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Il decreto legislativo 22.01.2004 n.42 (il cosiddetto “Codice dei beni culturali e del paesaggio”), disciplina la tutela, la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, appartenenti tanto a soggetti pubblici quanto a privati, secondo la classificazione contenuta all’art.10, in quanto dichiarati di interesse culturale.

La verifica dell’interesse culturale costituisce, dunque, il presupposto per l’applicazione della normativa vincolistica.

L’art.12 del Codice, relativamente alle cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico ed a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, dispone che i competenti organi del Ministero, o d’ufficio, verifichino la sussistenza dell‘interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nei beni culturali.

E’ importante notare che la stessa norma dispone che il Ministero stabilisca con decreto gli indirizzi di carattere generale per attuare la  verifica, onde assicurare “uniformità di valutazione”.

In tale senso, il D.M 6 febbraio 2004 ha disciplinato i criteri e le modalità per la predisposizione e la trasmissione degli elenchi e delle schede descrittive dei beni immobili di pertinenza delle amministrazioni dello Stato, delle regioni, delle province, delle città metropolitane, dei comuni e di ogni altro ente ed istituto pubblico. Mentre, il D.M. 25 gennaio 2005 ha regolamentato la verifica d’interesse culturale dei beni immobili di proprietà di persone giuridiche private senza fine di lucro.

Infine, il D.M. 28 febbraio 2005 modifica le disposizioni contenute nel D.M. 6 febbraio 2004.

In ambito privatistico, osserviamo che l’art.10 del Codice stabilisce che il vincolo deve aver per oggetto cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico di particolare importanza.

Di fatto, la dichiarazione d’interesse culturale consegue, nella maggioranza dei casi, a valutazioni opinabili, soggette a censura solo in caso di difetto di motivazione, manifesta illogicità ed errore di fatto.

In tale ambito, la giurisprudenza amministrativa, fungendo da cassa di risonanza all’attività amministrativa, tende ad estendere il potere discrezionale della p.a. oltre i limiti imposti dalla norma.

Pertanto, in sede giudiziaria, si è consolidato il principio secondo il quale, ai fini dell’imposizione del vincolo archeologico, l’effettiva esistenza delle cose da tutelare può essere dimostrata anche solo “per presunzioni” (Cons. di Stato Sez. VI n.1524/2003; n.334/2016). Così come la possibilità da parte dell’amministrazione di estendere il vincolo ad aree in cui sono disseminati i reperti archeologici (Cons. di Stato Sez, VI n.522/2013; n.1557/2014).

Di recente i giudici si sono spinti a confermare il vincolo imposto dall’amministrazione anche in presenza di risultanze controvertibili (Cons. di Stato Sez. VI n.1485/2019). Per cui, a fronte del principio normativo che impone la particolare rilevanza culturale del bene del privato, soggetto a vincolo, si è andato consolidando il principio per cui, anche di fronte all’incertezza, si impone il vincolo.

E’ evidente che in tal guisa si verificheranno situazioni per cui su una stessa area archeologica è possibile imporre vincoli indiscriminatamente.

In conclusione, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore che disciplini la verifica dell’interesse culturale per le cose appartenenti a soggetti privati, onde garantire una omogeneità di valutazione e prevenire la disparità di trattamento nel procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale.

Avv. Maria Elena Mameli

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