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L’art. 115 c.p.c. prevede come il Giudice debba porre a fondamento della decisione i fatti non specificatamente contestati dalle parti.

Tale regola è stata denominata principio di non contestazione e costituisce un approdo oramai stabile all’interno del nostro ordinamento anche dal punto di vista giurisprudenziale.

Quali sono, però, i limiti di applicazione dell’istituto?

In particolare, in questa sede ci occuperemo dei limiti relativi alla produzione documentale.

La Cassazione, infatti, è stata investita della questione con riferimento alla validità di alcune polizze assicurative.

Risultava dagli atti che erano state prodotte esclusivamente le fotocopie incomplete delle polizze in contestazione, alcune delle quali anche prive di sottoscrizione, sicché non era possibile neppure verificarne la validità.

Tale valutazione, a parere dei Giudici di legittimità, assume carattere preliminare rispetto all’applicazione del principio di non contestazione.

La Corte di merito, infatti, con una valutazione dei fatti sorretta da motivazione logica e priva di contraddizioni – e, in quanto tale, non censurabile in questa sede – è pervenuta alla conclusione secondo cui le odierne parti ricorrenti non avevano assolto al loro fondamentale onere probatorio, avendo prodotto in atti soltanto fotocopie incomplete delle polizze in contestazione, alcune delle quali anche prive di sottoscrizione, sicché non era possibile neppure verificarne la validità. Tale valutazione assume carattere preliminare rispetto all’applicazione del principio di non contestazione, perché intanto si può discutere di “non contestazione” di un documento in quanto sia pacifica l’esistenza dello stesso da un punto di vista giuridico; pertanto, mancando nella specie detto requisito “minimo”, non ha senso invocare in questa sede il suddetto principio”.

Da quanto sopra precisato, quindi, si desume come l’operatività del principio di non contestazione delle risultanze di un documento presupponga necessariamente il requisito dell’esistenza dello stesso da un punto di vista giuridico.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 11 aprile – 28 maggio 2013, n. 13206

(Presidente Berruti – Relatore Cirillo)

Svolgimento del processo

1. Con un primo atto notificato il 27 ottobre 1993 la s.r.l. La Quiete, la s.p.a. CE.DI.SA., la s.r.l. C.T.M., la s.p.a. City Center e l’avv. L.C. citavano in giudizio, davanti al Tribunale di Salerno, la società Cattolica di assicurazione e R.M. per sentire accertare e dichiarare la validità ed efficacia, nei confronti della società convenuta, di dodici polizze assicurative e dei relativi premi corrisposti, con condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.

Sostenevano gli attori, in proposito, che M.R., agente generale per … della società Cattolica di assicurazione, aveva convinto, tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992, l’avv. C. a trasferire presso la sua agenzia il portafoglio di polizze stipulate con altre compagnie e che, a seguito del trasferimento, erano stati stipulati dagli attori contratti di assicurazione con l’agenzia di Salerno per circa due miliardi di lire; da una successiva ispezione amministrativa dell’agenzia, però, era emerso che dodici polizze assicurative non erano state contabilizzate nei relativi registri, tanto che la società Cattolica aveva respinto ogni obbligazione connessa alle medesime.

Nel giudizio si costituivano M.R. e la società Cattolica di assicurazione, la quale rilevava di non aver concesso i poteri di stipula delle polizze e che, comunque, non poteva essere invocato il principio di buona fede, essendo C.C., figlio di L., socio del R.

Con un secondo atto notificato il 23 febbraio 1994 la s.r.l. La Quiete, la s.p.a. CE.DI.SA., la s.r.l. C.T.M., la s.r.l. Le.Ca.Glo., la s.p.a. CE.DI.ME. e la s.r.l. Plinio immobiliare citavano a giudizio, davanti al medesimo Tribunale, la società Cattolica di assicurazione, chiedendo accertarsi l’insussistenza del diritto della convenuta a ricevere il pagamento dei premi relativi ad altre quaranta polizze assicurative.

Rilevavano che, con lettera raccomandata del 22 novembre 1993, esse avevano comunicato alla convenuta di aver provveduto a stipulare nuove polizze con altre compagnie, al fine di evitare la scopertura dei rischi; ciò nonostante, la società Cattolica aveva inviato alla CE.DI.SA quattro diffide di pagamento relative alle polizze nn. (omissis), sicché sussisteva il loro interesse all’accertamento negativo del diritto preteso dalla controparte.

Il Tribunale di Salerno, dopo aver proceduto alla riunione dei due giudizi, accoglieva in parte la domanda avanzata nel primo, dichiarando la validità della sola polizza n. 2403; accoglieva, in parte, la domanda avanzata nel secondo giudizio, dichiarando non dovute le somme richieste dalla società Cattolica a titolo di premi per le polizze nn. 3417, 3418, 2417 e 1478, e compensava integralmente tra le parti le spese di giudizio.

2. Avverso la sentenza di primo grado proponevano appello principale la s.r.l. La Quiete, la s.p.a. CE.DI.SA., la s.r.l. C.T.M., la s.p.a. City Center, la s.r.l. Le.Ca.Glo (in proprio e quale incorporante la s.r.l. Plinio immobiliare), la s.p.a. CE.DI.ME. e l’avv. C.L.

Si costituiva in giudizio il curatore del fallimento di R.M. (dichiarato con sentenza del Tribunale di Salerno del 2003).

La società Cattolica di assicurazione si costituiva e, dopo aver chiesto la sospensione del giudizio in attesa della definizione del processo penale che vedeva imputati, fra gli altri, C.L. e C., proponeva appello incidentale nel quale, con riferimento al secondo giudizio, assumeva di non aver mai contestato le quaranta polizze aggiungendo che, comunque, il recesso comunicato con la lettera raccomandata del 22 novembre 1993 poteva avere effetto soltanto dopo la scadenza delle polizze, sicché il pagamento dei premi era dovuto fino a quella data. Impugnava, poi, il capo della prima sentenza con cui era stata riconosciuta la validità della polizza n. ….

Con sentenza depositata il 3 aprile 2009 la Corte d’appello di Salerno così provvedeva: dichiarava inammissibili alcune domande risarcitorie proposte dagli appellanti principali; rigettava l’appello principale; accoglieva l’appello incidentale e, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, rigettava anche la domanda di accertamento di validità della polizza n. XXXX, dichiarando altresì non dovuti i premi relativi alle quaranta polizze del secondo giudizio “a partire dalla data di naturale scadenza di ciascun contratto, successiva alla disdetta inviata in data 22 novembre 1993”; confermava, nel resto, l’impugnata sentenza e condannava gli appellanti principali al pagamento delle spese del grado.

Osservava la Corte territoriale che doveva essere dichiarata inammissibile, siccome nuova, la domanda di risarcimento del danno, proposta solo con l’atto di appello, pari all’ammontare dei premi di assicurazione asseritamente corrisposti; ciò in quanto la domanda avanzata nel primo giudizio aveva ad oggetto la declaratoria di validità ed efficacia di dodici polizze assicurative, per cui nessun danno poteva derivare dal versamento dei premi, da ritenere “valido e doveroso corrispettivo di valide coperture di rischi”, sicché chiedere come risarcimento l’ammontare dei premi versati risultava essere una domanda fondata su diversa causa petendi.

Allo stesso modo, doveva ritenersi inammissibile la domanda di accertamento della responsabilità di M..R. per la mancata efficacia delle medesime polizze, non essendo stata tale inefficacia neppure ipotizzata in primo grado.

Quanto al merito delle domande reputate ammissibili, la Corte salernitana osservava che la documentazione prodotta dalle parti appellanti principali nel primo dei due giudizi era del tutto insufficiente, in quanto costituita da fotocopie, contestate dalle controparti ed incomplete; per cui, “prima ancora di discutere dell’efficacia di tali pretesi contratti di assicurazione nei confronti della società Cattolica”, doveva “prendersi atto che non è dato verificarne la stessa validità, mancando i necessari elementi di valutazione”; il che comportava il rigetto dell’appello principale e l’accoglimento di quello incidentale in riferimento all’unica polizza della quale il Tribunale aveva dichiarato la validità.

Quanto, invece, al secondo giudizio, la Corte d’appello notava che con le lettere datate 22 novembre 1993 gli odierni appellanti non avevano esercitato alcun recesso, bensì si erano limitati a dare disdetta dei contratti, così impedendone il tacito rinnovo alla naturale scadenza; sicché l’obbligo di pagamento dei premi poteva considerarsi cessato soltanto “alla scadenza di ciascuno dei contratti dedotti in giudizio, e non prima”.

3. Avverso la sentenza d’appello propongono ricorso per cassazione la s.r.l. La Quiete, la s.p.a. CE.DI.SA., la s.r.l. C.T.M., la s.p.a. City Center, la s.r.l. Le.Ca.Glo (in proprio e quale incorporante la s.r.l. Plinio immobiliare), la s.p.a. CE.DI.ME. e l’avv. C.L., con atto affidato a tre motivi.

Resistono con separati controricorsi la società cooperativa Cattolica di assicurazione e M.R.

All’udienza del 24 ottobre 2012, originariamente fissata, il difensore dei ricorrenti ha chiesto un breve differimento, sicché la trattazione del ricorso è stata rinviata alla successiva udienza dell’11 aprile 2013.

Le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione

1.1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta contraddittorietà della motivazione in ordine alla declaratoria di inammissibilità delle domande risarcitorie proposte.

Osservano i ricorrenti che dalla lettura della comparsa conclusionale del giudizio di primo grado risulta testualmente, oltre alla richiesta di dichiarare la piena validità ed efficacia delle dodici polizze in questione, anche la richiesta di condanna delle parti convenute al risarcimento del danno “in misura pari all’ammontare dei premi pagati”; sicché è evidente che la domanda in questione non può ritenersi nuova. Analogamente, la richiesta di risarcimento danni nei confronti di M..R. era stata avanzata già nell’atto di citazione del giudizio di primo grado.

1.2. Il motivo non è fondato.

Anche volendo prescindere dal rilievo formale per cui le parti ricorrenti pongono in termini di vizio di motivazione una censura che dovrebbe essere formulata come violazione di legge o come error in procedendo, resta il dato insuperabile per cui la motivazione della Corte d’appello resiste comunque alla critica avanzata col motivo in esame.

La sentenza impugnata, infatti, con motivazione correttamente argomentata e priva di contraddizioni, ha ricordato che nel primo dei due giudizi poi riuniti l’oggetto della domanda era costituito dalla dichiarazione di piena validità ed efficacia delle dodici polizze assicurative richiamate nell’atto di citazione.

Rispetto a questa domanda, è evidente che quella di risarcimento del danno pari all’ammontare dei premi corrisposti, così come quella finalizzata all’accertamento della responsabilità del R. per la mancata efficacia delle polizze medesime, non poteva che essere nuova, in quanto intrinsecamente contraddittoria rispetto all’oggetto del giudizio. Non è possibile, in altre parole, chiedere il riconoscimento di validità delle polizze e, nello stesso tempo, chiedere anche il risarcimento consistente nella restituzione di quanto pagato a quel titolo, perché la restituzione presuppone il carattere indebito del versamento. Correttamente, quindi, la Corte d’appello è pervenuta alla conclusione per cui – nella prospettazione contenuta nell’atto di citazione – il versamento dei premi di assicurazione era da ritenere “valido e doveroso corrispettivo di valide coperture di rischi”, con conseguente novità della domanda risarcitoria (restitutoria). Né a diversa conclusione può giungersi in relazione alla domanda avanzata contro il R. ; anche volendo ammettere – come si sostiene in ricorso – che essa sia stata formulata fin dall’atto di citazione, poiché la domanda era di accertamento di validità delle polizze, il risarcimento del danno nei confronti del R. doveva fondarsi sul presupposto della legittimità dei versamenti, sicché l’eventuale responsabilità del convenuto non poteva che conseguire al mancato riconoscimento dell’efficacia e non alla natura indebita del versamento.

Correttamente, dunque, la Corte salernitana è pervenuta alla conclusione della novità delle domande in questione, delle quali ha dichiarato la conseguente inammissibilità.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. e dei principi di disponibilità della prova e di non contestazione.

Si osserva che nel caso di specie le controparti non hanno mai contestato che le polizze assicurative in esame fossero state effettivamente stipulate tra i ricorrenti e l’agenzia di Salerno di cui era agente M..R. . Ciò che era in contestazione, semmai, era la validità ed opponibilità delle polizze nei confronti della società Cattolica di assicurazione, ma non la loro esistenza.

Pertanto, il giudice di appello avrebbe dovuto decidere considerando un fatto acquisito l’avvenuta stipulazione delle dodici polizze in contestazione.

2.2. Il motivo non è fondato.

Il principio di non contestazione costituisce, ormai, un pacifico approdo della giurisprudenza di questa Corte; tuttavia, esso non può essere applicato al caso di specie.

La Corte di merito, infatti, con una valutazione dei fatti sorretta da motivazione logica e priva di contraddizioni – e, in quanto tale, non censurabile in questa sede – è pervenuta alla conclusione secondo cui le odierne parti ricorrenti non avevano assolto al loro fondamentale onere probatorio, avendo prodotto in atti soltanto fotocopie incomplete delle polizze in contestazione, alcune delle quali anche prive di sottoscrizione, sicché non era possibile neppure verificarne la validità. Tale valutazione assume carattere preliminare rispetto all’applicazione del principio di non contestazione, perché intanto si può discutere di “non contestazione” di un documento in quanto sia pacifica l’esistenza dello stesso da un punto di vista giuridico; pertanto, mancando nella specie detto requisito “minimo”, non ha senso invocare in questa sede il suddetto principio.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta omessa motivazione in ordine alla qualificazione come disdetta del recesso operato dalle ricorrenti.

Rilevano i ricorrenti, al riguardo, che tale questione è stata liquidata “in poche righe” dal giudice di secondo grado, sicché non è dato comprendere come la Corte d’appello sia giunta alla conclusione per cui il recesso non sarebbe stato effettivamente esercitato.

3.2. Il motivo è inammissibile.

Anche volendo prescindere, infatti, dalla mancata formulazione del necessario momento di sintesi, analogo al quesito di diritto, che la censura di vizio di motivazione deve contenere – trattandosi di ricorso soggetto, ratione temporis, al regime dell’art. 366 bis cod. proc. civ. – il motivo in esame è del tutto generico, né tiene conto della motivazione della Corte d’appello. La sentenza impugnata, invece, ha dato conto con adeguata motivazione delle ragioni per le quali non poteva considerarsi esercitato alcun diritto di recesso, bensì soltanto il diritto di disdetta alla naturale scadenza in modo da impedire il tacito rinnovo; con la conseguenza che l’accoglimento del motivo dovrebbe necessariamente presupporre una nuova valutazione del materiale probatorio esistente, attività preclusa a questa Corte.

4. In conclusione, il ricorso è rigettato.

In considerazione dei diversi esiti dei giudizi di merito e della particolarità della vicenda, connotata anche da risvolti di natura penale, si ritiene di dover compensare integralmente le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

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