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Parafrasando una tipica espressione inglese (“niente sesso, siamo inglesi”), dovremmo dire “tanto sesso, siamo italiani”.

La Corte di Cassazione, infatti, con la pronuncia n. 8773/12, torna sul tema del diritto ad una sana e soddisfacente vita sessuale all'interno del matrimonio.

Il caso. La moglie abbandonava la casa familiare, sostenendo la mancanza, con il marito, di un'intesa sessuale “serena e appagante” . Questi, a sua volta, accusava la consorte di aver provocato lei la crisi della coppia, stante la sua grave indisponibilità e non “recettività”.

I Giudici di merito dichiaravano la separazione senza addebito, ordinando al marito di versare alla moglie un assegno mensile pari ad Euro 2.500,00.

L'uomo decide di proporre ricorso per Cassazione, ma gli Ermellini confermano la sentenza di secondo grado.

La decisione. La Cassazione, infatti, aderendo ad un orientamento oramai consolidato (cfr. ex plurimis Cass. n. 17056/07), ha ribadito che la mancanza di un'intesa sessuale tra marito e moglie costituisce una giusta causa per abbandonare il tetto coniugale.

Corollario di tale principio è che chi lascia il coniuge, perchè non vive con lui una vita sessuale serena e soddisfacente, non rischia poi di vedersi addebitata dal giudice la colpa della separazione.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Sentenza 5 marzo – 31 maggio 2012, n. 8773

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 16/03/2009 il Tribunale di Bari dichiarava la separazione personale dei coniugi A.D. e N.G., rigettando le rispettive domande di addebito e determinando in Euro 2.500,00 mensili l'assegno di mantenimento per la moglie.

Proponeva appello il N., chiedendo pronunciarsi l'addebito per la moglie ed escludersi l'assegno a favore di questa o, in subordine, ridursi notevolmente il suo importo.

Costituitosi regolarmente il contraddittorio, l'A. chiedeva il rigetto della impugnazione e proponeva appello incidentale, in punto addebito della separazione al marito e in punto assegno, chiedendone l'elevazione dell'importo.

La Corte di Appello di Bari, con sentenza in data 16/07 – 21/09/2010, rigettava entrambi gli appelli, confermando la sentenza impugnata.

Ricorre per cassazione il N.

Resiste, con controricorso, e propone ricorso incidentale l'A.

Resiste, con controricorso al ricorso incidentale, il N.

Entrambe le parti hanno depositato memoria per l'udienza.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 183, 184 c.p.c., con il secondo violazione degli artt. 244 e 245 c.p.c. in ordine rispettivamente alla dichiarazione di decadenza e comunque alla reiezione dei mezzi di prova proposti; con il terzo motivo, vizio di motivazione, quanto alla reiezione dei predetti mezzi di prova.

I motivi possono essere esaminati congiuntamente, essendo strettamente collegati.

Va innanzitutto osservato che non sussiste decadenza circa i capi di prova per testi dedotti in primo grado. La disciplina ratione temporis è quella introdotta dalla riforma del 1990 (L. n. 153), operante fino alle novelle del 2005 e 2006.

Come emerge dalla ricostruzione della vicenda processuale effettuata dal giudice a quo, che richiama l'ordinanza del G.I. in primo grado in data 19/04/05, all'udienza del 26/01/2005, fissata per gli incombenti di cui all'art. 184 c.p.c. (udienza per le deduzioni istruttorie), l'attrice depositava deduzioni con cui introduceva una nuova domanda (divorzio) e un nuovo motivo di addebito, incombenti tipici della prima udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c.: si configurava dunque, nella sostanza, una prosecuzione dell'udienza ex art. 183 c.p.c. Veniva fissata udienza successiva (sostanzialmente quella di cui all'art. 184 c.p.c.) nella quale correttamente il convenuto chiedeva termine per produrre documenti, articolare nuovi mezzi di prova, e per l'eventuale indicazione di prova contraria.

La Corte di merito peraltro fornisce un'ulteriore motivazione, oltre la tardività di deduzione. Afferma così che la prova testimoniale è articolata in maniera discorsiva e non specifica, e che gli otto testi indicati sembrerebbero chiamati a rispondere tutti su tutte le circostanze, anche quelle riguardanti colloqui diretti tra la A. ed uno di essi o su colloqui privati tra la stessa e il N.

Non si può affermare come sostiene il ricorrente che sempre e comunque la valutazione della prova (come è noto, di spettanza di giudice del merito, insuscettibile di controllo in questa sede, se sorretta da motivazione adeguata e non illogica: per tutte, Cass. n. 13375/2009) debba effettuarsi capo per capo. Se i medesimi profili di inammissibilità riguardano tutti i capi, può sicuramente la valutazione effettuarsi, come nella specie, anche in termi

ni generali. E la motivazione della sentenza impugnata, ancorché essenziale e stringata, appare comunque sufficiente e non illogica.

La reiezione del secondo e terzo motivo per infondatezza, assorbe necessariamente il primo, che sarebbe di per sé fondato.

Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c. con il quinto violazione e falsa applicazione degli artt. 143, 146, 156 c.c., in punto abbandono della casa famigliare effettuato dalla moglie, quale motivo di addebito.

I due motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto strettamente collegati, e vanno rigettati, siccome infondati.

Lamenta in particolare il ricorrente che, sul punto, il giudice a quo non abbia fornito alcuna motivazione, richiamandosi a quella di primo grado. Si può consentire in linea generale con quanto afferma il ricorrente, secondo del resto, giurisprudenza consolidata (per tutte, Cass. N. 2268/06 e 15483/08), per cui va cassata la sentenza di appello ove la motivazione, formulata in termini di mera e generica adesione alla pronuncia di primo grado, non consenta il controllo del procedimento logico utilizzato dal giudice stesso circa l'esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame.

Ma, nella specie, seppur in forma sintetica la motivazione della sentenza impugnata dà palesemente conto delle ragioni per cui essa stessa si conforma a quella di primo grado: si afferma infatti insussistente la violazione di obbligo matrimoniale da parte dell'A., in quanto l'abbandono della casa famigliare appariva determinato da giusta causa, debitamente comprovata e consistente nella mancata realizzazione tra le parti di una intesa sessuale “serena e appagante”, richiamandosi correttamente al riguardo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di questa corte (per tutte, Cass. N. 17056 del 2007).

Per dimostrare il suo assunto, il ricorrente finisce in sostanza per introdurre profili di fatto (la riconducibilità alla moglie di problematiche sessuali, stante la sua grave indisponibilità e non “recettività” così da determinare essa sola la crisi della coppia), profili evidentemente insuscettibili di valutazione e controllo in questa sede.

Con il sesto motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 156 c.c., con il settimo vizio di motivazione in punto assegno di mantenimento.

I motivi possono esaminarsi congiuntamente perché strettamente collegati, e vanno rigettati in quanto infondati.

Si può, ancora una volta, consentire con il ricorrente quando afferma, conformemente ad un indirizzo giurisprudenziale ampiamente consolidato presso questa Corte, che l'assegno di mantenimento, disposto in sede di separazione, è idoneo ad assicurare al coniuge un tenore di vita comparabile con quello da lui goduto in costanza di matrimonio (tra le altre, Cass. N. 6864/2009). Ma è altrettanto vero che le attuali condizioni economiche dei coniugi ed il divario tra esse possono configurarsi come indice del tenore di vita goduto durante il matrimonio (per tutte, Cass. n. 2156 del 2010). E il giudice a quo, con motivazione adeguata e non illogica, considera il reddito del N., durante la presente procedura sulla base delle dichiarazione dei redditi per l'anno 2008, a fronte del più modesto reddito della moglie, confermando pertanto, in punto assegno, le statuizioni del primo giudice.

Va pertanto conclusivamente rigettato il ricorso principale.

Quanto al ricorso incidentale, esso va dichiarato inammissibile per violazione degli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c.

Non sono assolutamente indicati, in calce al ricorso i documenti su cui esso si fonda (e a nulla rileva che ad essi si faccia talora riferimento, nella trattazione del ricorso stesso. Essi vanno indicati separatamente, evidenziando profili rilevanti al loro interno, e specificamente chiarendo dove siano rintracciabili (al riguardo, Cass. N. 716/2010). Nella specie, in calce al controricorso e ricorso incidentale si indicano solo, del tutto genericamente, la copia conforme della sentenza impugnata ed i fascicoli di parte dei gradi precedenti.

Quanto alla violazione dell'art. 369 n. 4 c.p.c. in virtù del quale, insieme con il ricorso, devono essere depositati a pena di improcedibilità atti processuali e documenti su cui il ricorso stesso si fonda, questa Corte ha chiarito che la norma non distingue tra i vari tipi di censura proposti e prevede il deposito non solo di documenti ma anche di atti processuali: ne consegue che, anche in caso di denuncia di errores in procedendo gli atti processuali sui quali la censura si fonda devono essere specificamente e nominativamente depositati unitamente al ricorso nello stesso termine. Non si può sopperire a tale incombente con il deposito del fascicolo di parte, senza l'indicazione specifica di atti e documenti in esso contenuti sui quali il ricorso è fondato (al riguardo Cass. N. 303/2010).

Il tenore della decisione richiede la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara i inammissibile quello incidentale; dichiara compensate le spese del presente giudizio di legittimità.

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