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La responsabilità del committente sull’infortunio del lavoratore dipendente dell’appaltatore

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In materia di appalto, la responsabilità per la violazione dell’obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro si estende al committente solo se quest’ultimo si sia reso garante della vigilanza relativa alla misura da adottare in concreto e si sia riservato i poteri tecnico-organizzativi dell’opera da eseguire.

 

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 17178 dell’11 luglio 2013.

Il caso. Con ricorso innanzi alla magistratura del lavoro di Vicenza, il lavoratore C.P. conveniva in giudizio il proprio datore di lavoro (appaltatore), i soci di questa, altra società collegata e il committente al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non in relazione all’infortunio accadutogli sul lavoro.

L’infortunio. Il lavoratore, addetto al trasporto merci, dopo aver effettuato un carico di prodotti dolciari nel magazzino della committente, salito sulla sponda del camion per chiudere il telone, scivolava a terra urtando lo spigolo della pedana e riportando così postumi invalidanti permanenti.

Il luogo ove l’incidente si era verificato ricadeva sotto il controllo del committente e dei suoi preposti così come alla stessa appartenevano i mezzi utilizzati per il carico e lo scarico delle merci.

Il Tribunale accertava la responsabilità del solo appaltatore e dei soci convenuti, ritenendo il concorso di colpa del lavoratore nella misura del 50%, e condannava il suddetto datore di lavoro al pagamento del risarcimento del danno biologico. A seguito di appello proposto dal lavoratore, la Corte di Appello di Venezia confermava le statuizioni del giudice di primo grado con riguardo alla esclusione di ogni responsabilità in capo alla committente ma ecludeva altresì il concorso di colpa del dipendente nello svolgimento dell’infortunio, con conseguente condanna dell’appaltatore al pieno risarcimento dei danni.
Avverso tale sentenza il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione.

La questione. E’ configurabile nel nostro ordinamento una responsabilità del committente in re ipsa e cioè per il solo fatto di aver affidato in appalto determinati lavori ovvero un servizio?

La Cassazione nella sentenza in commento ribadisce come, in materia di appalto, la responsabilità per la violazione dell’obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro si estende al committente solo ove lo stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alla misura da adottare in concreto e si sia riservato i poteri tecnico-organizzativi dell’opera da eseguire.

Infatti, per verificare l’eventuale responsabilità’ del committente, non si può prescindere da un’analisi della situazione fattuale, al fine di verificare quale sia stata, in concreto, l’effettiva incidenza della condotta del committente nell’eziologia dell’evento.

Il committente, proseguono gli Ermellini, rimane certo il destinatario di tutta una serie di obblighi di sicurezza dettati prima dal d.lgs. n. 626 del 1994, poi dal d.lgs. n. 81 del 2008, con evidenti possibilità, nei casi concreti, di intrecci di responsabilità con il datore di lavoro (appaltatore), ma non non si può arrivare al punto di esigere dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori.

Vanno pertanto considerati:

– la specificità dei lavori da eseguire e le caratteristiche del servizio da svolgersi;

– i criteri seguiti dal committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera quale soggetto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge e della capacità tecnica e professionale proporzionata al tipo di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa;

– l’ingerenza del committente stesso nell’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto o del contratto di prestazione d’opera;

– la percepibilità agevole ed immediata da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo.

La decisione. Nel caso di specie, conclude la Corte, il ricorrente non aveva provato alcun fatto che lasciasse presumere una responsabilità del committente rispetto all’infortunio occorsogli ed, anzi, l’istruttoria aveva confermato la sua totale estraneità rispetto all’eziologia dell’evento dannoso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 26 marzo – 11 luglio 2013, n. 17178Presidente Stile – Relatore Marotta

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Vicenza, C.P. conveniva in giudizio il proprio datore di lavoro, e cioè la Trans Veneto s.n.c. ed i soci di questa, B.A.M. ed At..Ba. , nonché la Trans Veneto s.r.l. (collegata alla s.n.c. ed operante negli stessi locali di questa), il committente Pavesi S.p.A. (che aveva appaltato il trasporto dei suoi prodotti alla Trans Veneto), poi Barilla G. e R. Fratelli S.p.A. per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in relazione all’infortunio sul lavoro verificatosi in data (…) allorché egli, addetto al trasporto merci per la Trans Veneto s.n.c, dopo aver effettuato un carico di prodotti dolciari nel magazzino della Pavesi S.p.A. a Novara con l’utilizzo di una pedana mobile con carrello elettrico della Pavesi S.p.A., era salito sulla sponda del camion per chiudere il telone ed era scivolato a terra urtando lo spigolo della pedana ed aveva riportato postumi invalidanti permanenti. Il Tribunale, nel contraddittorio con la Barilla G. e R. Fratelli S.p.A., cessionaria della Pavesi S.p.A., autorizzata la chiamata in causa della Meie Assicurazioni S.p.A. (poi INA Assitalia, nei limiti della quota di rischio assicurato del 15%, ACE Insurance nei limiti della quota di rischio assicurato del 25%, Bavaria nei limiti della quota di rischio assicurato del 50%), accertava la responsabilità della sola Trans Veneto s.n.c. e dei soci convenuti, ritenendo il concorso di colpa del lavoratore nella misura del 50%, e condannava il suddetto datore di lavoro al pagamento della somma di Euro 9.235,42 a titolo di danno biologico. A seguito di appello proposto dal C. , la Corte di appello di Venezia confermava le statuizioni del giudice di primo grado con riguardo alla esclusione di ogni responsabilità in capo alla committente Barilla G. e R. Fratelli S.p.A. ritenendo, però, che nessun concorso di colpa del dipendente potesse configurarsi nello svolgimento dell’infortunio; in conseguenza condannava la Trans Veneto s.n.c. al pagamento in favore del C. della somma di Euro 18.470,85.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre C.P. affidandosi a due motivi.
Resistono con controricorso l’INA Assitalia S.p.A., la ACE Euopean Group LTD e la UGF Assicurazioni S.p.A..
Sono rimasti solo intimati A.M..B. ed B.A. , soci illimitatamente responsabili della Trans Veneto s.n.c. in liquidazione, nonché la Trans Veneto s.r.l. e la Barilla G. e R. Fratelli S.p.A..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. nonché mancanza di motivazione in punto di prescrizione del diritto nei confronti della Barilla S.p.A.”. Si duole della ritenuta prescrizione del diritto al risarcimento vantato nei confronti della Barilla S.p.A. senza sia stato precisato se trattavasi di prescrizione decennale contrattuale (ex arti 2087 e 2946 cod. civ.) ovvero di prescrizione quinquennale (ex artt. 2043, 2049 e 2947 cod. civ.).
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1310, 2935, 2943, 2946 e 2947 cod. civ. anche in relazione all’art. 2087 cod. civ. ed all’art. 2043 cod. civ. e dell’art. 3 del d.lgs. n. 547/55 nonché omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia”. Si duole della ritenuta esclusione della responsabilità della Barilla S.p.A. in ordine all’infortunio in questione ed evidenzia che l’istruttoria svolta deponeva nel senso che il luogo ove l’incidente si era verificato ricadeva sotto il controllo di tale società e dei suoi preposti così come alla stessa appartenevano i mezzi utilizzati per il carico e lo scarico delle merci. Il conseguenza rileva che, essendo il risarcimento del danno ricollegabile all’art. 2087 cod. civ., la prescrizione del diritto non poteva che essere quella decennale.
3. I motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono infondati.
Come è noto, in materia di appalto, la responsabilità per la violazione dell’obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro si estende al committente solo ove lo stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alla misura da adottare in concreto e si sia riservato i poteri tecnico-organizzativi dell’opera da eseguire (cfr., in tal senso, Cass. 22 marzo 2002, n. 4129, id. 28 ottobre 2009, n. 22818; 7 marzo 2012 n. 3563; 8 ottobre 2012, n. 17092).
Non è, infatti, configurabile una responsabilità del committente in re ipsa e cioè per il solo fatto di aver affidato in appalto determinati lavori ovvero un servizio.
È pur vero che è espressamente prevista dalla normativa di settore (prima, il d.lgs. n. 626 del 1994, art. 7; ora, trasfuso sostanzialmente nel d.lgs. n. 81 del 2008, art. 26) tutta una serie di obblighi a carico del committente connessi ai contratti di appalto o d’opera o di somministrazione. Con riferimento ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d’opera è pertanto vero che il dovere di sicurezza è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l’appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente, con conseguente possibilità, in caso di infortunio, di intrecci di responsabilità, coinvolgenti anche il committente medesimo. È, però, altrettanto vero che va esclusa una applicazione automatica di tale principio, non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori.
In questa prospettiva, per fondare la responsabilità del committente, non si deve prescindere da un attento esame della situazione fattuale, al fine di verificare quale sia stata, in concreto, l’effettiva incidenza della condotta del committente nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori ovvero per lo svolgimento del servizio. A tal fine, vanno considerati: la specificità dei lavori da eseguire e le caratteristiche del servizio da svolgersi; i criteri seguiti dal committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera (quale soggetto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge e della capacità tecnica e professionale proporzionata al tipo di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa); l’ingerenza del committente stesso nell’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto o del contratto di prestazione d’opera; nonché, la percepibilità agevole ed immediata da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo.
Nella specie, nulla è dedotto in sede di ricorso in ordine alle circostanze da cui in concreto desumere che la committente Barilla S.p.A. si fosse riservata specifici poteri tecnico-organizzativi in relazione alle attività di carico e scarico delle merci di cui di cui al servizio appaltato.
Peraltro, l’estraneità della Barilla S.p.A. è stata ritenuta dalla sentenza impugnata sulla base di plurime risultanze di causa (l’infortunio si era verificato dopo le 20,00 e cioè quando la serranda del magazzino Pavesi era già chiusa; nessun dipendente o incaricato della Barilla era presente ovvero aveva partecipato alle operazioni di chiusura del camion; nessuna macchina aziendale era stata utilizzata per tale operazione, nessuna situazione di pericolo derivante dall’immobile era causalmente connessa con l’evento atteso che l’autista del camion aveva spostato il mezzo da luogo del caricamento – piattaforma del magazzino in cemento – fermandolo a circa mezzo metro da questo).
Rispetto a tale motivazione, che appare coerente e logica, il ricorrente si limita ad opporre una propria valutazione delle prove.
È, al riguardo, jus receptum che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; id. 20 aprile 2011, n. 9043; 13 gennaio 2011, n. 313; 3 gennaio 2011, n. 37; 3 ottobre 2007, n. 20731; 21 agosto 2006, n. 18214; 16 febbraio 2006, n. 3436; 27 aprile 2005, n. 8718).
Invero, le doglianze mosse dall’attuale ricorrente non risultano attenere all’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione – che, peraltro, risulta congruo e chiaramente individuabile – ma si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal Giudice del merito in senso contrario alle aspettative del medesimo ricorrente e si traducono, quindi, nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità.
4. Sulla base delle esposte considerazioni, nelle quali tutte le altre eccezioni o obiezioni devono considerarsi assorbite, in conclusione, il ricorso va rigettato.
5. Per il criterio legale della soccombenza il ricorrente va condannato al pagamento, in favore dei controricorrenti INA Assitalia S.p.A., ACE European Group LTD e UGF Assicurazioni S.p.A., delle spese processuali, liquidate come in dispositivo tenendo conto del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140 (che, all’art. 41 stabilisce che le disposizioni regolamentari introdotte si applicano alle liquidazioni successive all’entrata in vigore del Decreto stesso, avvenuta il 23 agosto 2012) ed avuto riguardo allo scaglione di riferimento della causa; considerati i parametri generali indicati nell’art. 4 del D.M. e delle tre fasi previste per il giudizio di cassazione (fase di studio, fase introduttiva e fase decisoria) nella allegata Tabella A.
6. Infine, nulla va disposto per le spese processuali nei confronti delle altre parti rimaste solo intimate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore delle società INA Assitalia S.p.A., ACE European Group LTD e UGF Assicurazioni S.p.A.; liquida tali spese, per ciascuna di dette società, in Euro 50,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge; nulla per le spese nei confronti delle altre parti rimaste intimate.

 


Avvocato Matteo Moscioni, con studio legale in Viterbo, si occupa prevalentemente di Diritto del Lavoro, Sindacale e Relazioni Industriali.

www.avvocatomatteomoscioni.com

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