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Assegnazione della casa familiare e assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne: il punto della Cassazione

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Con la sentenza n. 4555/12, la Suprema Corte si è occupata sia della tematica dell’assegnazione della casa familiare, sia dell’assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne.

Per quanto concerne il primo punto, dagli atti del giudizio risultava come il figlio maggiorenne, che abitava con la madre a Lecce, fosse stato assunto a Torino, per cui il padre riteneva non più giustificata l’assegnazione della casa familiare, che presuppone il requisito della convivenza.

Sulla nozione di “convivenza” vi sono due orientamenti tra loro contrastanti: da una parte Cass., 22 aprile 2002, n. 5857, secondo cui “la nozione di convivenza rilevante agli effetti di cui si tratta comporta, peraltro, la stabile dimora del figlio presso l’abitazione di uno dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi, e con esclusione, quindi, della ipotesi di saltuario ritorno presso detta abitazione per i fine settimana, ipotesi nella quale si configura invece un rapporto di ospitalità, con conseguente esclusione del diritto del genitore ospitante all’assegnazione della casa coniugale in assenza di titolo di godimento della stessa, a prescindere dalla mancanza di autosufficienza economica del figlio, idonea, se mai, ad incidere solo sull’obbligo di mantenimento”; dall’altra l’orientamento, più recente, facente capo a Cass., 27 maggio 2005, n. 11320, invece si sostiene che “al fine di ritenere integrato il requisito della coabitazione, basta che il figlio maggiorenne – pur in assenza di una quotidiana coabitazione, che può essere impedita dalla necessità di assentarsi con frequenza, anche per non brevi periodi, per motivi, ad esempio, di studio – mantenga tuttavia un collegamento stabile con l’abitazione del genitore, facendovi ritorno ogniqualvolta gli impegni glielo consentano, e questo collegamento, se da un lato costituisce un sufficiente elemento per ritenere non interrotto il rapporto che lo lega alla casa familiare, dall’altro concreta la possibilità per tale genitore di provvedere, sia pure con modalità diverse, alle esigenze del figlio”.

A parere dei Giudici di legittimità, nel caso di specie la Corte territoriale non ha correttamente applicato l’art. 155 quater, in quanto, pur dando atto che il figlio maggiorenne lavora stabilmente nella città di Torino e studia alla locale facoltà di ingegneria, afferma letteralmente “che tutto ciò non esclude che egli torni periodicamente dalla madre, laddove l’indagine che si chiedeva alla corte di espletare era se e con quale frequenza il figlio tornava effettivamente presso l’abitazione coniugale assegnata alla madre, vale a dire di accertare la stabilità del rapporto di convivenza, tenendo anche conto delle condizioni di vita del figlio, delle ragioni dell’allontanamento dalla casa coniugale, della distanza fra il luogo in cui essa e sita e quello in cui il figlio si è trasferito, dei periodi reali di permanenza nell’ambiente familiare originario, che, in effetti, costituisce il fondamento della priorità da valutarsi nell’assegnazione della casa familiare”.

Il secondo motivo di ricorso concerne invece la non debenza dell’assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne, il quale, essendo stato assunto presso un’azienda, sarebbe economicamente indipendente.

Anche su questo aspetto, la Suprema Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata, secondo cui tale assegno era dovuto, abbia errato nel valorizzare esclusivamente la circostanza, di per se non esaustiva, della prosecuzione degli studi da parte di D.R..

La Corte territoriale, invece, avrebbe dovuto accertare se il figlio, “in relazione al percorso di studi intrapreso, alle condizioni economiche della famiglia, al tipo di occupazione, con riferimento alla corrispondenza alle aspirazioni professionali perseguite, nonché all’entità della retribuzione, potesse aver raggiunto l’indipendenza economica”.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Sentenza 28 novembre 2011 – 22 marzo 2012, n. 4555

(Presidente Felicetti – Relatore Campanile)

Svolgimento del processo

1 – Con sentenza in data 19 dicembre 2005 il Tribunale di Lecce, che aveva già pronunciato con sentenza non definitiva la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da R.R. e A.M.D., assegnava a costei la casa coniugale, ponendo a carico del R. un contributo di Euro 750,00, da versare mensilmente alla moglie a titolo di contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne D., ritenuto non ancora autosufficiente sul piano economico.

1.1 – La Corte d’appello di Lecce, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale accoglimento del gravame proposto dal R., riduceva il contributo per il mantenimento del figlio D. ad Euro 400,00 mensili, confermando, nel resto l’impugnata decisione, anche con riferimento all’impugnazione incidentale proposta dall’A., la quale aveva chiesto la declaratoria di inadempimento e la condanna del coniuge al pagamento delle somme non versate in relazione ai contributi dovuti per il mantenimento del figlio come determinati nella causa di separazione fino all’emanazione dei provvedimenti provvisori da parte del presidente del tribunale nel giudizio di divorzio, nonché a rimborsare, previa prestazione di idonea garanzia reale, le spese straordinarie sostenute in via esclusiva dalla madre.

Quanto al contributo per il figlio D., si dava atto che costui aveva conseguito un diploma di laurea triennale ed era stato assunto come impiegato tecnico dalla Fiat Avio con decorrenza dal 2 novembre del 2005, con una retribuzione pari a circa Euro 1.500,00 mensili. Si osservava, tuttavia, che il giovane si era iscritto al biennio di specializzazione presso la facoltà di ingegneria di XXXXXX, ragion per cui non poteva ritenersi che avesse conseguito una collocazione adeguata nel corpo sociale. Per tale ragione egli necessitava, quale studente lavoratore, di un contributo per proseguire gli studi che, avuto riguardo ai suoi emolumenti, poteva essere ridotto nei termini specificati. Per la medesima ragione veniva rigettata la domanda di revoca dell’assegnazione della casa familiare all’A., non escludendosi che il figlio, benché lontano per ragioni di studio, tornasse periodicamente dalla madre, avendo per altro ivi conservato la residenza.

1.2 – Quanto alle richieste dell’A., si osservava che la stessa poteva avvalersi dei titoli costituiti dal verbale redatto in sede di comparizione nell’ambito della separazione personale e della sentenza successivamente intervenuta.

1.3 – Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il R., deducendo tre motivi.

Resiste con controricorso l’A., proponendo ricorso incidentale, cui il R. resiste con controricorso.

Motivi della decisione

2 – Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima decisione.

2.1 – Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, formulandosi idoneo quesito di diritto, violazione e falsa applicazione dell’art. 155 quater cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c, rilevandosi che, avendo la corte territoriale accertato che il figlio maggiorenne D. svolge attività lavorativa in XXXXXX, essendo stato assunto a tempo indeterminato presso la Fiat Avio, il periodo che potrebbe trascorrere nella casa coniugale sarebbe veramente limitato, facendo venir meno quel collegamento stabile richiesto affinché risulti integrato il requisito della convivenza.

2.2 – Il motivo è fondato.

La censura in esame, come puntualmente rilevato dal P. G. di udienza, implica una problematica – quella sulla nozione di coabitazione – traibile dall’art. 155 quater c.c., secondo cui il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.

Secondo un primo orientamento di questa Corte (Cass., 22 aprile 2002, n. 5857), la nozione di convivenza rilevante agli effetti di cui si tratta comporta, peraltro, la stabile dimora del figlio presso l’abitazione di uno dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi, e con esclusione, quindi, della ipotesi di saltuario ritorno presso detta abitazione per i fine settimana, ipotesi nella quale si configura invece un rapporto di ospitalità, con conseguente esclusione del diritto del genitore ospitante all’assegnazione della casa coniugale in assenza di titolo di godimento della stessa, a prescindere dalla mancanza di autosufficienza economica del figlio, idonea, se mai, ad incidere solo sull’obbligo di mantenimento. In altra, più recente, pronuncia (Cass., 27 maggio 2005, n. 11320), questa Corte ha affermato che al fine di ritenere integrato il requisito della coabitazione, basta che il figlio maggiorenne – pur in assenza di una quotidiana coabitazione, che può essere impedita dalla necessità di assentarsi con frequenza, anche per non brevi periodi, per motivi, ad esempio, di studio – mantenga tuttavia un collegamento stabile con l’abitazione del genitore, facendovi ritorno ogniqualvolta gli impegni glielo consentano, e questo collegamento, se da un lato costituisce un sufficiente elemento per ritenere non interrotto il rapporto che lo lega alla casa familiare, dall’altro concreta la possibilità per tale genitore di provvedere, sia pure con modalità diverse, alle esigenze del figlio.

In virtù di tale indirizzo, la coabitazione non cessa per l’assenza, anche per periodi non brevi, del figlio per ragioni di studio o di lavoro. L’ampia accezione del rapporto di coabitazione, così elaborata, rivela profili di incompletezza che finiscono con il dilatare enormemente l’area semantica del termine coabitazione, con il rischio di farne sinonimo di ospitalità.

Anzitutto, sul piano linguistico essa fa uso esclusivamente del termine coabitazione e della locuzione rapporto di coabitazione, discostandosi dal linguaggio legislativo, sia della legge sul divorzio (che all’art. 6 comma 6 parla di figli che convivono oltre la maggiore età con i genitori), sia degli articoli del libro primo del codice civile, ove a vario titolo è coinvolto il rapporto di filiazione, nei quali si fa uso esclusivo del verbo “convivere” e del termine “convivenza”.

Non sembra, poi, coerente con la ratio della persistenza della legittimazione iure proprio del genitore l’avere omesso una considerazione approfondita sull’estensione temporale della presenza del figlio nell’unità abitativa con il genitore già affidatario, affermandosi semplicemente che la presenza solo saltuaria per la necessità di assentarsi con frequenza, per motivi di studio o di lavoro, anche per non brevi periodi, non comporta difetto di coabitazione allorché il figlio ritorni ogniqualvolta gli impegni glielo consentano. Difatti, se in tanto la legittimazione persiste in quanto resta invariata la situazione di fatto oggetto di regolamentazione, e più specificamene restano identiche le modalità di adempimento dell’obbligazione di mantenimento, e se è vero che è proprio il fatto oggettivo della convivenza che vale a protrarre l’attività di cura materiale del figlio divenuto maggiorenne poiché il genitore convivente continua a effettuare tutte le prestazioni necessarie e adeguate alle esigenze di questo sostenendone direttamente e quotidianamente il peso economico, non sembra che possa sottovalutarsi l’estensione in un arco temporale determinato dell’assenza del figlio dalla sede della coabitazione solo ed esclusivamente perché costui vi fa comunque ritorno non appena possibile e in ciò manifesta una volontà di non separarsi definitivamente dal genitore. D’altro canto, non si può negare che assenze protratte per lunghi periodi ben possono travolgere la sussistenza del rapporto di convivenza, pur quando intervallate da ritorni regolari alla sede dove si svolge la coabitazione. Volendo individuare dei criteri di giudizio per accertare la sussistenza o meno della coabitazione nelle zone grigie contrassegnate da una presenza pacificamente non diuturna dei soggetti che si assumono coabitanti, è da ritenere che quello definibile come criterio della regolarità del ritorno, il collegamento stabile con l’abitazione del genitore di cui parla il più recente indirizzo, debba necessariamente coniugarsi con il criterio della prevalenza temporale in relazione a una determinata unità di tempo (anno, semestre, mese) dell’effettiva presenza (ragion per cui nessun valore può attribuirsi, come mostra di ritenere la corte territoriale, al dato formale costituito dal certificato di residenza) del figlio nel luogo di coabitazione con il genitore o, in ogni caso, con il criterio della frequenza con cadenza regolare del ritorno in rapporto a quella stessa unità di tempo assunta per il criterio della prevalenza temporale.

2.3 – Non sembra che, con riferimento a entrambi gli orientamenti sopra indicati, la Corte territoriale abbia correttamente applicato la norma in questione, in quanto, pur dando atto che il figlio maggiorenne lavora stabilmente nella città di Torino e studia alla locale facoltà di ingegneria, afferma letteralmente che tutto ciò non esclude che egli torni periodicamente dalla madre, laddove l’indagine che si chiedeva alla corte di espletare era se e con quale frequenza il figlio tornava effettivamente presso l’abitazione coniugale assegnata alla madre, vale a dire di accertare la stabilità del rapporto di convivenza, tenendo anche conto delle condizioni di vita del figlio, delle ragioni dell’allontanamento dalla casa coniugale, della distanza fra il luogo in cui essa e sita e quello in cui il figlio si è trasferito, dei periodi reali di permanenza nell’ambiente familiare originario, che, in effetti, costituisce il fondamento della priorità da valutarsi nell’assegnazione della casa familiare.

3 – Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 155 e 155 quinquies c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., ponendosi in evidenza la contraddizione fra l’accertato conseguimento dell’indipendenza economica, mediante assunzione a tempo indeterminato, con la percezione di uno stipendio – pari, all’incirca, ad Euro 1.500,00 – e la permanenza dell’obbligo di mantenimento.

Viene al riguardo formulato il seguente quesito di diritto: “Dica l’Ecc.ma Corte se, nell’ipotesi in cui il figlio maggiorenne, assunto con contratto a tempo indeterminato, svolgendo un lavoro attinente agli studi effettuati, avendo conseguito un diploma di laurea triennale, con stipendio iniziale da impiegato tecnico di V livello e contratto aziendale che prevede l’erogazione di un premio di risultato variabile e di un premio di produzione, pur se iscritto all’Università degli Studi per la specializzazione, possa ritenersi non autonomo economicamente e, quindi, in diritto di percepire un assegno di mantenimento”.

3.1 – Il motivo è fondato, nei sensi appresso indicati.

Deve in proposito richiamarsi l’orientamento, già espresso da questa Corte, e condiviso dal Collegio, secondo cui, in regime di separazione o divorzio fra i genitori, l’obbligo di versare il contributo di mantenimento per i figli maggiorenni al coniuge presso il quale vivono cessa solo ove il genitore obbligato provi che essi abbiano raggiunto l’indipendenza economica, percependo un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali condizioni di mercato, ovvero che essi si sottraggono volontariamente allo svolgimento di un’attività lavorativa adeguata. Una volta che sia provato l’inizio di un’attività lavorativa retribuita, costituisce valutazione di merito, incensurabile in cassazione se motivata, quella circa l’esiguità, in relazione alle circostanze del caso, del reddito realizzato al fine di escludere o diminuire l’assegno (ex multis: Cass. 24 gennaio 2011, n. 1611; Cass. 17 novembre 2006, n. 24498; 17 giugno 2006, n. 15756; 24 novembre 2004, n. 22214; 3 aprile 2002, n. 4765).

La sentenza impugnata, nel valorizzare la circostanza della prosecuzione degli studi da parte di Da.Ru., ha omesso di accertare se, a prescindere da tale dato, di per sé non esaustivo, il figlio predetto, in relazione al percorso di studi intrapreso, alle condizioni economiche della famiglia, al tipo di occupazione, con riferimento alla corrispondenza alle aspirazioni professionali perseguite, nonché all’entità della retribuzione, potesse aver raggiunto l’indipendenza economica, nei termini sopra delineati.

4 – L’accoglimento dei suddetti motivi, assorbenti rispetto alle restanti censure del ricorso principale e al ricorso incidentale, comporta la cassazione della decisione impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Lecce, affinché, in diversa composizione, applichi i principi sopra enunciati, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo e il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo ed il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione.

L’immagine del post è stata realizzata da Hans, rilasciata con licenza cc.

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