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La responsabilità prevista dall’art. 1337 c.c., oltre che in caso di rottura ingiustificata delle trattative, può derivare anche dalla violazione dell’obbligo di lealtà reciproca che si concretizza nella necessità di osservare il dovere di completezza informativa circa la reale intenzione di concludere il contratto, senza che alcun mutamento delle circostanze possa risultare idoneo a legittimare la reticenza o la maliziosa omissione di informazioni rilevanti nel corso della prosecuzione delle trattative finalizzate alla stipulazione del contratto.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la Sentenza n. 6526 del 26 aprile 2012, con cui ha accolto il ricorso di un (ex) dipendente di una compagnia assicuratrice che lamentava il comportamento scorretto di un suo conoscente il quale gli aveva prospettato la possibilità di diventare entrambi agenti di un’altra compagnia, creando allo scopo una società ad hoc che sarebbe divenuta titolare del mandato d’agenzia.

Come ben si evince dai fatti della controversia, le parti avevano stipulato un “accordo preliminare” in cui avevano fissato un termine per la costituzione della società; termine che, tuttavia, come si è successivamente appreso era inutilmente spirato a causa di un mutato atteggiamento della controparte che aveva, di fatto, impedito di addivenire alla costituzione della società.

I giudici di merito avevano, invece, rigettato le pretese attoree, tenuto conto che in tal caso l’”accordo” de quo non conteneva gli elementi essenziali per la stipulazione di un contratto definitivo e che, in ogni caso, non potesse parlarsi di rottura ingiustificata delle trattative.

Di diverso avviso la Cassazione che, con la sentenza in commento, ha, invece, affermato che nonostante la libertà delle parti nella valutazione della propria convenienza alla stipulazione del contratto, con facoltà di recesso anche in assenza di giustificato motivo (Cass. 29 maggio 1998, n. 5297), la fase delle trattative deve comunque essere contrassegnata dal rispetto del principio di buona fede e correttezza, da intendersi, tra l’altro, come dovere di informazione della controparte circa la reale possibilità di conclusione del contratto, senza omettere circostanze significative rispetto all’economia del contratto medesimo.

Detto principio non si riferirebbe solo all’ipotesi di rottura ingiustificata delle trattative, ma avrebbe valore di clausola generale, implicante il dovere per le parti di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto (cfr. ., in particolare, Cass. 5 agosto 2004, n. 15040 e, più recentemente, Cass. 8 ottobre 2008, n. 24795, sulla scorta dell’impostazione riconducibile a Cass., S.U., 19 dicembre 2007, n. 26725)

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CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 26 aprile 2012, n.6526 – Pres. Felicetti – est. Carrato

Fatto e svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 28 luglio 1999 M. F. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia D. P. esperendo nei suoi confronti un’azione risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale. In particolare, l’attore, dipendente da vari anni delle Assicurazioni generali, esponeva che, nel settembre 1998, aveva conosciuto D. P. che lo aveva interessato in ordine alla possibilità per entrambi di divenire agenti RAS, in qualità di titolari dell’agenzia di Vicenza (centro storico), con la necessità di dover costituire in proposito una società alla quale sarebbe stato conferito ufficialmente il mandato di agenzia, ragion per cui le due parti stipulavano, in data 27 novembre 1998, un “accordo preliminare” con la R.A.S., con il quale era stato previsto il termine del 15 dicembre 1998 per la costituzione della società. Tuttavia, per il mutato atteggiamento del D., non fu possibile costituire la società, nel mentre esso attore, sicuro delle prospettive di collaborazione con la RAS., aveva rassegnato, in data 17 dicembre 1998, le dimissioni dalle Assicurazioni Generali, con decorrenza dal 15 gennaio 1999, cominciando a prestare la propria collaborazione in via continuativa presso l’agenzia di Vicenza, nelle more provvisoriamente affidata al D. a titolo personale, dalla quale fu poi estromesso dallo stesso D. nel marzo 1999, che aveva interrotto le trattative contrattuali in modo arbitrario e del tutto ingiustificato. Sulla scorta della rappresentazione di tali fatti, il M. evocava in giudizio il D., chiedendo la sua condanna, sul presupposto che nella fattispecie si fosse configurata un’ipotesi di responsabilità ex art. 1337 c.c., al risarcimento dei danni conseguenti alla perdita del posto di lavoro presso le Assicurazioni Generali, al lucro cessante per l’inattività lavorativa e per la spesa occorsa per il cambio di residenza. Nella costituzione del suddetto convenuto, il Tribunale adito, all’esito dell’esperita istruzione probatoria, con sentenza n. 1173 del 2003, rigettava la domanda attorea e compensava parzialmente le spese del giudizio.

Interposto appello da parte del M. e nella resistenza dell’appellato, la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 1386 del 2010 (depositata il 1 luglio 2010), rigettava il gravame e confermava la sentenza impugnata, condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata decisione la Corte distrettuale rilevava l’infondatezza di tutte le censure dedotte dal M.. In particolare, il giudice di appello riteneva che, nella specie, non si sarebbe potuta ritenere la configurazione della prospettata responsabilità precontrattuale poiché era emerso che, alla data dell’accordo preliminare, non era stata affatto raggiunta l’intesa sugli elementi essenziali del contratto costitutivo della società tra lo stesso M. ed il D., che non era stata conclusa nemmeno con le successive trattative; né, peraltro, era stata fornita la prova dell’asserito comportamento in malafede del D., considerandosi, peraltro, che il M. aveva comunicato le proprie dimissioni dalle Assicurazioni Generali il 22 dicembre 1998, ovvero allorquando era già scaduto il termine del 15 dicembre 1998 stabilito nell’accordo preliminare del 27 novembre 1998 quale condizione di efficacia dello stesso ed erano già insorte gravi divergenze fra le parti in ordine alla individuazione delle clausole statutarie.

Avverso la menzionata sentenza di secondo grado (non notificata) ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il M. F. riferito a tre complessi motivi.

L’intimato D. P. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la falsa applicazione dell’art. 1337 c.c. nonché l’omessa motivazione, con riferimento ad una individuazione eccessivamente restrittiva delle fattispecie suscettibili di dar luogo a responsabilità contrattuale, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.. In particolare, per un verso, il ricorrente ha denunciato come, nella fattispecie, la Corte veneta fosse incorsa nelle richiamata violazione di legge avendo circoscritto l’ipotesi generatrice di siffatta forma di responsabilità al solo caso di rottura ingiustificata delle trattative, escludendo che fosse idonea a concretare detta responsabilità la violazione del dovere di completezza nell’informazione della controparte circa la reale possibilità di conclusione del contratto, con la conduzione, da parte del D., di una trattativa sleale caratterizzata da malizioso o reticente occultamento di dati rilevanti ai fini della stipulazione del contratto costitutivo della società che avrebbe consentito ad entrambe le parti di diventare agenti della predetta Compagnia assicuratrice R.A.S. di Vicenza. Per altro verso il ricorrente ha prospettato la carenza motivazionale della sentenza impugnata laddove, con essa, il giudice del gravame non si era premurato di verificare se il comportamento del D. (quale risultante dalle acquisizioni in atti) – ovvero l&#0

39;aver proseguito le trattative anche successivamente al 15 dicembre 1998 (ossia al termine contemplato nel preliminare di conferimento del mandato di agenzia) e per tutto il primo trimestre 1999, nonostante il già maturato intento di mantenere per sé solo il mandato di agente R.A.S., senza manifestare ad esso ricorrente questa sua determinazione – potesse essere sussunto ed inquadrato quale violazione degli obblighi di correttezza e buona fede nelle trattative, sub specie di malizioso o reticente occultamento di dati rilevanti ai fini della stipulazione del contratto e/o di incompletezza nella informazione alla controparte circa la reale possibilità di conclusione del contratto.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato l’omessa motivazione circa un punto controverso e decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., in ordine alla valenza preclusiva – rispetto ad una futura conclusione delle trattative e del rapporto con la Compagnia R.A.S. – della scadenza del termine originariamente contemplato nel ‘preliminare RAS.’ del 27 novembre 1998, ritenuta quale circostanza idonea ad escludere ogni possibilità di esito positivo dell’offerta della Compagnia, e ciò a causa della omessa considerazione di acquisizioni istruttorie decisive nell’indurre, con certezza, ad una conclusione opposta.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per omessa ed insufficiente motivazione circa un punto controverso e decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., in ordine alla carenza di nesso causale tra il pregiudizio lamentato dal ricorrente ed il contegno ascritto al convenuto, a cagione della già intervenuta – e suppostamente irreversibile – scadenza del termine originariamente apposto nell’originario accordo preliminare prospettato dalla R.A.S.: e ciò a causa della omessa considerazione di acquisizioni decisive nell’indurre, con certezza, ad una conclusione opposta.

3.1. I primi due motivi – che possono essere esaminati congiuntamente perché strettamente connessi – sono fondati e devono, pertanto, essere accolti. La Corte territoriale, alla stregua dei fatti richiamati in narrativa, ha escluso che, nella fattispecie, potesse individuarsi una condotta inadempiente in capo al D., sul presupposto che le parti non avessero raggiunto nemmeno l’accordo sugli elementi essenziali del contratto costitutivo della società alla quale avrebbe dovuto essere affidato il mandato di agenzia da parte della R.A.S. per il centro di Vicenza (permanendo una posizione di contrasto tra le stesse) e che, in ogni caso, pur potendosi dare atto che le trattative erano proseguite anche nel febbraio-marzo 1999, allorquando la situazione era mutata, era già venuto a scadenza il termine del 15 dicembre 1998, previsto nell’accordo preliminare stipulato con la R.A.S., costituente condizione di efficacia dello stesso, senza che fosse mai intervenuta una proroga.

Sul piano giuridico osserva, in generale, il collegio che, se è pur vero che nella fase antecedente alla conclusione di un contratto, le parti hanno, in ogni tempo, piena facoltà di verificare la propria convenienza alla stipulazione e di richiedere tutto quanto ritengano opportuno in relazione al contenuto delle reciproche, future obbligazioni, con conseguente libertà, per ciascuna di esse, di recedere dalle trattative indipendentemente dalla esistenza di un giustificato motivo, è altrettanto vero (cfr. Cass. 29 maggio 1998, n. 5297) che l’operatività di tale principio è assoggettato al limite del rispetto del principio di buona fede e correttezza, da intendersi, tra l’altro, come dovere di informazione della controparte circa la reale possibilità di conclusione del contratto, senza omettere circostanze significative rispetto all’economia del contratto medesimo. La giurisprudenza più evoluta di questa Corte (v., in particolare, Cass. 5 agosto 2004, n. 15040 e, più recentemente, Cass. 8 ottobre 2008, n. 24795, sulla scorta dell’impostazione riconducibile a Cass., S.U., 19 dicembre 2007, n. 26725) ha ulteriormente precisato che la regola posta dall’art. 1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere, per le parti, di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. La violazione di questa aggiuntiva regola di condotta alla quale devono conformarsi le parti di una trattativa negoziale è, quindi, idonea a determinare (se accertata adeguatamente in fatto in virtù di un congruo e logico percorso argomentativo spettante al giudice del merito) la configurazione di una responsabilità precontrattuale indipendente rispetto a quella riconducibile ai canoni fissati dalla pregressa giurisprudenza di legittimità in materia di recesso dalle trattative, avuto riguardo al loro stadio evolutivo. Sotto questo profilo, perciò, si prospetta errata l’affermazione della Corte territoriale nella parte in cui – sul presupposto che, pacificamente, le trattative erano proseguite anche dopo la scadenza indicata (almeno per il primo trimestre 1999) nell’accordo preliminare nella data del 15 dicembre 1998 (apoditticamente qualificata come condizione di efficacia dell’accordo stesso, senza alcun riferimento a circostanze oggettive che avallassero tale asserzione, peraltro in contrasto con il comportamento concretamente osservato dalla parti medesime) – ha negato che potesse rilevare il possibile comportamento in malafede (o, comunque, malizioso) del D., consistito nel non aver palesato le sue effettive intenzioni; tale ricostruzione è stata giustificata dalla Corte di appello di Venezia sulla base dell’applicabilità del principio generale di libertà nelle trattative fino a quando il contratto non sia stato concluso, salva la responsabilità precontrattuale nei ristretti limiti dell’art. 1337 c.c. come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte meno recente, omettendo, però, di considerare – in sintonia con i richiamati orientamenti giurisprudenziali più recenti – che tale forma di responsabilità può derivare anche dalla violazione dell’obbligo di lealtà reciproca che si concretizza nella necessità, in capo al proponente, di osservare il dovere di completezza informativa, senza che alcun mutamento delle circostanze possa risultare idoneo a legittimare la reticenza o la maliziosa omissione di informazioni rilevanti nel corso della prosecuzione delle trattative finalizzate alla stipulazione del contratto. Del resto, sotto un profilo di più ampio respiro, non si può disconoscere che il bene tutelato dal citato art. 1337 c.c. non è propriamente quello che la parte invocante la responsabilità precontrattuale si propone di conseguire con il contratto, ma è la legittima aspettativa che le trattative si svolgano lealmente e correttamente su un piano di parità, senza che la controparte, per riserva mentale o senza serietà di intenti o addirittura con malizia, tenga impegnata l’altra parte, precludendole altre possibilità. La Corte distrettuale ha, quindi, aderito ad una interpretazione restrittiva dell’alveo di applicabilità del menzionato art. 1337 c.c., omettendo di considerare la possibile valorizzazione della condotta del D. nella fase di incontestata continuazione delle trattative quanto meno fino al marzo 1999 in relazione alla emergenza di una sua possibile malafede finalizzata ad evitare la conclusione del contratto definitivo costitutivo della società ed a garantirsi, per sé solo, la titolarità del mandato R.A.S. per l’agenzia alla quale era riferito l’accordo preliminare precedentemente raggiunto.

A tale ricostruzione si collega anche il dedotto vizio motivazionale (pure ricompreso nel primo motivo), non avendo la sentenza impugnata individuato un adeguato ed univoco percorso logico motivazionale (proprio in virtù della ritenuta circoscritta area di operatività della responsabilità prevista dall’art. 1337 c.c.) correlato a specifiche circostanze che avrebbero potuto orientare il giudice di secondo grado, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, ad adottare una decisione diversa da quella presa, culminata nel rigetto della pretesa risarcitoria del M.. A questo proposito la difesa del ricorrente ha posto adeguato riferimento ad una serie di elementi (desumibili anche dal secondo motivo prospettato), scaturenti dalle emergenze istruttorie acquisite, che non risultano congruamente valutati e che, in ipotesi, sul presupposto del principio giuridico precedentemente affermato, se adeguatamente valorizzati, avrebbero potuto condurre ad un esito diverso della controversia. In tal senso non si evince dalla sentenza impugnata un’approfondita disamina del fatto che il D., pur avendo ricevuto a titolo personale il mandato dirigenziale dalla RAS. l’11 gennaio 1999, ne era stato investito su sua espressa ed esclusiva richiesta, malgrado fossero ancora in corso (nell’arco del primo trimestre 1999) le trattative con il M. riconducibile all’accordo preliminare intercorso tra le parti (il cui termine di scadenza non era, perciò, verosimilmente da inquadrare nei sensi – come innanzi precisati – ritenuti dalla stessa Corte veneta) e nonostante (per quanto emergente da alcune deposizioni testimoniali) che, in quel periodo, il ricorrente (oltretutto, nelle more, dimessosi dalle Assicurazioni Generali, ove lavorava, il 22 dicembre 1998) avesse prestato la sua attività lavorativa proprio presso l’agenzia RAS. di Vicenza (centro storico) e non potesse del tutto escludersi che il D. aveva adottato una condotta maliziosa (od almeno reticente) indirizzata ad estromettere lo stesso M. dalla gestione della predetta agenzia assicurativa (mancando la Corte territoriale, al riguardo, di prendere in considerazione anche altre risultanze di prova orale che avrebbero potuto avere, in merito, una idonea – se non decisiva – valenza in funzione decisoria).

4. Alla stregua di tutte le argomentazioni esposte devono, dunque, trovare accoglimento i primi due motivi del ricorso, a cui consegue l’assorbimento del terzo motivo, in quanto attinente ad un profilo ulteriore il cui esame è inscindibilmente dipendente dalla risoluzione degli aspetti involti dalle prime due accolte doglianze.

L’impugnata sentenza deve essere, quindi, cassata con conseguente rinvio alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, che si conformerà al richiamato principio di diritto secondo cui ‘la responsabilità prevista dall’art. 1337 c.c., oltre che in caso di rottura ingiustificata delle trattative, può derivare anche dalla violazione dell’obbligo di lealtà reciproca che si concretizza nella necessità di osservare il dovere di completezza informativa circa la reale intenzione di concludere il contratto, senza che alcun mutamento delle circostanze possa risultare idoneo a legittimare la reticenza o la maliziosa omissione di informazioni rilevanti nel corso della prosecuzione delle trattative finalizzate alla stipulazione del contratto’ e, sulla scorta di esso, provvedere a rinnovare la valutazione delle globali risultanze processuali (e, quindi, a rielaborare la motivazione della decisione) al fine di verificare la sussistenza di fatti idonei ad escludere (o meno) il ragionevole affidamento del M. sulla conclusione del contratto, tenendo conto, al riguardo, anche della condotta complessivamente osservata dal D. nei confronti dello stesso ricorrente. Al giudice di rinvio è rimessa anche la regolamentazione delle spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione.

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