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Medici di base e certificati via telefono, lo stop della Cassazione

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SS. UU. n. 8077/12: quando si eccepisce la nullità dell’atto di citazione il giudizio in Cassazione si estende anche al merito

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I medici di base non possono rilasciare certificati medici di malattia sulla base delle dichiarazioni rese telefonicamente dai pazienti, anche laddove abbiano visitato gli stessi pochi giorni prima.

Lo ha deciso la Cassazione Penale, con la sentenza 18687/2012, depositata il 2 maggio,  con la quale ha confermato la condanna ex art. 480 c.p. nei confronti di un medico di famiglia di Milano che aveva prorogato la prognosi di decorso di una malattia di una sua paziente senza procedere ad una nuova visita.

La linea difensiva del medico si era fondata sulla circostanza secondo cui la visita era stata, in realtà, effettuata pochi giorni prima e che aveva ritenuto “credibile” il protrarsi dei sintomi della patologia lamentata.

La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto che la falsa attestazione attribuita al medico non attiene tanto alle condizioni di salute della paziente, quanto piuttosto al fatto che egli ha emesso il certificato senza effettuare una previa visita e senza alcuna verifica oggettiva delle sue condizioni di salute, non essendo consentito al sanitario effettuare valutazioni o prescrizioni semplicemente sulla base di dichiarazioni effettuate per telefono dai suoi assistiti. Ne deriva, pertanto, l’irrilevanza dell’eventuale effettiva sussistenza della malattia o dell’eventuale induzione in errore da parte della paziente.

La pronuncia qui commentata si colloca sulla stessa linea di un precedente orientamento della S.C., che, con riferimento a un medico convenzionato che aveva prescritto farmaci a pazienti sconosciuti e/o non visitati, ha affermato che Il certificato con il quale il medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale pubblico, prescrive un farmaco all’assistito è atto destinato a provare che è stata effettuata la visita dello stesso e contestualmente, attesta che il paziente ne ha necessità ed ha diritto a fruire del servizio farmaceutico, consentendone l’esercizio (Cass. pen. Sez. V, 13/06/2001, n. 34814)

Alla luce di quanto sopra, pertanto, teniamo a precisare che il medico prima di rilasciare un qualsivoglia certificato è sempre tenuto ad effettuare contestualmente le visite di rito.

* * *

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUNO Paolo A. Presidente

Dott. BEVERE Antonio Consigliere

Dott. DE BERARDINIS Silvana Consigliere

Dott. SABEONE Gerardo Consigliere

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo G. rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) B.D. N. IL (OMISSIS);

2) G.V. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 3187/2007 CORTE APPELLO di MILANO, del 14/02/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/02/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SCARDACCIONE;

Il Procuratore generale della Corte di cassazione Dott. Scardaccione Eduardo ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

Per i ricorrenti sono presenti: l’Avvocato Notaro per G. V., il quale chiede l’accoglimento del proprio ricorso e l’Avvocato Panfili, in sostituzione dell’avv. Castelnovo per B.D., il quale si riporta ai motivi di ricorso e chiede l’annullamento della sentenza impugnata.

Svolgimento del processo

1. B.D. è stato ritenuto responsabile dalla corte di appello di Milano del reato di cui all’art. 480 c.p., in qualità di medico di base convenzionato con il servizio sanitario nazionale e quindi pubblico ufficiale, rilasciava un certificato medico di proroga del prognosi a favore di G.V. senza averla previamente visitata.

2. G.V., a sua volta, veniva ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 489 c.p., per aver fatto uso della certificazione di cui sopra, pur conoscendone la falsità. 3. La corte d’appello di Milano sovvertiva la pronuncia di primo grado, che aveva assolto entrambi gli imputati rispettivamente per difetto dell’elemento soggettivo e per insufficienza della prova di colpevolezza.

4. Con due distinti atti propongono ricorso entrambi gli imputati;

B.D. con un unico motivo denuncia omessa valutazione dell’elemento psicologico del reato ed in particolare sostiene che il medico avrebbe concesso la proroga sulla base di quanto accertato nella visita effettuata quattro giorni prima, per cui non sarebbe corretto ritenere che egli ha effettuato una valutazione di persistenza della malattia senza visitare la paziente. I sintomi comunicatigli telefonicamente dalla paziente sarebbero stati compatibili con la malattia accertata pochi giorni prima e pertanto il medico legittimamente avrebbe effettuato la modifica della prognosi sulla base di quanto dichiarato per telefono dalla signora G.. Infine, si afferma che l’intera durata della prognosi era già contenuta nel primo certificato medico e comunque che il medico non era nella consapevolezza e soprattutto non voleva certificare fatti non corrispondenti al vero, essendo semmai stato tratto in errore dalle dichiarazioni della paziente; comunque, la condotta può essere ai limite sorretta dall’elemento colposo e dunque non configura alcun reato, posto che il nostro sistema giuridico ignora del tutto la figura del falso documentale colposo.

5. G.V., sulla considerazione di inesistenza del reato contestato al sanitario, e cioè del falso certificato, ne deduce la consequenziale inesistenza del reato a lei contestato di uso della falsa certificazione. In particolare, non sussisterebbe il reato contestato al medico in quanto costui, sulla scorta dei proprio sapere medico maturato un’esperienza pluridecennale e sulla base della visita medica effettuata pochi giorni prima in occasione della prima certificazione, poteva legittimamente ritenere, in scienza e coscienza e sulla base di quanto riferito dalla paziente, ancora sussistente la malattia. In sostanza, secondo la ricorrente non sarebbe necessaria l’effettuazione di un’ulteriore visita qualora il sanitario ritenga di essere in possesso aliunde di adeguati strumenti diagnostici. Il reato contestato alla G., dunque, sarebbe ipotizzabile solo se si ritenesse non veritiera la persistenza della malattia, ma tale aspetto non è emersa prova sufficiente.

Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da B.D. è infondato. Si deve prima di tutto precisare che la falsa attestazione attribuita al medico non attiene tanto alle condizioni di salute della paziente, quanto piuttosto al fatto che egli ha emesso il certificato senza effettuare una previa visita e senza alcuna verifica oggettiva delle sue condizioni di salute, non essendo consentito al sanitario effettuare valutazioni o prescrizioni semplicemente sulla base di dichiarazioni effettuate per telefono dai suoi assistiti. Ciò rende irrilevanti le considerazioni sulla effettiva sussistenza della malattia o sulla induzione in errore da parte della paziente. Quanto, poi, alla asserita natura colposa della condotta, ci si chiede come il medico potesse non essere consapevole del fatto che egli stava certificando una patologia medica senza averla previamente verificata, nell’immediatezza, attraverso l’esame della paziente. Su tutti gli aspetti censurati dal ricorrente vi è, comunque, idonea e logica motivazione in atti, per cui non è consentito a questa Corte sostituirsi al giudice del merito nelle valutazioni discrezionali a lui riservate (si vedano, ad esempio, le pagine 4 e 5 della sentenza di appello ed in particolar modo la sentenze di questa stessa sezione citate alla pagina quattro, in merito alla implicita attestazione dell’accertamento diagnostico).

2. Anche il ricorso proposto da G.V. è infondato. Il motivo di censura si basa esclusivamente sulla ritenuta insussistenza della falsità del documento e dunque sulla inesistenza del reato contestato al medico. Sul punto, quindi, è sufficiente richiamare ie considerazioni espresse al capoverso precedente; una volta ritenuta la falsità della certificazione medica, ne discende necessariamente la responsabilità della ricorrente per aver fatto uso dell’atto falso.

3. In virtù di quanto sopra, entrambi i ricorsi devono essere rigettati.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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