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Il Caso

Il caso oggetto della presente pronuncia (Trib. Milano 3755/2020) riguarda uno dei temi con maggiori implicazioni pratiche in materia di società di capitali, vale a dire quali sono i poteri dell’assemblea con riferimento ai compensi dell’amministratore.

In materia, il principio base è che il compenso spettante all’amministratore di una società di capitali, se non è stabilito dallo statuto, viene determinato dall’assemblea dei soci all’atto della nomina o successivamente e, in mancanza, mediante valutazione equitativa del giudice (sul punto, cfr. Cass. Civ. n. 2021 del 1995; Cass. Civ. n. 3559 del 1976; Cass. Civ. n. 1100 del 1974: Cass. Civ. n. 2111 del 1968; Cass. Civ. n. 959 del 1967).

Da ciò deriva che, nel momento in cui l’assemblea ha riconosciuto all’amministratore il diritto al compenso, tale diritto non è più revocabile e può venir meno o modificato soltanto con il consenso dell’amministratore.

La fattispecie in commento riguarda un amministratore di una S.r.l. (“Amministratore”), il quale otteneva l’emissione di due decreti ingiuntivi per mancato pagamento dei compensi, di cui:

  • primo decreto (“Primo Decreto Ingiuntivo”) per i mesi di febbraio, marzo e aprile 2016;
  • secondo decreto (“Secondo Decreto Ingiuntivo”) per i mesi di maggio, giugno, luglio 2016.

Secondo l’Amministratore, il pagamento dei suddetti emolumenti era dovuto in quanto approvato nella delibera assembleare di inizio anno (“Prima Delibera”).

Nella suddetta delibera, in sostanza, l’assemblea prendeva atto della situazione di crisi in cui versava la società (“Società”) e, conseguentemente, decideva di approvare i compensi per gli amministratori esclusivamente per i primi quattro mesi dell’anno.

La Società, tuttavia, presentava atto di citazione in opposizione, fondando le proprie difese su due delibere assembleari approvate in data 13 giugno 2016 (“Seconda Delibera”) e 4 agosto 2016 (“Terza Delibera”), da cui si evinceva che i compensi richiesti erano stati revocati.

La Sentenza

Con la pronuncia n. 3755/2020 il Tribunale di Milano accoglie parzialmente l’opposizione presentata dalla Società.

Iniziando dall’analisi della domanda relativa ai compensi di cui al Primo Decreto Ingiuntivo, i Giudici di Milano ritengono che la richiesta dell’Amministratore meriti di essere accolta.

La Corte, infatti, ha ritenuto prive di pregio le eccezioni formulate dalla Società, fondate sul contenuto della Seconda e Terza Delibera.

In particolare, il Tribunale ha dichiarato, in via incidentale, la nullità della Seconda Delibera, in quanto dai fatti di causa era emerso che, contrariamente a quanto indicato nella delibera predetta, l’Amministratore – che era anche socio di minoranza della Società – non aveva potuto partecipato alla relativa assemblea, in quanto non era stata a lui inviata la convocazione.

Da ciò derivava che la dichiarazione di rinuncia agli emolumenti contenuta nel verbale della riunione era priva di qualsiasi efficacia.

Con riferimento, invece, alla Terza Delibera, la stessa è stata ritenuta valida, in quanto risultava la partecipazione di entrambi i soci (socio Amministratore, titolare del 5% e l’altro socio amministratore, titolare del restante 95%), ma inefficace per i seguenti motivi:

  • l’Amministratore aveva votato contro la revoca dei propri compensi;
  • il fatto che vi fosse una situazione di crisi economica era circostanza già nota alla Società fin dalla Prima Delibera (e questo era stato il motivo per cui in quella sede si era provveduto ad approvare esclusivamente i compensi relativi ai primi 4 mesi).

La Società, inoltre, depositava in giudizio anche una presunta mail inviata dall’Amministratore al commercialista e consulente del lavoro, in cui avrebbe manifestato il proprio assenso al contenuto della Seconda Delibera, ma la prova veniva ritenuta inammissibile dal Tribunale.

Dal punto di vista formale, la Corte ha condiviso l’eccezione sollevata dall’Amministratore, il quale aveva provveduto a presentare querela, in quanto, successivamente alla cessazione dalla carica, erano state modificate le credenziali di accesso alla propria casella mail.

Dal punto di vista sostanziale, invece, il Tribunale ha rilevato come la rimessione del debito sia efficace solo a condizione che la comunicazione venga inviata dal creditore (Amministratore) al debitore (la Società): “la remissione del debito espressa è strutturata, ai sensi dell’art. 1236 c.c., quale negozio unilaterale recettizio relativamente al quale la dichiarazione ex parte creditoris diventa operativa dei suoi tipici effetti estintivi soltanto in conseguenza della relativa comunicazione al debitore (art. 1334 cod. civ.). Ne consegue che, non può essere attribuita validità ed efficacia di remissione del debito alla dichiarazione remissoria che sia indirizzata da parte del remittente a terzi rispetto al rapporto obbligatorio cui la stessa si riferisce(cfr. sul punto Cass. Civ. n. 2021 del 1995; Cass. Civ. n. 3559 del 1976; Cass. Civ. n. 1100 del 1974; Cass. Civ.n. 2111 del 1968; Cass. Civ. n. 959 del 1967).

Per quanto riguarda, invece, il Secondo Decreto Ingiuntivo, i Giudici di Milano hanno accolto l’opposizione presentata dalla Società e revocato, quindi, il decreto ingiuntivo emesso.

Nello specifico, il Tribunale di Milano ha ritenuto che l’Amministratore non avesse diritto ai compensi per i seguenti motivi:

  • il ruolo di amministratore può anche essere ricoperto gratuitamente;
  • la Terza Delibera, ribadendo la persistenza di una situazione di crisi economica per la Società già evidenziata nella Prima Delibera, si è limitata a fornire disposizioni per il futuro, senza revocare i compensi già deliberati;
  • la circostanza che la situazione di crisi economica non fosse in realtà vera (a riprova di ciò, l’Amministratore ha asserito che il socio maggioritario, divenuto poi amministratore unico, aveva continuato a percepire normalmente il proprio compenso da amministratore) avrebbe dovuto essere fatta valere mediante impugnazione della Terza Delibera nei termini di legge.
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