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Si può ritenere che un link ad informazioni disponibili sul sito del venditore soddisfi le disposizioni dell’art. 5 della direttiva 97/7/CE sui contratti a distanza, secondo cui il consumatore deve “ricevere” la conferma di talune informazioni su un supporto duraturo?

La questione è attualmente all’esame della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nella causa C-49/11, a fronte di un rinvio pregiudiziale operato dall’Oberlandesgericht di Vienna.

Il procedimento principale trae origine da un’azione intentata dalla Bundesarbeitskammer, ente di tutela dei consumatori nei confronti di Content Services, società che gestisce il portale opendownload.de.

Attraverso il sito internet in questione gli Utenti della rete possono effettuare il download di software freeware o demo/trial, dietro stipulazione online di un contratto di abbonamento, in cui l’Utente viene, tuttavia, invitato ad accettare le condizioni generali di contratto e a rinunciare al diritto di recesso.

In particolare si rilevano due elementi: a) le informazioni in merito al diritto di recesso non sono direttamente mostrate al cliente (il quale può, tuttavia, visualizzarle cliccando su un link) b) successivamente alla stipulazione del contratto, l’utente riceve una mail di conferma contenente i dati per accedere al servizio (user e password), senza alcun riferimento alle condizioni contrattuali e alla rinuncia al diritto di recesso.

La Direttiva 97/7/CE in materia di tutela del consumatore nell’ambito dei contratti stipulati a distanza, tuttavia, all’art. 4, richiede che prima della stipulazione del contratto al consumatore siano messe a disposizione una serie di informazioni (tra le quali l’esistenza del diritto di recesso). Inoltre il successivo art. 5 precisa che il consumatore ha diritto di ricevere, al momento dell’esecuzione del contratto, alcune informazioni (in particolare, con riferimento al diritto di recesso) su un “supporto duraturo”.

Il punto è che la direttiva qui esaminata non contiene una definizione di “supporto duraturo”. La suddetta definizione è, invece, contenuta nella Direttiva 2011/83/CE (che dovrà sostituire la direttiva 97/7/CE) laddove si precisa che per supporto duraturo deve intendersi ogni strumento che permetta al consumatore o al professionista di conservare le informazioni che gli sono personalmente indirizzate in modo da potervi accedere in futuro per un periodo di tempo adeguato alle finalità cui esse sono destinate e che permetta la riproduzione identica delle informazioni memorizzate. La medesima direttiva, al suo considerando 23, indica che “dovrebbero rientrare tra detti supporti in particolare documenti su carta, chiavi USB, CD-ROM, DVD, schede di memoria o dischi rigidi del computer nonché messaggi di posta elettronica”.

Va chiarito che il procedimento all’esame della Corte di Giustizia non verte sull’individuazione della nozione di “supporto duraturo” quanto piuttosto sullo stabilire se la messa a disposizione delle informazioni su una pagina web, accessibile mediante un link mostrato al consumatore prima di concludere il contratto, sia o meno una fornitura delle informazioni su un supporto duraturo.

A questo punto, appare interessante analizzare le conclusioni dell’Avvocato Generale, il quale rileva che la fornitura al cliente delle informazioni, ai sensi dell’art. 5, possieda due caratteristiche fondamentali:

a) il cliente deve “ricevere” le informazioni. Ciò esclude che quest’ultimo debba in qualche modo “attivarsi” per ottenerle (a differenza dell’art. 4 che, invece, richiede che talune informazioni siano semplicemente “messe a disposizione”);

b) il cliente deve “ottenere il controllo” sulle informazioni fornitegli ex art. 5. Ciò implica che tali informazioni devono restare a sua disposizione con modalità affidabili e per un lasso di tempo adeguato.

L’Avvocato Generale, giustamente, rileva che, in taluni casi, un sito web possa costituire un “supporto duraturo”, principalmente laddove consenta al consumatore di conservare le informazioni per un tempo sufficientemente lungo e laddove tali informazioni non siano modificabili (cfr. Corte EFTA, sentenza del 27 gennaio 2010, Inconsult Anstalt (E4/09)). Tuttavia, tali condizioni non possono certamente essere soddisfatte da una pagina web comune sulla quale il consumatore non abbia nessuna forma di controllo.

Le conclusioni dell’Avvocato Generale paiono certamente condivisibili.

Anche analizzando la disciplina sul commercio elettronico di cui all’art. 10.3 della Direttiva 2000/31/CE si rileva che sussiste un obbligo in capo al professionista di mettere a disposizione del consumatore le condizioni generali in un modo che questi possa memorizzarle e riprodurle. Peraltro, l’art. 13 del D.lgs 70/2003 prevede che il fornitore sia tenuto ad accusare ricevuta dell’ordine del destinatario, (fornendogli un riepilogo delle condizioni generali del contratto) con l’evidente ratio di fornire al consumatore una “prova” dei termini dell’accordo da esibire in un eventuale giudizio.

Pertanto, riteniamo che non sia conforme al diritto comunitario il mancato inoltro al consumatore di una conferma scritta delle condizioni generali di contratto, senza voler qui richiamare la disciplina italiana contenuta nel codice del consumo (che pure va tenuta presente).

Altro problema sarà poi individuare un supporto “durevole” che sia suscettibile di avere piena rilevanza probatoria.

Attualmente, nel sistema giuridico italiano, tale piena efficacia probatoria sarebbe da riconoscere esclusivamente ai documenti informatici sottoscritti con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale. In tutti gli altri casi (anche nel caso del messaggio di posta elettronica  semplice) la valutazione della relativa rilevanza probatoria verrà rimessa al libero apprezzamento del giudice.

In conclusione non resta che attendere l’interpretazione finale della Corte di Giustizia delle Comunità Europee che potrebbero, in effetti, accogliere le conclusioni dell’Avvocato Generale e, così, fornire finalmente chiarezza su una delle questioni più controverse degli ultimi anni.

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