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E’ valida l’impugnativa del licenziamento inviata con pec dal difensore?

Il fatto. Con ricorso depositato innanzi al Tribunale di Palermo, il lavoratore chiedeva dichiararsi la nullità e/o l’illegittimità del licenziamento per giusta causa
intimatole dal suo ex datore di lavoro.

Costituitasi in giudizio, la società datrice di lavoro eccepiva preliminarmente
l’intervenuta decadenza dell’impugnativa di licenziamento.

In particolare, la società resistente deduceva di aver ricevuto l’impugnativa di
licenziamento unicamente con pec dall’indirizzo del procuratore della parte ricorrente.

Nella pec veniva allegata una copia scansionata in pdf della lettera di impugnativa, non firmata digitalmente né dal lavoratore né dal procuratore di parte ricorrente. Inoltre, non veniva allegata né procura alle liti né un’attestazione di conformità degli atti allegati.

La decisione. Il Tribunale accoglie l’eccezione di decadenza, così statuendo: “libero è esclusivamente il contenuto dell’atto di impugnativa di licenziamento ma non il mezzo della rappresentazione documentale, che il legislatore richiede
expressis verbis essere quello della scrittura.”

Continua il Tribunale, “Le modalità mediante cui può essere individuata la provenienza del documento – il mancato rispetto delle quali comporta l’inidoneità del documento a soddisfare il requisito legale richiesto (con la conseguente impossibilità di attribuzione del documento al suo autore) – sono strettamente disciplinati dalla legge e si differenziano a seconda della “materia” del documento stesso: e se per il documento cartaceo soccorrono sul punto (per lo più) le norme contemplate dal codice civile, per il documento informatico e le copie informatiche di documenti analogici le disposizioni di riferimento sono contenute nel d.lgs. n.
82/2005, così come modificato dal d.lgs. 179/2016 e d.lgs. n. 217/2017 (c.d. Codice dell’Amministrazione Digitale – c.a.d.).

Il Giudice, richiamando l’art. 22 del D.lgs. n. 82/2005, precisa che la scansione dell’impugnazione può avere la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui è estratta solo nei seguenti casi:

1) se ad essa è apposta una firma digitale o elettronica qualificata o elettronica avanzata dal lavoratore e/o dal difensore (giusto il richiamo operato dal comma 1 dell’art. 22 d.lgs. n. 82/2005 all’art. 20 comma 1 bis primo periodo d.lgs. cit.); in tale caso, infatti, l’atto scansionato acquista natura di “documento informatico”;

2) se è accompagnata da valida attestazione di conformità di un notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, secondo le regole stabilite ai sensi dell’art. 71 d.lgs. n. 82/2005 (art. 22, comma 2, d.lgs. n. 82/20050);

3) se è stata formata in origine su supporto analogico nel rispetto delle
regole tecniche di cui all’art. 71 d.lgs. 82/2005 e la sua conformità all’originale
non è espressamente disconosciuta
(art. 22, comma 3, d.lgs. n. 82/2005).

Il caso in specie. L’atto cartaceo scansionato non era sottoscritto dal lavoratore
e/o difensore né digitalmente né elettronicamente, così come non era dotato di
alcuna attestazione di conformità nei termini richiesti dalla legge né era stato
formato nel rispetto delle linee guida AGID (richiamate dal citato art. 71 d.lgs.
82/2005).

Il Tribunale, così conclude “Non ricorrendo neanche uno dei tre elementi testé indicati, non si può che concludere che la trasmissione al datore di lavoro, tramite la pec del difensore, di una siffatta scansione di una comunicazione cartacea di
impugnativa di licenziamento non è idonea ad impedire la decadenza ex art. 6 l.
n. 604/1966″.

Precedenti di merito. Sulla stessa linea interpretativa ricordiamo la sentenza del Tribunale di Monza del 29 gennaio 2020


TRIBUNALE ORDINARIO DI PALERMO

Sezione Lavoro

***

sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 15.09.2020, ha pronunciato la

seguente

ordinanza

Con ricorso depositato in data 13.11.2019 la parte ricorrente in epigrafe –

dipendente della società resistente dal 5.11.2012 al 22.7.2019 – ha chiesto

dichiararsi la nullità e/o l’illegittimità del licenziamento per giusta causa

intimatole dalla convenuta e, per l’effetto, condannarsi quest’ultima a

reintegrarla nel posto di lavoro ed a corrisponderle una indennità risarcitoria

commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del

licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (maggiorata di

rivalutazione ed interessi come per legge), oltre al versamento dei contributi

previdenziali e assistenziali, dal giorno del licenziamento sino a quello

dell’effettiva reintegrazione.

La società convenuta, ritualmente costituitasi in giudizio, ha preliminarmente

eccepito l’intervenuta decadenza dell’impugnativa di licenziamento e, nel

merito, ha variamente contestato l’infondatezza del ricorso, di cui ha chiesto il

rigetto.

In particolare, la società resistente ha dedotto di aver ricevuto l’impugnativa di

licenziamento in data 12.9.2019 unicamente a mezzo di posta elettronica

certificata dall’indirizzo del procuratore della parte ricorrente, alla quale veniva

allegata una copia scansionata in pdf della lettera di impugnativa. Tale

documento non era firmato digitalmente né dal lavoratore né dal procuratore di

parte ricorrente. Inoltre alla suddetta pec non veniva allegata né procura alle liti

né un’attestazione di conformità degli atti allegati. In virtù delle superiori

considerazioni, la società convenuta ha ritenuto il documento in questione

inidoneo a far salvo il termine di decadenza di sessanta giorni, perché privo dei

requisiti di forma di cui all’art. 2702 c.c.

La causa, originariamente incardinata dinanzi ad altro giudice e

successivamente riassegnata a codesto giudice, senza alcuna istruzione, è stata

posta in decisione.

Merita accoglimento la preliminare eccezione di decadenza formulata dalla

parte resistente in memoria di costituzione poiché emerge dalla

documentazione in atti che l’impugnativa di licenziamento non è stata effettuata

entro il termine di sessanta giorni stabilito dall’art. 6 della legge n. 604/1966 (così

come modificato dall’art. 32 della l. n. 183/2010).

Anzitutto, giova ricordare che l’art. 6 l. n. 604/1966 stabilisce al comma 1 che “il

licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla

ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione,

anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto,

anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso

l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso”.

Com’è noto, l’atto di impugnazione di licenziamento, quale negozio giuridico

unilaterale recettizio dispositivo ricettizio, deve giungere a conoscenza del

datore di lavoro per produrre i suoi effetti.

Quanto alla forma di tale atto di impugnazione, la Suprema Corte di Cassazione

è granitica nel ritenere che il licenziamento può essere impugnato con qualsiasi

atto scritto, anche stragiudiziale, purché idoneo a manifestare al datore di

lavoro, indipendentemente dalla terminologia usata e senza necessità di formule

sacramentali, la volontà del lavoratore di contestare la validità e l’efficacia del

licenziamento (ex plurimis, cfr. Cass. n. 2200/1999; Cass. n. 7405/1994).

Facendo applicazione della menzionata disposizione di legge e dei principi

giurisprudenziali sopra illustrati, si può osservare che, a ben vedere, ad essere

libero è esclusivamente il contenuto dell’atto di impugnativa di licenziamento

ma non il mezzo della rappresentazione documentale, che il legislatore richiede

expressis verbis essere quello della scrittura. Ma perché un documento redatto per

iscritto possa inequivocabilmente manifestare la volontà da parte del lavoratore

di contestare la legittimità del recesso, il prius logico è che con sicurezza possa

ricondursi quel documento (che detta manifestazione di volontà contiene) al suo

autore (sul punto cfr. anche Cass. n. 7610/1991, secondo cui l’atto scritto deve

essere incontrovertibilmente riferibile al lavoratore).

D’altronde, come ebbe ad esprimersi antica e autorevole dottrina, “tutta la

teoria del documento è dominata dal problema della sua paternità”.

Le modalità mediante cui può essere individuata la provenienza del documento

– il mancato rispetto delle quali comporta l’inidoneità del documento a

soddisfare il requisito legale richiesto (con la conseguente impossibilità di

attribuzione del documento al suo autore) – sono strettamente disciplinati dalla

legge e si differenziano a seconda della “materia” del documento stesso: e se per

il documento cartaceo soccorrono sul punto (per lo più) le norme contemplate

dal codice civile, per il documento informatico e le copie informatiche di

documenti analogici le disposizioni di riferimento sono contenute nel d.lgs. n.

82/2005, così come modificato dal d.lgs. 179/2016 e d.lgs. n. 217/2017 (c.d. Codice

dell’Amministrazione Digitale – c.a.d.).

Specificamente, per quel che in tale sede interessa, la copia per immagine su

supporto informatico di un documento in originale cartaceo trova la sua

disciplina nell’art. 22 d.lgs. n. 82/2005, rubricato per l’appunto “copie informatiche

di documenti analogici”, che recita: “1. I documenti informatici contenenti copia di atti

pubblici, scritture private e documenti in genere, compresi gli atti e documenti

amministrativi di ogni tipo formati in origine su supporto analogico, spediti o rilasciati

dai depositari pubblici autorizzati e dai pubblici ufficiali, hanno piena efficacia, ai sensi

degli articoli 2714 e 2715 del codice civile, se sono formati ai sensi dell’articolo 20,

comma 1-bis, primo periodo. La loro esibizione e produzione sostituisce quella

dell’originale.

1-bis. La copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico è

prodotta mediante processi e strumenti che assicurano che il documento informatico

abbia contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto, previo

raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano

adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto

dell’originale e della copia.

2. Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in

origine su supporto analogico hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui

sono estratte, se la loro conformità è attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a

ciò autorizzato, secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71.

3. Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in

origine su supporto analogico nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 71

hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità

all’originale non è espressamente disconosciuta.

4. Le copie formate ai sensi dei commi 1, 1-bis, 2 e 3 sostituiscono ad ogni effetto di legge

gli originali formati in origine su supporto analogico, e sono idonee ad assolvere gli

obblighi di conservazione previsti dalla legge, salvo quanto stabilito dal comma 5.

5. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri possono essere individuate

particolari tipologie di documenti analogici originali unici per le quali, in ragione di

esigenze di natura pubblicistica, permane l’obbligo della conservazione dell’originale

analogico oppure, in caso di conservazione sostitutiva, la loro conformità all’originale

deve essere autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato con

dichiarazione da questi firmata digitalmente ed allegata al documento informatico.”

Alla luce della superiore disposizione, quindi, la scansione dell’impugnazione

può avere la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui è estratta

nei seguenti casi: 1) se ad essa è apposta una firma digitale o elettronica

qualificata o elettronica avanzata dal lavoratore e/o dal difensore (giusto il

richiamo operato dal comma 1 dell’art. 22 d.lgs. n. 82/2005 all’art. 20 comma 1

bis primo periodo d.lgs. cit.); in tale caso, infatti, l’atto scansionato acquista

natura di “documento informatico”; 2) se è accompagnata da valida attestazione

di conformità di un notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, secondo

le regole stabilite ai sensi dell’art. 71 d.lgs. n. 82/2005 (art. 22, comma 2, d.lgs. n.

82/2005) ; 3) se è stata formata in origine su supporto analogico nel rispetto delle

regole tecniche di cui all’art. 71 d.lgs. 82/2005 e la sua conformità all’originale

non è espressamente disconosciuta (art. 22, comma 3, d.lgs. n. 82/2005).

Nel caso di specie, l’atto cartaceo scansionato non è sottoscritto dal lavoratore

e/o difensore né digitalmente né elettronicamente, così come non è dotato di

alcuna attestazione di conformità nei termini richiesti dalla legge né è stato

formato nel rispetto delle linee guida AGID (richiamate dal citato art. 71 d.lgs.

82/2005). Non ricorrendo neanche uno dei tre elementi testé indicati, non si può

che concludere che la trasmissione al datore di lavoro, tramite la pec del

difensore, di una siffatta scansione di una comunicazione cartacea di

impugnativa di licenziamento non è idonea ad impedire la decadenza ex art. 6 l.

n. 604/1966.

Infatti, come correttamente rilevato dalla giurisprudenza di merito (cfr. Trib.

Monza del 29 gennaio 2020), la procedura di trasmissione mediante PEC da

parte del difensore si limita a certificare l’avvenuta spedizione e ricezione della

comunicazione, con conseguente individuazione sia del mittente che del

destinatario, ma non può certificare la conformità degli atti allegati.

Né contrari argomenti possono desumersi da pronunce (anche di legittimità)

formatesi in tema di impugnativa di licenziamento mediante “telegramma” (ex

multis, Cass. n. 19689/2003; n. 6749/1996) – come sostenuto in udienza dal

procuratore di parte ricorrente – stante che quest’ultima fattispecie è disciplinata

dalla particolare previsione dell’art. 2705 c.c., che – in assenza di lacuna

legislativa (atteso che, come si è detto, è già previsto il c.a.d.) – non può

applicarsi analogicamente anche all’atto di impugnativa in questione.

Assorbita ogni altra questione, il ricorso pertanto non può trovare accoglimento.

Si dichiarano integralmente compensate le spese di lite tra le parti, tenuto conto

della novità della questione.

P.Q.M.

Il Giudice rigetta il ricorso e dichiara compensate integralmente le spese di lite

tra le parti.

Palermo, 27.10.2020

Il Giudice

Giuseppe Tango

Photo by Liam Truong on Unsplash

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