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Dott.ssa Lisa Francesca Sgromo

Il 14 aprile 2016 il Parlamento Europeo ha approvato il nuovo regolamento in materia di protezione dei dati personali: il cd. Data Protection.

Il Data Protection entrerà in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea; successivamente, ciascuno stato membro, entro il termine di due anni, dovrà recepire le previsioni in esso contenute all’interno del proprio ordinamento giuridico.

La novità del Data Protection consiste, in particolare, nella espressa previsione del riconoscimento del cd. diritto all’oblio.

Il diritto all’oblio è strettamente connesso all’evolversi della coscienza sociale, sempre più attenta alla tutela della persona, alla riservatezza e alla identità personale e consiste nel diritto ad essere dimenticati, o meglio, a non essere più ricordati per fatti che in passato sono stati oggetto di cronaca.

Il tema non è nuovo in ambito europeo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il 13 maggio 2014, si è pronunciata in ordine al noto caso Google Spain SL, Google Inc. contro Agencia Española de Protección de Datos, Mario Costeja González riconoscendo espressamente il diritto a essere dimenticati (right to be forgotten).

Il diritto all’oblio non è sconosciuto neanche al nostro ordinamento giuridico, anzi, il diritto all’oblio è configurabile, da un lato, quale diritto inviolabile dell’uomo, ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione; dall’altro, quale limite implicito al diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, ai sensi dell’articolo 21 della Costituzione.

Ed invero, il diritto all’oblio emerge sempre a partire dal momento in cui cessa l’interesse pubblico intorno a un fatto, in quanto ritenuto acquisito.

Ciò è imposto dal corretto e attento bilanciamento dei valori in gioco, considerato che il diritto all’oblio ben può scontrarsi con il contrapposto diritto a informare.

È particolarmente interessante esaminare, brevemente, l’evoluzione della giurisprudenza di merito e di legittimità sul punto in quanto, specialmente in ragione della diffusione di nuovi mezzi di comunicazione, essa si è progressivamente orientata verso la garanzia massima di tale aspetto della riservatezza personale.

In un primo momento, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 20 novembre 1996, ha affermato che il diritto all’oblio, “pur rientrando nel generale diritto alla riservatezza, di cui all’art. 2 della Costituzione, assume rispetto a esso una spiccata peculiarità, in quanto non è volto a impedire la divulgazione di notizie e fatti appartenenti alla sfera intima dell’individuo e tenuti fino ad allora riservati, ma è finalizzato a impedire che fatti già resi di pubblico dominio possano essere revocati nonostante il tempo trascorso, così da evitare di proiettare l’individuo, all’improvviso e senza il suo consenso, verso una nuova notorietà indesiderata”.

La nuova fase del diritto all’oblio ha inizio a partire dalla sentenza della Cassazione Civile, Sez. III, n. 5525 del 2012.

La Suprema Corte, infatti, in questa occasione, ha espressamente sancito che: “se l’interesse pubblico sotteso al diritto all’informazione costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza, al soggetto cui i dati appartengono è attribuito il diritto all’oblio e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultano ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati“.

Per un approfondimento su questa sentenza clicca qui.

Un ulteriore fondamento del diritto all’oblio va rinvenuto nell’articolo 27, comma 3 della Costituzione, secondo il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato.

Si tratta del principio della cd. funzione rieducativa della pena: la pena non deve avere solo la funzione di punire, ma, anche e soprattutto, quella di favorire il reinserimento sociale del condannato.

Ebbene, la pena non potrebbe assolvere alla funzione di restituire il condannato alla società civile se in quest’ultima rimanesse ben saldo il ricordo di quanto quel condannato ha fatto, considerato che il ricordo sarebbe rafforzato proprio dalla riproposizione dello stesso fatto.

Di recente, con il disegno di legge n.1119, recante “Misure a tutela del soggetto leso nell’onore e nella reputazione”, si è proposto di disciplinare il diritto all’oblio, prevedendo espressamente il diritto per l’interessato di ottenere la rettifica o l’aggiornamento delle informazioni contenute nell’articolo ritenuto lesivo dei propri diritti, nonché di chiedere l’eliminazione, dai siti internet e dai motori di ricerca, dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione di disposizioni di legge, riconoscendogli, altresì, in caso di rifiuto o di omessa cancellazione dei dati, ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, di chiedere al giudice di ordinare la rimozione, dai siti internet e dai motori di ricerca, delle immagini e dei dati ovvero di inibirne l’ulteriore diffusione.

Ciononostante, l’articolo in esame è stato stralciato dalla proposta di legge.

Per tale ragione, ora è opportuno un nuovo intervento ma, questa volta, senza alcun indugio, e ciò proprio alla luce dei recenti risvolti in ambito europeo.

L’immagine del post è stata realizzata da Yuri Samoilov, rilasciata con licenza cc.

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