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Com’è noto, l’art. 339 c.p.c., come modificato dal D.lgs 2 febbraio 2006, n. 40, al terzo comma, dispone che: Le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’articolo 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia.

Ricordiamo che nella previgente disciplina, le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità erano inappellabili tout court.

Nella formulazione attuale, come si è sopra accennato, tali sentenze sono appellabili, ma solo per motivi limitati, vale a dire:

a) violazione delle norme sul procedimento;

b) violazione di norme costituzionali;

c) violazione di norme comunitarie;

d) violazione dei principi regolatori della materia.

Si tratta, pertanto, di un mezzo di impugnazione a critica vincolata [TARZIA G., lineamenti del processo civile di cognizione, Milano 2009].

Giova, poi, precisare che detto regime non si applica a tutte le sentenze pronunciate secondo equità, bensì solo a quelle pronunciate a norma dell’art. 113 c.p.c., vale a dire, le ipotesi di cd. equità necessaria.

Ricordiamo, infatti, che nel nostro ordinamento processuale, con riferimento alle sentenze del giudice di pace, si distingue tra:

a) equità “concordata”, di cui all’art. 114 c.p.c., che presuppone una concorde richiesta delle parti e che la controversia abbia ad oggetto diritti disponibili;

b) equità “necessaria”, di cui all’art. 113 c.p.c., secondo cui, Il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’articolo 1342 del codice civile

Per cui solo le sentenze pronunciate secondo “equità necessaria” sono appellabili ai sensi dell’art. 339 ult. Comma.

Ai fini della determinazione del valore, poi, appare utile richiamare una recente pronuncia della giurisprudenza che ha chiarito che rileva solo  il valore della controversia, da determinarsi – indipendentemente dal valore dichiarato per il contributo unificato – applicando analogicamente le norme di cui agli art. 10 e ss. c.p.c. in tema di competenza (Cass. Civ. 9432/2012)

Ove, però, l’attore abbia formulato dinanzi al giudice di pace una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore a millecento euro (limite della equità necessaria) accompagnandola però con la richiesta della diversa ed eventualmente maggior somma che “sarà ritenuta di giustizia”, la causa deve ritenersi – in difetto di tempestiva contestazione ai sensi dell’art. 14 cod. proc. civ. – di valore indeterminato, e la sentenza che la conclude sarà appellabile senza i limiti prescritti dall’art. 339 cod. proc. civ. (Cass. Civ. 9432/2012)

Ciò premesso, riteniamo doveroso chiarire che, di recente, si è affermato che La pronuncia del giudice di pace in giurisdizione equitativa successiva alla novella ex art. 40, D.Lgs. n. 40 del 2006 è impugnabile attraverso l’appello e non il ricorso per cassazione (Cass. Civ. 4036/2012).

Questo perché, come è stato ritenuto da Cass. Civ. n. 13019/2007, la sentenza equitativa del giudice di pace non è né una sentenza pronunciata in grado di appello né una sentenza pronunciata in unico grado, per cui appare evidente che essa non è sottoponibile a ricorso per cassazione per i vizi diversi da quelli indicati dal terzo comma dell’art. 339 e particolarmente per quello di cui al n. 5 dell’art. 360.

Pienamente escluso, quindi, il ricorso straordinario in Cassazione ex art. 111 VII° comma Cost.. Si è, infatti, di recente ritenuto che Avverso le sentenze pronunciate dal giudice di pace nell’ambito della sua giurisdizione equitativa necessaria, l’appello a motivi limitati, previsto dal terzo comma dell’art. 339 cod. proc. civ., è l’unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso, anche in relazione a motivi attinenti alla giurisdizione, alla violazione di norme sulla competenza ed al difetto di motivazione. Ne consegue che è manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 339, terzo comma, cod. proc. civ., nel testo novellato dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 del 2006, per violazione dell’art. 111, settimo comma, Cost., prospettato sotto il profilo che tra i motivi di appello avverso le sentenze secondo equità del giudice di pace non rientrerebbero quelli anzidetti, giacché esso si fonda su un erroneo presupposto interpretativo, dovendosi ritenere tali motivi ricompresi nella formula generale della violazione di norme sul procedimento, con conseguente sottrazione della sentenza al ricorso straordinario, in quanto sentenza altrimenti impugnabile (Cass. Civ. 6410/2013).

Logicamente, se la sentenza è stata pronunciata prima dell’entrata in vigore della novella del 2006, si applicherà il regime processuale previgente che prevedeva la ricorribilità della decisione di primo grado direttamente in Cassazione (Cass. Civ. 8197/2013).

Per un caso pratico vedi Impugnazione delle sentenze del Giudice di Pace secondo equità: Appello o ricorso per Cassazione?

L’immagine del post è stata realizzata da succo, rilasciata con licenza cc.

 

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