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Il Tribunale di Bologna, con la sentenza n. 438/2018 del 12 febbraio 2018, ha esaminato la questione relativa alla validità della “opzione put”, individuando i criteri di valutazione da osservare.

Definizione opzione put

L’opzione put (conosciuta anche come opzione di vendita), consiste in un vero e proprio patto di opzione ex art. 1331 c.c., attraverso il quale una parte (concedente) si obbliga irrevocabilmente ad acquistare la partecipazione sociale dell’altra (opzionaria), qualora quest’ultima manifesti la volontà di vendere la partecipazione sociale.

Secondo lo schema dell’art. 1331 c.c., l’opzione ricorre quando una parte rimane vincolata alla propria dichiarazione (es. obbligo di acquisto) e l’altra abbia facoltà di accettarla o meno (nel nostro caso la facoltà di vendere o di non vendere).

L’opzione put è frequentemente utilizzata nelle operazioni di investimento in società di capitali come strumento di disinvestimento (exit strategy).

Ad esempio, il fondo A investe 100.000 € nella società target, acquisendo una determinata partecipazione sociale, pattuendo contestualmente un’opzione put con i soci di maggioranza che preveda l’obbligo di questi ultimi di riacquistare la partecipazione acquisita dal fondo A ad un prezzo predeterminato ed entro un determinato termine.

Negli ultimi anni, inoltre, tale strumento è stato spesso utilizzato anche nei processi di investimento nelle Startup.

Profili di validità dell’opzione put

Il contenzioso sviluppatosi nelle aule di tribunale ha, solitamente, ad oggetto questioni attinenti alla validità dell’opzione put sotto i seguenti profili:

(i) violazione dell’art. 2265 c.c. (divieto di patto leonino);

(ii) possibilità di avvalersi della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta nel caso in cui il valore della partecipazione si riduca di gran lunga al di sotto del prezzo convenuto per l’esercizio dell’opzione.

La sentenza del Tribunale di Bologna si colloca sul filone giurisprudenziale inaugurato dalla sentenza n. 9301/2015 del Tribunale di Milano e risponde negativamente ai due interrogativi sopra indicati, sulla base delle seguenti motivazioni.

In merito alla possibile violazione dell’art. 2265 c.c., il Giudice ricorda che il cd. “patto leonino” ricorre in presenza di una esclusione totale e costante di uno o di alcuni soci dalla partecipazione agli utili e/o alle perdite (cfr. anche Cass. Civ. 642/2000).

L’opzione put potrebbe integrare, in concreto, un patto leonino solo in presenza dei seguenti presupposti cumulativi:

(i) vi sia un’esclusione costante e assoluta del socio dalla partecipazione agli utili e/o alle perdite;

(ii) quando l’operazione non risponda ad interessi meritevoli di tutela.

Non si verificherebbero i summenzionati presupposti laddove:

– l’opzione put riguardi solo una parte della partecipazione sociale (carenza del requisito dell’assolutezza);

– l’opzione put sia esercitabile all’interno di un arco temporale di tempo ristretto pari a poco più di un anno (carenza del requisito della costanza);

– l’opzione put sia contenuta all’interno di una più complessa negoziazione parasociale e risponda all’esigenza di tutelare (parzialmente) la posizione di un socio investitore che abbia contribuito alla ricapitalizzazione della società.

In merito alla questione della risolubilità per eccessiva onerosità sopravvenuta, invece, il Tribunale di Bologna ha ritenuto che tale rimedio sarebbe azionabile solo in presenza di un obiettivo squilibrio del sinallagma contrattuale derivante da un evento straordinario ed imprevedibile non rientrante nella normale alea contrattuale.

Tuttavia, nel caso di un’opzione put concessa dal socio di maggioranza, nonché amministratore unico di una s.r.l., non potrebbe ritenersi che una crisi economico-finanziaria della società possa costituire un evento straordinario ed imprevedibile.

Opzione put e condanna: dall’esecuzione in forma specifica alle penali per il ritardo

La pronuncia qui in commento si segnala altresì sotto il profilo della condanna: su questo specifico punto il Tribunale ha avuto modo di specificare che, una volta che l’opzione put sia stata esercitata, il concedente può essere condannato a “prestarsi alla stipula dell’atto notarile di trasferimento della quota”, con fissazione di una penale ex art. 614 bis c.p.c., per ogni giorno di ritardo nella stipula rispetto al termine fissato nella sentenza.

Vale, tuttavia, la pena precisare che, nel caso de quo, contrariamente a quanto solitamente accade, la domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. era stata presentata solo in via subordinata.

CONTATTI

Avv. Daniele Costa

KBL Law

M: daniele.costa@kbl-law.com

 

L’immagine del post è stata realizzata da Max Pixel, rilasciata con licenza CC.

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