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Con sentenza depositata nel 2013 il Tribunale amministrativo del Piemonte ha accolto il ricorso presentato dai genitori dell’alunno X, avverso il provvedimento di non ammissione alla classe successiva pronunziato dal Consiglio di classe della scuola media di Torino.

Il provvedimento di non ammissione alla classe successiva dell’alunno X è stato giustificato dal corpo docente sulla base di “una serie di comportamenti scorretti ed indisciplinati profusi dallo studente verso i suoi compagni, nei confronti della scuola, nonché da un discontinuo livello di impegno e di attenzione che, di fatto, ha provocato un miglioramento di rendimento in alcune materie e un peggioramento in altre”.

In sede processuale il ricorrente, in ottica difensiva, sosteneva che il provvedimento di non ammissione dell’alunno sarebbe stato fortemente condizionato da una valutazione negativa data dalla sola insegnante di lettere nei confronti della quale lo studente X si era reso autore di comportamenti offensivi.

Pertanto, secondo il ricorrente la prof.ssa Y non avrebbe tenuto in debita considerazione le particolari situazioni psicologiche dell’alunno e i progressi mostrati in alcune materie durante il secondo quadrimestre.

Su tale questione si è infine pronunciato il TAR Piemonte il quale ha motivatamente accolto il ricorso presentato dai familiari dell’alunno X, sostenendo nella propria decisione che nonostante i numerosi provvedimenti disciplinari inflitti all’alunno durante il corso dell’anno, le insegnanti, malgrado le difficoltà di gestione dell’alunno, dal comportamento sicuramente “particolare”, non hanno cercato di indagare sulle cause di tali atteggiamenti e di tali comportamenti, recependo la condotta indisciplinata dell’alunno come “un ineludibile ed immodificabile dato di fatto” su cui basare il provvedimento di non ammissione.

Pertanto la scuola avrebbe omesso, secondo il TAR, “di capire le conseguenze e i perché di tali comportamenti, attraverso la effettuazione di indagini volte a capirne le cause ed addivenire successivamente all’instaurazione di un percorso socio riabilitativo dell’alunno che la scuola ha l’obbligo di effettuare”.

Il mancato rispetto di tali obblighi emerge indirettamente dalle relazioni presentate dalle docenti, le quali hanno ammesso che durante l’anno scolastico non sono state interpellate delle psicologhe né, tantomeno, si sono verificati degli incontri tra l’insegnante di lettere, intenzionata a non ammettere l’alunno, e uno psicologo, aventi lo scopo di privilegiare nell’opinione della insegnante di lettere una promozione burocratica che avrebbe potuto costituire un incentivo motivazionale per lo studente alla cessazione di tali comportamenti.

Sulla base di tali considerazioni, il TAR Piemonte ha ritenuto che il giudizio formulato dal Consiglio di classe della scuola sia stato effettuato “in modo del tutto sbrigativo, frettoloso e sommario, ed ingiustificatamente rigoristico e, pertanto deve ritenersi illegittimo poiché basatosi solamente su un asserito comportamento scorretto dell’alunno tenuto durante l’intero anno scolastico, e pertanto indice di una illegittimità del provvedimento di non ammissione.” Sulla base di tali considerazioni il Tribunale ha accolto il ricorso presentato dai genitori dell’alunno X.

ATTO

Il minore O.M., frequentante la prima classe della Scuola media di Torino, non è stato ammesso alla classe seconda con provvedimento del seguente tenore: «l’impegno e l’attenzione sono stati molto discontinui, con risultati positivi in alcune materie e totalmente negativi in altre. Il Consiglio di classe decide a maggioranza di non ammetterlo alla 2ª classe successiva a causa soprattutto del comportamento scorretto». Lamenta il ricorrente l’illegittimità del provve­dimento impugnato ed a sostegno del ricorso ad­duce il seguente motivo:

1) Il giudizio negativo formulato sull’O. sarebbe condizionato da una valutazione assolutamente negativa della sua condotta da parte della sola insegnante di lettere e, ragionevolmente, anche – se non principalmente – dall’episodio di cui il ragazzo fu protagonista in occasione dell’«affare Moro», sul quale egli ebbe ad esprimere apprezzamenti non graditi. In esso sarebbe ravvisabile però uno squilibrio logico fra il peso attribuito ad una evidente incompatibilità fra il ragazzo e l’insegnante di lettere ed il complesso della personalità del giovane. In particolare non si sarebbe tenuto conto della situazione psicologica del ragazzo (affidato alla comunità alloggio della provincia di Torino); dei suoi progressi registrati fra il primo ed il secondo quadrimestre, oltre che rispetto ai risultati raggiunti nell’anno precedente: della circostanza significativa che il suo preteso comportamento scorretto sarebbe stato lamentato solo dall’insegnante di lettere. Di qui la frettolosità e la sommarietà del giudi­zio impugnato, ingiustificatamente rigoristico, ove il giudizio negativo sulla condotta ha immo­tivatamente prevalso sugli altri elementi di giu­dizio, che si prospettavano invece in termini positivi per l’alunno.

Si costituiva l’Amministrazione intimata conte­stando la fondatezza del ricorso, negando che la presa di posizione del ragazzo sull’affare Moro abbia influito sul giudizio e chiedendo pertanto il rigetto del ricorso.

DIRITTO

La formulazione di un giudizio di legittimità, quale quello richiesto a questo Tribunale, sulla valutazione operata da un Consiglio di classe in merito alla idoneità di un alunno ad accedere alla classe superiore da un lato è condizionata dalla doverosa preoccupazione di non sconfinare in un giudizio di merito e d’altro lato esige l’attenzione necessaria per evitare un troppa formalistico esame della motivazione, che potrebbe ridursi ad un controllo sull’uso delle parole, anche se non ancorate alla sottostante realtà del rapporto cui esse ineriscono.

Di qui la preoccupazione del Collegio di cercare di capire innanzitutto quale tipo di rapporto educativo si sia instaurato fra la scuola ed il ricorrente, sembrando giusto dire che solo alla luce di esso sarà possibile stabilire se la motivazione del giudizio impugnato è stata frettolosa, sommaria ed ingiustificatamente rigoristica e quindi illegittima – come vorrebbe il ricorrente -, o se invece, nella pur necessaria sinteticità, sono pur tuttavia presenti motivazioni idonee a legittimare le conclusioni assunte dal Consiglio di classe.

Di qui la necessità di partire dalla considerazione delle condizioni di vita del minore M.O., sulle quali l’eloquenza dei fatti consente una laconica, ma non per questo meno illuminante brevità. Egli è cresciuto praticamente abbandonato da entrambi i genitori (a lungo detenuto il padre, incapace o non interessata a tenerlo con sé la madre), tanto che da anni vive ospite presso la Comunità famiglia di via Giolitti n. 4 in Torino, affidato alle cure della locale Amministrazione provinciale.

Nonostante tutti i problemi e le difficoltà inevitabilmente connessi ad una situazione del ge­nere, che danno luogo fra l’altro a turbe del com­portamento e ad una condotta particolarmente agitata, il ragazzo conclude in 5 anni la scuola elementare ed approda quindi regolarmente alla scuola media. Respinto al termine del primo anno e costretto alla ripetenza, nel corso dell’anno scolastico i suoi rapporti con la scuola sono in modo drammaticamente eloquente rias­sunti nel rilievo che per ben 38 volte nel corso dell’anno egli viene redarguito, allontanato, pu­nito, sospeso. Egli è chiaramente, per i suoi inse­gnanti e per i suoi compagni, l’alunno più scomodo ed indesiderabile che si possa immaginare. Egli costituisce dunque un problema, che la scuola dell’obbligo però non può eludere, proprio per­ché tutti hanno il diritto-dovere di frequentarla. Di qui, per un doveroso e corretto adempimento della propria funzione educativa, l’obbligo per i docenti non già di recepire come un ineluttabile ed immodificabile dato di fatto il comportamento sgradevole dell’alunno, ma di indagarne le cause, di capirlo e quindi di correggerlo ed educarlo. A questo scopo sarebbe stato logico e doveroso che nell’interno della scuola e fra la scuola e la comunità che ospita l’alunno avvenissero frequenti incontri e scambi di idee, quali condizioni necessarie per conoscere e capire quel ragazzo che qualunque educatore deve rifiutarsi di considerare a priori irrecuperabile alla vita sociale.

Viceversa, dalla documentazione prodotta, non risulta che sia avvenuto nulla di ciò. E che non si tratti solo di un’ipotesi è provato, indiretta­mente, da alcune circostanze di fatto documentate. In data (omissis), quando una psicologa ed un’assistente sociale si presentarono all’insegnante di lettere per chiedere o, forse, per pre­tendere la promozione burocratica dell’O., la professoressa ha manifestato chiaramente, nella re­lazione scritta da essa poi redatta, di non averle mai prima di allora conosciute, di essere in netto contrasto con le loro asserzioni ed ha loro negato un incontro con i professori del corso per trattare e discutere dell’alunno O., ritenendo ciò legalmente non possibile. Questo episodio prova da un lato l’indisponibilità della docente al dia­logo, nonostante la particolarità della situazione dell’alunno, e dall’altro la tardività nell’attivarsi delle strutture pubbliche preordinate a questi tipi di intervento, che sembrano confondere o, comunque, privilegiare la promozione burocratica su quella promozione umana che è nelle finalità primarie della scuola. Senza considerare che interventi tardivi limitati a favorire il superamento del corso possono risultare, alla fine, anche più diseducativi.

Né d’altra parte risulta che la scuola si sia troppo preoccupata al proprio interno di capire, onde adeguatamente correggere il comporta­mento dell’O.

Dalla documentazione prodotta risulta infatti che essa coglie, discute e fissa sulla carta solo le manifestazioni esteriori (certo non obiettiva­mente edificanti) della condotta del ragazzo, il quale viene così spedito in altre tre classi, si vede imposto un banco da solo vicino alla cattedra, in una forma certo poco idonea alla sua socializzazione, viene insomma punito e nient’altro. Ed anche questa non è soltanto un’impressione, perché l’increscioso episodio collegato all’«affare Moro» conferma l’indirizzo prevalentemente punitivo e repressivo seguito per tutto il corso dell’anno. Quando, infatti, fra lo scandalo generale, l’O., vittima della violenza dei genitori, della sua vita sfortunata e dell’autoritarismo della sua scuola, sentenzia che le Brigate Rosse hanno fatto bene ad assassinare Aldo Moro, da ciò non nasce alcuna discussione, alcuna analisi, alcun desiderio di ricerca e di approfondimento. La reazione dell’organizzazione educativa è, infatti, una nota sul registro, la convocazione immediata e straordinaria del Consiglio di classe, il rifiuto dell’insegnante di lettere di accettare in classe l’alunno fino a che non siano stati presi provvedi­menti, la richiesta di sospensione ed infine, fra tutti i fatti il più diseducativo ed il più grave, l’avallo (se non la sollecitazione) di una raccolta di firme fra tutti i compagni che coronano un anno di educazione con il rifiuto di accettare in classe un ragazzo di 13 anni perché ha detto di avere idee simili a quelle delle Brigate Rosse. Questo episodio dolorosamente sintomatico è in obiettivo e radicale contrasto con la funzione stessa della scuola, che non ha il diritto di dimenticare di avere a che fare con ragazzi, cui non si possono attribuire idee da perseguitare, ma che devono essere educati al confronto, alla discussione ed alla verifica delle proprie affermazioni. Il Tribunale non vuol dire con questo che tutto comprendere comporti di necessità il perdonare tutto; vuol solo ribadire che alla scuola non è consentito bandire le idee e con esse chi le manifesta senza venir meno ai propri compiti.

Inserito in questo contesto, il giudizio formu­lato dal Consiglio di classe ed impugnato davanti a questo Tribunale deve ritenersi sbrigativo, frettoloso, sommario, ingiustificatamente rigoristico e quindi illegittimo. Quando si rileva, infatti, che l’insegnante di matematica e di francese hanno ritenuto sufficiente il profitto dell’O. nelle rispettive materie, che l’insindacabile decisivo giudizio negativo di merito riguarda tutte le materie let­terarie insegnate da una sola docente e che la bocciatura avviene soprattutto a causa del com­portamento scorretto, il Tribunale non può ritenere sufficiente ed adeguata la motivazione ad­dotta, in quanto dalle circostanze sopra riferite emerge che la scuola non si è data adeguatamente carico della singolarità del caso e quindi ha proceduto ad una valutazione dei risultati e della condotta svincolata dalle cause più profonde di essi e per ciò stesso inadeguata ed insufficiente.

Nella riformulazione del giudizio il Consiglio di classe dovrà pertanto darsi carico anche della propria condotta, onde stabilire se ed in quale misura essa non abbia a sua volta condizionato negativamente quella dell’alunno, dovrà porsi il problema della situazione personale dello stesso e valutarlo quindi nella sua peculiarità, dovrà in­somma mostrare di aver fatto lo sforzo necessario per capirlo, anche per compensare, almeno in sede di giudizio, la condotta prevalentemente repressiva seguita durante l’anno. Solo in questo modo tale condotta cesserà di sembrare la reazione di chiusura di docenti, che i documenti qualificano di «ottima estrazione sociale», e si potrà ritenere che l’eventuale e sempre possibile nuovo giudizio negativo sia il risultato di una scelta pedagogica, sulla quale allora il Tribunale, come tale, non avrà titolo per pronunciarsi, essendo a tal proposito ogni valutazione riservata agli organi scolastici.

All’accoglimento del ricorso consegue l’annullamento del provvedimento impugnato. Sussistono però giuste ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese del giudizio.

 P. Q. M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Dichiara integralmente compensato fra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Torino, nella Camera di Consi­glio , con l’intervento dei signo­ri: dott. Andrea Lo Jacono, presidente; dott. Ezio Maria Barbieri, 1° referendario, estensore; dott. Armando Ingrassia, referendario.

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