai ricorrenti per la quale l’autonomia delle azioni proponibili da un creditore nei confronti di più soggetti solidalmente obbligati nei suoi confronti, opera anche nel caso del fallimento di uno di essi; con la conseguenza che l’azione verso il fallito comporta il ricorso alla procedura speciale dell’insinuazione al passivo del credito, quindi l’improcedibilità della domanda, mentre l’azione nei confronti del coobbligato in bonis può procedere con il rito ordinario.

Infatti, tra il responsabile (il proprietario del veicolo) e l’assicuratore, ai sensi della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 23, ricorre un’ipotesi litisconsorzio necessario, (mentre non sussiste, a norma dell’art. 2054 cod. civ., comma 3, tra il conducente e tale assicuratore, ovvero tra il primo ed il proprietario, in tal caso derivando soltanto un’ipotesi di obbligazione solidale e quindi di litisconsorzio facoltativo) (Cass. 7.5.2007 n. 10304; Cass. ord. 15.12.2011 n. 27024); con la conseguenza che il giudizio deve svolgersi fra tutte le parti unitariamente.

Nè a diversa conclusione può pervenirsi sulla base delle precedenti indicazioni in ordine alla impossibilità dello svolgimento del simultaneus processus nei confronti del fallito e dei litisconsorti, per avere gli attori – come già detto – optato per l’azione volta alla condanna, oltre che dell’assicuratore, anche del responsabile fallito; con la conseguente declaratoria di inammissibilità dell’azione nel suo complesso.

Conclusivamente, il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico solidale dei ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese in favore della resistente, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

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