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Come tutti sappiamo una delle principali manovre del Governo, attraverso l’entrata in vigore il 8 giugno 2013 (ex dlgs n. 220 del 11.12.2012), è consistita nel riformare quasi interamente la disciplina codicistica  riguardante il condominio.

Il testo di legge, entrato in vigore da poco tempo, tra i suoi obiettivi principali tenta di armonizzare l’istituto del condominio inserendo, all’interno del codice civile, articoli ispirati profondamente ai nuovi orientamenti della giurisprudenza della Corte di Cassazione che, come sappiamo, hanno parzialmente stravolto la disciplina di cui sopra.

Una delle principali novità introdotta dalla legge riguarda la definizione stessa di condominio avvenuta grazie alla riformulazione dell’art. 1117 bis, il quale ingloba nella nozione di condominio anche i c.d. condomini orizzontali ovvero i villaggi residenziali e, da ultimo, anche i supercondomini.

Pedissequamente, attraverso l’introduzione dell’art. 1117 ter, la suindicata legge ha modificato integralmente i criteri costitutivi dell’assemblea condominiale per il compimento di atti di straordinaria amministrazione, in particolare quelli riguardanti la modifica della destinazione d’uso delle parti comuni; quest’ultima ora deve essere decisa dalla maggioranza assembleare che rappresenti i quattro quinti della c.d. popolazione condominiale e/o i quattro quinti dell’edificio interessato.

Importanti novità sono state introdotte dall’art. 3 della citata legge, dove viene “riscritta”  la disciplina riguardante i diritti dei partecipanti sulle parti comuni, prevedendo la possibilità per il condominio di poter rinunciare all’utilizzo delle parti comuni laddove queste non arrechino significativi squilibri riguardanti l’utilizzo o il funzionamento di esse, oppure non comportino un aggravio di spesa per gli altri condomini.

Significativa è inoltre la modifica apportata dall’art. 6 della suindicata legge, all’art. 1122 del c.c. dove si stabilisce l’impossibilità per i condomini di eseguire opere o apportare delle modifiche “ovvero variare la destinazione d’uso all’unità immobiliare di proprietà o alle parti comuni in uso individuale”, se le modifiche o l’effettuazione dei lavori rechino danno alle parti comuni o alle proprietà esclusive o procurino un grave pregiudizio alla stabilità, sicurezza, decoro architettonico dell’edificio.

All’interno, infine, della riforma assumo particolare rilievo le innovazioni riguardanti la figura dell’amministratore di condominio.

In particolare, per citare le più significative, viene introdotto l’obbligo legale di nomina dell’amministratore di condominio quando l’edificio condominiale sia composto da più di 8 condomini proprietari rispettivamente di ciascuna unità immobiliare.

Principalmente la riforma in esame introduce, (in virtù anche di una giurisprudenza consolidatasi in materia da perte della Corte di Cassazione), un ampliamento ed una esplicita dichiarazione circa i diritti e i doveri dell’amministratore riguardanti la gestione condominiale rendendo questa estremamente trasparente e visibile a tutti i condomini in modo tale da poter essere facilmente controllabile e verificabile da questi ultimi.

Viene fatto obbligo, a tal proposito, all’amministratore di agire in giudizio contro i condòmini resisi inadempienti al pagamento delle rispettive quote di gestione condominiale, entro sei mesi decorrenti dalla data di scadenza prevista per il pagamento degli stessi, salvo deroghe temporali ad hoc deliberate appositamente dalla assemblea condominiale.

Infine, l’art. 14 della citata riforma prevede altresì il mutamento dei quorum deliberativi  e costitutivi dell’assemblea riguardanti il compimento di atti di c.d. ordinaria amministrazione come ad. es. delibera sulle spese, bilancio preventivo, consuntivo ecc..

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