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In questa breve guida, illustrerò alcuni consigli utili su come come realizzare una campagna adwords evitando problemi legali.

Il servizio adwords

Come noto, il servizio google adwords è, probabilmente, il principale strumento per la promozione online di prodotti e/o servizi. La base del servizio è costituita dall’enorme database di parole chiave (le cd. “keyword”) utilizzate dagli utenti per ricercare informazioni sul web e di cui Google è ovviamente in possesso.

Sulla base di complessi algoritmi, il colosso di Mountain View è in grado di determinare quali keyword abbiano un valore maggiore rispetto alle altre.

A questo punto, l’inserzionista (ossia il soggetto che intende promuovere i propri beni e/o servizi in rete) dovrà acquistare una e/o più parole chiavi allo scopo di far apparire i propri annunci pubblicitari in prima pagina. Il prezzo per l’utilizzo del servizio è determinato dal cd. Costo per click. Ad esempio, per la keyword “auto elettriche”, Google suggerisce un’offerta per click di 4,78 €.

La pianificazione delle parole chiavi, quindi, costituisce il principale elemento di una strategia di advertising su Adwords.

La problematica

Il servizio in esame, sostanzialmente, consente a qualsiasi inserzionista di far apparire in prima pagina un proprio annuncio pubblicitario, utilizzando una o più keyword.

Talvolta (e non è, in realtà, così infrequente) alcuni inserzionisti utilizzano parole chiavi riferibili ad altri soggetti e giungono addirittura ad utilizzare marchi registrati. La finalità è logicamente quella di “attirare” il traffico diretto a quelle keyword e “dirottarlo” verso i propri siti internet.

A questo punto, sorge spontanea la domanda: è legale questa prassi?

La questione è stata affrontata a più riprese, soprattutto, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, in particolar modo, nelle sentenze BergSpechte (C-278-08) e L’Oreal (C-324-09). Il principio di diritto, cristallizzato nella giurisprudenza comunitaria, è che:

“il titolare di un marchio ha il diritto di vietare che un inserzionista – sulla base di una parola chiave identica o simile a tale marchio, da lui scelta, senza il consenso del detto titolare, nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – faccia pubblicità a prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio in questione è stato registrato, qualora tale pubblicità non consenta o consenta solo difficilmente all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi cui si riferisce l’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo”

Sostanzialmente, il tema concerne la tutela delle funzioni del marchio che consistono:

  • nel garantire ai consumatori l’origine del prodotto o servizio;
  • nella comunicazione e nella pubblicità;
  • nella funzione di investimento del marchio

Esaminiamo, nel dettaglio, le tre funzioni del marchio

Per quanto attiene alla garanzia circa l’origine del prodotto o servizio, l’acquisto di una parola chiave corrispondente ad un marchio registrato comporterà la violazione dei diritti esclusivi del titolare del medesimo, in tutti i casi in cui l’annuncio, per come presentato, non consenta al consumatore o renda più gravoso determinare se i prodotti/servizi offerti provengano dal titolare del marchio o da un terzo.

In relazione alla comunicazione ed alla pubblicità, paradossalmente, l’acquisto di una siffatta keyword non sarebbe idoneo, di per sé, a compromettere tale funzione del marchio. In questi casi, a dire il vero, l’effetto immediato sarebbe un incremento del costo per click per il titolare del marchio, ma, come è stato sostenuto, nella sentenza interflora del 22 settembre 2011, non vi sarebbe alcuna violazione, in quanto sarebbe una pratica concorrenziale lecita.

“la pubblicità su Internet a partire da parole chiave corrispondenti a marchi costituirebbe una pratica concorrenziale, in quanto, in generale, essa ha meramente lo scopo di proporre agli utenti di Internet alternative rispetto ai prodotti o ai servizi dei titolari di detti marchi e non avrebbe, peraltro, l’effetto di privare il titolare di tale marchio della possibilità di utilizzare efficacemente il proprio marchio per informare e persuadere i consumatori.“

Infine, in relazione alla funzione di investimento (ossia nell’utilizzo del marchio per acquisire e mantenere una reputazione commerciale e, quindi, “fidelizzare” la clientela), nella citata sentenza interflora, la Corte di Giustizia ha correttamente evidenziato che tale funzione sarebbe violata in presenza di un uso del marchio suscettibile di ledere la reputazione del marchio.

Il caso dei marchi dotati di “rinomanza”

La Corte di Giustizia, inoltre, prende in considerazione l’ipotesi di keyword corrispondenti a marchi dotati di rinomanza (ossia i cd. Marchi “celebri”, es. FERRARI, GUCCI, ecc.). Come noto, la tutela accordata ai marchi celebri è solitamente ben più ampia rispetto a quella riconosciuta ai marchi non dotati di rinomanza e la spiegazione si basa sull’esigenza di evitare condotte parassitarie, tese a sfruttare indebitamente la notorietà altrui.

Con riferimento al servizio di adwords, tuttavia, i giudici del Lussemburgo hanno, comunque, ritenuto che il mero utilizzo di keyword corrispondenti a marchi celebri non è automaticamente illegittimo, ma occorre sempre verificare se l’inserzione costituisca l’offerta di un’alternativa ai prodotti/servizi del titolare del marchio. Viceversa, quando l’operazione è finalizzata a “indurre in errore il consumatore” sull’origine dei prodotti, si rientra nell’ambito delle condotte vietate.

Il keyword advertising, quand’anche basato sull’utilizzo di parole chiavi riservate non è sempre illecito, ma è necessario valutare caso per caso la modalità di presentazione dell’annuncio.

Una diretta applicazione del suddetto principio è stata effettuata dalla sentenza del 7 giugno 2013 del Tribunale di Palermo, con riferimento alla tecnica della dynamic keyword insertion. Si tratta di una tecnica che comporta l’inserimento nel codice HTML dell’annuncio sponsorizzato (per la precisione nel tag <title>) della keyword acquistata dall’inserzionista e utilizzata dall’utente per la ricerca. Attraverso questa pratica viene, di fatto, accresciuta la percezione dell’utente in merito alla pertinenza dell’annuncio rispetto alle proprie intenzioni di ricerca.

Ne deriva che l’utilizzo di questa tecnica, quando associata all’uso di parole chiavi coincidenti con marchi di terze parti, ben può integrare l’illecito concorrenziale e la violazione dei diritti sul marchio. Questa, in estrema sintesi, le conclusioni alle quali era giunto il giudice palermitano.

E quindi, come realizzare una campagna adwords evitando problemi legali?

A questo punto, dovrei aver fornito sufficienti informazioni per rispondere all’interrogativo dal quale siamo partiti.

È ovvio che molto dipende dal caso concreto e dalle specifiche keyword acquistate, ad ogni modo, mi limiterei a suggerire le seguenti buone pratiche:

  • nei limiti del possibile, evitare l’utilizzo di parole chiavi identiche a marchi di terze parti (consigliabile utilizzare l’ottimo tmview, nel momento in cui ci si accinge a pianificare le keyword);
  • quando si utilizzano parole “a rischio”, assicurarsi che l’annuncio sponsorizzato renda evidente che i prodotti/servizi offerti costituiscono un’alternativa a quelli commercializzati dal titolare del marchio;
  • specialmente quando si utilizzano parole corrispondenti a marchi celebri, assicurarsi che (i) non vi sia alcun effetto pregiudizievole per la reputazione dei relativi prodotti/servizi; (ii) non sia utilizzata la tecnica della dynamic keyword insertion.

 Infine, specialmente, quando le attività di marketing online vengono affidate ad agenzie esterne, sarebbe preferibile inserire nei contratti di servizi specifiche dichiarazioni e garanzie nonché clausole di manleva che dovranno trovare applicazione in presenza di azioni legali intentate dai titolari dei marchi (che logicamente agiranno nei confronti del committente e non delle agenzie!!).

 

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