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Clausole vessatorie nei contratti business to business: quando è sufficiente la tutela prevista dal Codice Civile

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Quando si pensa alle cd. clausole vessatorie viene spontaneo pensare ai contratti tra professionista e consumatore, dimenticando che il codice civile, agli artt. 1341 e 1342, tutela il contraente debole anche nel caso dei rapporti business to business.

 

Di tale profilo si è da ultimo occupata la Cassazione, con la pronuncia n. 2970/12, avente ad oggetto un contratto di appalto.

Nei precedenti gradi di giudizio la società attrice era stata dichiarata decaduta dall’azione proposta, in quanto la stessa non aveva promosso il giudizio entro il termine di 45 giorni dalla comunicazione dell’altra parte di rifiuto della istanza di arbitrato, termine previsto a pena di decadenza dall’art. 18 delle condizioni generali di contratto.

In particolare risultava che tale clausola era stata approvata per iscritto insieme ad altre clausole, alcune vessatorie altre no.

La Suprema Corte ha deciso di cassare la sentenza di secondo grado, ritenendo che “costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio pienamente condivide, il principio che l’adempimento della specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatore può dirsi assolto soltanto quando le stesse siano oggetto di una approvazione separata, specifica ed autonoma, distinta dalla sottoscrizione delle altre condizioni dell’accordo; il requisito in parola assolve infatti al fine di richiamare l’attenzione del contraente debole verso il significato di quella determinata e specifica clausola a lui sfavorevole, sicché esso può reputarsi assolto soltanto quando la sottoscrizione avviene con modalità idonee a garantire tale attenzione (Cass. n. 21816 del 2009; Cass. n. 5733 del 2008; Cass. n. 2077 del 2005)”.

Più specificatamente, con riferimento all’ipotesi in cui la distinta sottoscrizione richiami più condizioni generali di contratto, questa Corte ha affermato che l’adempimento in parola può ritenersi realizzato soltanto nel caso in cui tutte le clausole richiamate siano vessatorie, mentre il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e la sottoscrizione indiscriminata di esse, sia pure sotto l’elencazione delle stesse secondo il numero d’ordine, non determina la validità ed efficacia, ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ., di quelle onerose, non potendosi ritenere che in tal caso resti garantita l’attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole compresa fra le altre richiamate (Cass. n. 16417 del 2009; Cass. n. 4452 del 2006; Cass. n. 13890 del 2005)”.

Per i giudici di Piazza Cavour, quindi, l’elemento che fa la differenza nei contratti stipulati tra professionisti, ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, c.c., è la natura delle clausole coinvolte: se esse sono tutte vessatorie è sufficiente una sola sottoscrizione cumulativa, se invece sono miste no, in quanto viene meno la garanzia che il contraente conosca il contenuto della clausola sfavorevole.

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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 24 gennaio – 27 febbraio 2012, n. 2970

 

(Presidente Schettino – Relatore Bertuzzi)

Svolgimento del processo

La A.T.P. s.r.l. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna il C. A. V. E. T., lamentando un inadempimento del contratto di appalto stipulato tra le pari in data 25 novembre 1997 e chiedendo che fosse accertata l’illegittimità del recesso della controparte e che questa fosse condannata all’adempimento ed al pagamento dell’indennità prevista dall’art. 19 del contratto. Il Tribunale dichiarò la società attrice decaduta dall’azione proposta, rilevando che la stessa non aveva promosso il giudizio entro il termine di 45 giorni dalla comunicazione dell’altra parte di rifiuto della istanza di arbitrato, termine previsto a pena di decadenza dall’art. 18 delle condizioni generali di contratto che, essendo stato approvato specificatamente per iscritto dall’istante, era pienamente efficace.

Interposto gravame, con sentenza n. 1201 del 9 ottobre 2009 la Corte di appello di Bologna confermò integralmente la decisione impugnata, osservando che la clausola contrattuale applicata era valida per essere stata specificatamente approvata per iscritto dall’appellante insieme ad altre clausole, richiamate per numero e per titolo, tutte di contenuto vessatorio, e, sotto altro profilo, che la clausola in questione non era nulla in quanto, stabilendo un termine di decadenza e non di prescrizione, si sottraeva al divieto di derogabilità posto dall’art. 2936 cod. civ. ed era tale, quanto al suo oggetto, da non rendere eccessivamente difficile, con riferimento al termine in essa previsto, l’esercizio del diritto, a mente dell’art. 2965 cod. civ., considerato che essa presupponeva la presentazione dell’istanza di arbitrato, vale a dire la predisposizione di un atto che, contenendo già l’esposizione delle domande e dei fatti costituitivi delle stesse, era sostanzialmente sovrapponibile al successivo atto di citazione in giudizio. Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 22 marzo 2010, ricorre la società A.T.P., affidandosi a cinque motivi. Resiste con controricorso il C. A. V. E. T.. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Parte ricorrente ha depositato in udienza note scritte di replica alle conclusioni del Procuratore generale.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 1341, comma 2, cod. civ., assumendo che la Corte di appello ha errato nel ritenere valida la clausola contrattuale contenente la decadenza dall’azione in ragione della sua sottoscrizione cumulativa, sul presupposto che tutte le clausole richiamate avessero natura vessatoria. Tali, in particolare, non potevano ritenersi le clausole contrattuali disciplinanti il corrispettivo, i tempi di esecuzione del contratto e le penali e la risoluzione del rapporto e, tra le condizioni generali, quella attinente alla documentazione ed al criterio di prevalenza, di conoscenza delle condizioni di esecuzione, in materia di inadempienze, penalità e risoluzione del contratto, garanzie responsabilità verso terzi e obbligo di riservatezza. Ne deriva che, interessando il richiamo cumulativo clausole miste, alcune vessatorie ed altre no, non poteva considerarsi rispettato nel caso di specie l’onere della specifica approvazione per iscritto, tenuto conto del principio, più volte affermato dalla giurisprudenza, secondo cui il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e la sottoscrizione indiscriminata di esse, sia pure sotto l’elencazione delle stesse secondo il numero d’ordine, non determina la validità ed efficacia, ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ., di quelle onerose, non potendosi ritenere che in tal caso sia garantita l’attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole compresa fra le altre richiamate. Il mezzo è fondato.

La Corte bolognese ha dichiarato la validità ed efficacia della clausola in tema di risoluzione delle controversie contenuta nelle condizioni generali di contratto predisposte dalla committente (art. 18) affermando che il requisito di forma della sua specifica approvazione per iscritto, richiesto a pena di nullità dall’art. 1341, comma 2, cod. civ., era stato osservato per avere il contraente sottoscritto in calce al contratto una dichiarazione di accettazione che faceva espresso riferimento sia a tale clausola, indicandola con il numero ed il titolo, che ad alcune clausole contrattuali e ad altre condizioni generali, tutte di carattere vessatorio.

Questa conclusione non merita di essere condivisa.

Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio pienamente condivide, il principio che l’adempimento della specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatore può dirsi assolto soltanto quando le stesse siano oggetto di una approvazione separata, specifica ed autonoma, distinta dalla sottoscrizione delle altre condizioni dell’accordo; il requisito in parola assolve infatti al fine di richiamare l’attenzione del contraente debole verso il significato di quella determinata e specifica clausola a lui sfavorevole, sicché esso può reputarsi assolto soltanto quando la sottoscrizione avviene con modalità idonee a garantire tale attenzione (Cass. n. 21816 del 2009; Cass. n. 5733 del 2008; Cass. n. 2077 del 2005). Più specificatamente, con riferimento all’ipotesi in cui la distinta sottoscrizione richiami più condizioni generali di contratto, questa Corte ha affermato che l’adempimento in parola può ritenersi realizzato soltanto nel caso in cui tutte le clausole richiamate siano vessatorie, mentre il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e la sottoscrizione indiscriminata di esse, sia pure sotto l’elencazione delle stesse secondo il numero d’ordine, non determina la validità ed efficacia, ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ., di quelle onerose, non potendosi ritenere che in tal caso resti garantita l’attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole compresa fra le altre richiamate (Cass. n. 16417 del 2009; Cass. n. 4452 del 2006; Cass. n. 13890 del 2005).

La Corte di appello ha disatteso tali principi.

Dalla stessa lettura della sentenza impugnata risulta che la sottoscrizione della clausola in discorso è avvenuta cumulativamente mediante richiamo sia a clausole del contratto, che ad altre condizioni generali. Già tale dato appare invero sufficiente a ritenere non rispettato l’adempimento della specifica approvazione per iscritto, tenuto conto che il richiamo misto di clausole vessatore e di clausole contrattuali, vale a dire di disposizioni non predisposte unilateralmente da una parte, ma, in quanto contrattuali, da entrambi i contraenti, non assolve alla funzione di fermare l’attenzione del contraente sul contenuto ed il significato della clausola vessatoria. La decisione di secondo grado appare inoltre errata con riferimento all’affermazione che il richiamo cumulativo alle condizioni generali integrerebbe nel caso di specie il requisito di forma richiesto dalla legge in considerazione del rilievo che tutte le clausole richiamate sarebbero vessatorie. In particolare, è quest’ultima considerazione ad apparire non condividibile. Ed infatti tra le condizioni generali richiamate la stessa Corte indica l’art. 4.2 (criteri di prevalenza), che in caso di prescrizioni alternative o discordanti, rimette alla committente la facoltà di ordinare quella da eseguire, l’art. 6 in tema di conoscenza delle condizioni di esecuzione e dei corrispettivi, l’art. 22.4 in tema di garanzie, l’art. 23, in materia di responsabilità verso terzi, e l’art. 29, circa l’obbligo di riservatezza gravante sul contraente, clausole che non hanno invece carattere vessatorio, dal momento che regolano facoltà ed aspetti del rapporto diversi da quelli presi in considerazione dall’art. 1341, comma 2, cod. civ., la cui tipologia, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, ha carattere tassativo. Risulta pertanto anche in questo caso disatteso il principio sopra richiamato, che esclude che possa valere come specifica approvazione per iscritto il richiamo in blocco da parte del contraente delle condizioni generali di contratto predisposte unilateralmente dall’altra parte, nel caso in cui tale rinvio comprenda anche clausole non vessatorie. Per queste ragioni, il primo motivo di ricorso va accolto. Gli altri motivi, che lamentano, sotto il medesimo ed altri profili, la mancata declaratoria di nullità della clausola che prevede il termine di proposizione dell’azione in giudizio, si dichiarano assorbiti.

La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa è rinviata ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna, che si adeguerà, nel decidere, ai principi di diritto sopra enunciati e provvederà anche alla liquidazione delle spese.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese, ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.

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