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Le Sez. Unite della Suprema Corte, con la sentenza del 28 maggio 2012, hanno affrontato nuovamente la questione della sindacabilità delle valutazioni delle commissioni esaminatrici da parte del giudice amministrativo.

La vicenda de qua traeva origine da un provvedimento di non ammissione di una praticante calabrese agli esami orali di abilitazione alla professione di avvocato. Il giudizio della Commissione esaminatrice era stato fondato su due elementi: a) la presenza di errori “grammaticali”; b) alcune incoerenze della forma in relazione alla tipologia dell’atto da redigere (nella specie, si trattava dell’utilizzo dell’espressione “arma impropria”).

Il T.A.R. della Calabria, adito dalla candidata, ha accolto il ricorso, in quanto era stato accertata l’assenza dei presupposti sui quali il giudizio della commissione esaminatrice si era fondato (non vi erano né errori grammaticali, né incoerenze di forma). La decisione è stata poi confermata dal Consiglio di Stato.

Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione, per eccesso di potere giurisdizionale, in quanto il giudice avrebbe espresso una valutazione tecnico/giuridica sull’elaborato, sostituendo la propria volontà a quella della Commissione.

La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato integralmente il ricorso del Ministero.

In primo luogo, ha richiamato la Sentenza nr. 21 giugno 2010, n. 14893 delle Sez. Unite, che, sul punto, ha ritenuto che: le valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici dei pubblici concorsi, non comportando un’invasione della sfera del merito amministrativo, sono assoggettabili al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo qualora risultino viziate da illogicità manifesta ovvero da irragionevolezza evidente o grave ovvero da travisamento del fatto.

In secondo luogo, ha ricordato che la valutazione demandata alla commissione è priva di “discrezionalità”, in quanto essa è unicamente tenuta ad accertare, secondo criteri oggettivi predeterminati, il possesso da parte dei candidati di specifici requisiti attitudinali-culturali, la cui eventuale sussistenza o insussistenza deve essere conclusivamente giustificata.

Di conseguenza, non può essere esclusa tout court la piena tutela innanzi al giudice amministrativo.

In conclusione, le Sez. Unite hanno affermato il principio secondo cui:

Il sindacato giurisdizionale di legittimità del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici di esami o concorsi pubblici (valutazioni inserite in un procedimento amministrativo complesso nel quale viene ad iscriversi il momento valutativo tecnico della commissione esaminatrice quale organo straordinario della pubblica amministrazione), è legittimamente svolto quando il giudizio della commissione esaminatrice è affetto da illogicità manifesta o da travisamento del fatto in relazione ai presupposti stessi in base ai quali è stato dedotto il giudizio sull’elaborato sottoposto a valutazione.

Rimane, tuttavia, da chiedersi come sia possibile per il candidato escluso azionare i propri diritti quando l’unico elemento disponibile sia costituito dalla mera motivazione numerica.

A tal riguardo, pare opportuno richiamare, altresì, la recente Sentenza n. 175 dell’8 giugno 2011 della Corte Costituzionale che, infatti, ha ritenuto che: E’ costituzionalmente legittima la norma di legge che prevede che i giudizi di non ammissione dei candidati che partecipano agli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense possano essere motivati con l’attribuzione di un mero punteggio numerico. Secondo i giudici costituzionali, infatti, Tale punteggio, nella varietà della graduazione attraverso la quale si manifesta, esterna una valutazione che, sia pure in modo sintetico, si traduce in un giudizio di sufficienza o di insufficienza, variamente graduato a seconda del parametro numerico attribuito al candidato, che non solo stabilisce se quest’ultimo ha superato o meno la soglia necessaria per accedere alla fase successiva del procedimento valutativo, ma dà anche conto della misura dell’apprezzamento riservato dalla commissione esaminatrice all’elaborato e, quindi, del grado di idoneità o inidoneità riscontrato.

A nostro modesto avviso, permangono forti dubbi sulla concreta possibilità per il candidato all’esame di avvocato di tutelare i propri diritti in sede amministrativa, laddove la motivazione della sua esclusione consti esclusivamente di un voto “numerico”.

Una parte della dottrina (DIDONNA M., Il voto alfanumerico è motivazione: la consulta chiude la partita degli avvocati, in Il Corriere Giuridico, 12/2011, p. 1667), cui riteniamo di dover aderire ha evidenziato, infatti, la persistenza di una ingiustificata disparità di trattamento tra aspiranti notai ed avvocati.

Deve, infatti, rilevarsi come il noto comma 5 dell’art. 11 del d.lgs n. 166/2006 (per il procedimento di valutazione delle prove del concorso notarile) stabilisca espressamente: Il giudizio di non idoneità è motivato.

A questo punto l’attento giurista non potrà non cogliere la disparità di trattamento tra aspiranti avvocati e notai: nei confronti dei primi, la valutazione numerica è sufficiente sia per il giudizio di idoneità che di non idoneità; per i secondi, invece, è la stessa legge a richiedere la motivazione per il giudizio negativo.

 

* * *

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE

SENTENZA 28 maggio 2012, n.8412

Ritenuto in fatto

II TAR per la Calabria ha accolto il ricorso proposto dalla dr. A. avverso il provvedimento di non ammissione agli esami orali di abilitazione alla professione di avvocato per l’anno 2009.

La decisione è stata confermata dal Consiglio di Stato, il quale ha ritenuto: che nella specie era stato accertato sia il difetto del presupposto sul quale il giudizio della commissione esaminatrice era stato fondato (la asserita presenza di ‘errori grammaticali’), sia l’assenza di incoerenze della forma in relazione alla tipologia dell’atto giudiziario oggetto d’esame (pur evidenziate dalla commissione stessa con l’espressione ‘l’arma impropria, ossia non adatta alla stesura di un atto giudiziario’); che il sindacato in questione era stato svolto nei limiti della giurisdizione di legittimità, diretta a verificare l’eventuale sussistenza del vizio di eccesso di potere senza alcuno sconfinamento nel merito (ossia senza la sostituzione di una valutazione tecnico/giuridica del giudice amministrativo a quella dell’amministrazione).

Propone ricorso per cassazione il Ministero della Giustizia attraverso un solo motivo. Risponde con controricorso la dr. A.

Motivi della decisione

Il Ministero ricorrente sostiene che nella specie si sarebbe verificato l’eccesso di potere giurisdizionale, attraverso la sostituzione della volontà dell’amministrazione con quella del giudice, il quale avrebbe espresso una valutazione tecnico/giuridica sull’idoneità dell’elaborato. Aggiunge che, alla luce della più recente giurisprudenza di queste SU, rimane pur sempre esclusa per il giudice amministrativo la possibilità dell’intervento demolitorio sulle valutazioni ‘attendibili’ ancorché ‘opinabili’, in conformità al ruolo debole del sindacato in materia del G.A.

Il ricorso è infondato.

Con riferimento al sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche nelle commissioni di esami e concorsi pubblici (valutazioni inserite in un procedimento amministrativo complesso nel quale viene ad iscriversi il momento valutativo tecnico della commissione esaminatrice quale organo straordinario della pubblica amministrazione), la giurisprudenza di queste SU ha recentemente approfondito il terna dell’eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nella sfera del merito ed ha concluso che siffatto sindacato è legittimamente svolto quando il giudizio della commissione esaminatrice è affetto da illogicità manifesta o da travisamento del fatto in relazione all’articolazione dei criteri preventivamente individuati dalla commissione stessa (in tal senso cfr. Cass. SU 21 giugno 2010, n. 14893; SU 9 maggio 2011, n. 10065; SU 19 dicembre 2011, n. 27283).

In particolare, s’è riflettuto sulla circostanza che la valutazione demandata alla commissione esaminatrice è, in primo luogo, priva di ‘discrezionalità’, perché, la commissione non è attributaria di alcuna ponderazione di interessi né della potestà di scegliere soluzioni alternative, ma è richiesta di accertare, secondo criteri oggettivi o scientifici (che la legge impone di portare a preventiva emersione), il possesso di requisiti di tipo attitudinale-culturale dei parteciparti alla selezione la cui sussistenza od insussistenza deve essere conclusivamente giustificata (con punteggio, con proposizione sintetica o con motivazione, in relazione alle varie ‘regole’ legali delle selezioni).

Il giudizio circa l’idoneità del candidato avviene, dunque, secondo regimi selettivi di volta in volta scelti dal legislatore che non precludono in alcun modo la piena tutela innanzi al giudice amministrativo (in tal senso le decisioni della Corte Costituzionale, in sent. 20/2009 e ord. 78/2009), giudice del fatto come della legittimità dell’atto.

Siffatta tutela – come correttamente argomenta la sentenza impugnata – è attuata sotto il profilo del vizio d’eccesso di potere e, dunque, senza alcuno sconfinamento nel merito da parte del giudice, ma attraverso la verifica della logicità, della coerenza e della ragionevolezza delle basi argomentative concernenti l’analisi dell’elaborato.

Nella specie, il giudice ha accertato, per un verso, l’inesistenza dei ‘gravi errori di grammatica’ e, per altro verso, l’assenza di incoerenza della forma in relazione alla tipologia dell’atto giudiziario. In altri termini, ha accertato in fatto la mancanza dei presupposti stessi in base ai quali la commissione esaminatrice aveva espresso la negativa valutazione dell’elaborato. Così operando, il giudice amministrativo s’è tenuto negli ambiti del proprio potere giurisdizionale ed, in particolare, ha legittimamente vagliato la sussistenza del lamentato vizio di eccesso di potere.

Nulla, peraltro, il Ministero ricorrente argomenta e contesta (come neppure ha fatto in sede d’appello: cfr. pag. 6 dell’impugnata sentenza) circa il merito dei rilievi sollevati dal giudice amministrativo, limitando piuttosto le proprie doglianze all’affermazione di generali principi di diritto del tutto svincolati dal merito della vicenda.

In conclusione, facendo seguito alla summenzionata giurisprudenza, occorre affermare il principio secondo cui:

Il sindacato giurisdizionale di legittimità del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici di esami o concorsi pubblici (valutazioni inserite in un procedimento amministrativo complesso nel quale viene ad iscriversi il momento valutativo tecnico della commissione esaminatrice quale organo straordinario della pubblica amministrazione), è legittimamente svolto quando il giudizio della commissione esaminatrice è affetto da illogicità manifesta o da travisamento del fatto in relazione ai presupposti stessi in base ai quali è stato dedotto il giudizio sull’elaborato sottoposto a valutazione.

Il ricorso deve essere, pertanto, respinto, con condanna del ricorrente a rivalere la controparte delle spese sopportate nel giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 2.200,00, di cui € 2000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

 

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