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Con l'ordinanza n. 7965/12 la Suprema Corte di occupa di un caso di licenziamento determinato dall'omessa emissione di scontrini fiscali da parte di un dipendente (cassiere) di una tabaccheria.

Tale condotta era altresì aggravata da alcuni ammanchi di cassa, seppur minimi, che avevano indotto il datore di lavoro ad irrogare la sanzione massima, ritenendo non più proseguibile il rapporto di lavoro tra le parti.

La decisione. Partendo dal presupposto che “l'attribuzione delle mansioni di cassiere è indice di un particolare livello di fiducia, da parte del datore di lavoro, cui deve corrispondere una particolare diligenza nello svolgimento dei corrispondenti compiti”, i giudici di legittimità hanno ritenuto legittimo il licenziamento de quo.

In altre parole, l'omessa emissione di scontrini fiscali, unita ad alcuni ammanchi di cassa verificatisi in pendenza del rapporto di lavoro, hanno determinato il venir meno della fiducia tra le parti e il conseguente licenziamento del lavoratore.

A nulla, infine, rileva la circostanza secondo cui il licenziamento sarebbe illegittimo, in quanto la condotta tenuta dal lavoratore non era stata inserita preventivamente nel codice disciplinare.

Sul punto, gli Ermellini hanno statuito “che la condotta posta in essere dal lavoratore è da considerare di per sè in contrasto con i fondamentali doveri connessi al rapporto di lavoro (del cassiere) e comunque contrario al cd. minimo etico per l'evidente disvalore dell'infrazione immediatamente percepibile dal lavoratore (Cass. 21 luglio 2011, n. 16061; Cass. 27 gennaio 2011, n. 1926; Cass. 8 gennaio 2007, n. 56; Cass. 2 settembre 2004, n. 17763)”.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI CIVILE

Ordinanza 18 maggio 2012, n. 7965

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 13 gennaio 2012 la proposta di definizione, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., dal seguente tenore:

“1.- La sentenza attualmente impugnata rigetta l'appello incidentale della M. P. s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 15114/04 del 20 agosto 2004 e, in accoglimento dell'appello principale di I.E., riforma parzialmente la suddetta sentenza annullando il licenziamento intimato allo I. perchè ingiustificato e ordinando la reintegrazione dell'appellante nel posto di lavoro precedentemente occupato, con le conseguenti pronunce risarcitorie.

2- La Corte d'appello di Roma precisa che: 1) l'omesso rilascio di scontrini fiscali ai clienti in seguito all'acquisto di sigarette non costituisce di per sè mancanza tale da giustificare il recesso in tronco sia perchè la L. n. 696 del 1990 esclude un simile obbligo per tutte le “gestioni di tabacchi e altri beni commercializzati esclusivamente dai monopoli di Stato”, sia perchè tale condotta può dipendere da mera colpa e non da dolo del lavoratore e comunque non è stato provata l'esistenza di un obbligo specifico in tal senso a carico del lavoratore, specialmente con riguardo all'affissione di un codice disciplinare ove fosse prevista la suddetta sanzione; 2) è anche fondato il motivo di appello del lavoratore riguardante la mancata attribuzione dell'intera somma dovuta per il periodo di accertata nullità dell'apprendistato e di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (dal 15 agosto 2001); 3) è, invece, da respingere la censura dello I. circa la trattenuta per l'ammanco perchè l'ammanco in quanto tale non è contestato, mentre il prestatore di lavoro non ha assolto l'onere della prova a suo carico relativo all'avvenuta restituzione; 4) ai fini della tutela risarcitoria conseguente all'invalidità del licenziamento – da limitare entro il triennio dall'intimato recesso – va tenuto conto di quanto percepito dal lavoratore in seguito al nuovo rapporto di lavoro, dallo stesso dichiarato.

3.- Il ricorso della M. P. s.r.l. domanda la cassazione della sentenza per sette motivi motivi; I.E. non svolge attività difensiva.

4.- I motivi del ricorso possono essere così sintetizzati:

1) violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 cod. civ., della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5 nonchè dell'art. 2697 cod. civ.;

2) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Con questi due motivi si rileva che la Corte d'appello ha dato esclusivo rilievo alla mancata emissione degli scontrini fiscali a seguito della vendita di sigarette, ma non ha considerato l'accertata sottrazione di denaro da parte del dipendente, del pari contestata.

Conseguentemente, il comportamento del lavoratore non è stato valutato nella sua globalità e non si è tenuto conto delle ricadute di tale comportamento sul rapporto di fiducia esistente con il datore di lavoro. Nè si è considerato che, in base alla giurisprudenza di legittimità, in casi del genere, anche se il danno patrimoniale è di lieve entità, ricorrono gli estremi della giusta causa di licenziamento, data la particolare fiducia riposta da parte del datore di lavoro nel cassiere, e non è necessaria la preventiva affissione del codice disciplinare, visto che si tratta di comportamento che costituisce reato o comunque si pone in contrasto con l'etica comune.

3) Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 e della L. n. 604 del 1966, art. 8. 4) Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si rileva che la Corte romana – senza alcuna esplicitazione motivazionale sul punto ha ritenuto di applicare la cd. tutela reale benchè la società, fin dal primo grado del giudizio, aveva provato di avere meno di quindici dipendenti (allegando copia del libro matricola) e il suddetto requisito dimensionale non era mai stato oggetto di contestazione da parte del lavoratore.

5) Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 nonchè dell'art. 1227 cod. civ. e del connesso principio dell'aliunde perceptum.

6) Contraddittorietà della motivazione.

Si sostiene l'illogicità della statuizione della Corte d'appello di estensione del risarcimento per un triennio successivo al licenziamento, cioè per un periodo di tempo molto più ampio rispetto a quello impiegato dal lavoratore per trovare una nuova occupazione, come dallo stesso dichiarato.

7) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ.

Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si sostiene che la Corte romana, nel considerare accertata nullità dell'apprendistato e di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (dal 15 agosto 2001), non ha minimamente tenuto conto delle risultanze istruttorie complessivamente emerse e ha travisato i principi connessi all'applicazione dell'art. 2697 cod. civ., secondo cui deve essere il lavoratore a dimostrare l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Tanto più che, nella specie, la società era stata autorizzata ad assumere quattro apprendisti con la qualifica di cassiere sulla base del c.c.n.l. per i pubblici esercizi, prevedente la durata triennale del contratto di apprendistato, il che significa che l'inserimento del lavoratore doveva essere finalizzato non solo all'apprendimento tecnico, ma anche allo svolgiment

o di un lavoro subordinato.

5.-I primi due motivi sono fondati, per le seguenti ragioni:

a) le nozioni di giusta causa del licenziamento e proporzionalità della sanzione disciplinare, sono nozioni “elastiche”, che la legge, per adeguare la normativa alle articolazioni e mutevolezze della realtà, configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che le stesse disposizioni tacitamente richiamano;

b) tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è, quindi, deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, ovvero a far sussistere la proporzionalità tra infrazione e sanzione, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice del merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici;

c) pertanto, l'operazione valutativa compiuta dal giudice del merito nell'applicare le clausole generali come quelle previste nell'art. 2119, o nell'art. 2106 cod. civ., non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell'applicazione della clausola generale, poichè l'operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla disciplina particolare (anche collettiva) in cui la fattispecie si colloca (Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144; Cass. 25 ottobre 2011, n. 22129);

d) nel caso in esame la Corte territoriale, nel considerare insussistente, nella specie, la giusta causa del licenziamento ha omesso di prendere in considerazione gli orientamenti consolidati e condivisi di questa Corte, secondo cui l'attribuzione delle mansioni di cassiere è indice di un particolare livello di fiducia, da parte del datore di lavoro, cui deve corrispondere una particolare diligenza nello svolgimento dei corrispondenti compiti;

e) in questo ambito, la mancata emissione degli scontrini fiscali (anche in assenza di uno specifico obbligo legislativo in tal senso), che si traduce nella mancata registrazione dei corrispondenti incassi – pur potendo, già di per sè, integrare un comportamento di pericolo prodromico ad eventuali possibili appropriazioni indebite, da parte del cassiere – può costituire un comportamento idoneo a giustificare l'irrogazione della massima sanzione disciplinare ovvero un comportamento tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro ove, come nella specie, sia accertato e non contestato che oltre all'omessa scontrinazione vi siano stati degli ammanchi in cassa (la cui restituzione sia posta dal giudice a carico del lavoratore), a prescindere dalla relativa entità (Cass. 9 luglio 2008, n. 18821; Cass. 21 gennaio 2011, n. 1459; Cass. 18 settembre 2009, n. 20270);

f) anche, con riguardo all'elemento soggettivo della condotta, la Corte romana non ha considerato che lo I. non poteva non avere consapevolezza dell'esatta portata della propria condotta e detto specifico comportamento non può non essere considerato fatto connotato da colpa grave, anche se non era emerso un intento fraudolento (vedi, per tutte: Cass. 14 marzo 2005, n. 5504);

g) tanto più che, diversamente da quanto affermato dal Giudice del merito, la preventiva affissione del codice disciplinare avrebbe dovuto essere considerata ininfluente, visto che la condotta posta in essere dal lavoratore è da considerare di per sè in contrasto con i fondamentali doveri connessi al rapporto di lavoro (del cassiere) e comunque contrario al cd. minimo etico per l'evidente disvalore dell'infrazione immediatamente percepibile dal lavoratore (Cass. 21 luglio 2011, n. 16061; Cass. 27 gennaio 2011, n. 1926; Cass. 8 gennaio 2007, n. 56; Cass. 2 settembre 2004, n. 17763);

Per le suesposte ragioni i motivi in oggetto vanno accolti in quanto la Corte territoriale, in contrasto con la normativa invocata come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, ha escluso, con motivazione lacunosa e contraddittoria, che il comportamento tenuto dallo I., valutato nel suo complesso e in considerazione delle particolari mansioni svolte, sia stato idoneo a ledere il vincolo fiduciario che deve intercorrere tra le parti del rapporto di lavoro, facendo venir meno la possibilità di ipotizzare un comportamento improntato a regole di correttezza nel prosieguo del rapporto.

6.- All'accoglimento dei primi due motivi consegue l'assorbimento del terzo, quarto, quinto e sesto motivo, data l'inutilità del relativo esame.

7.- Il settimo motivo deve essere dichiarato manifestamente inammissibile.

Va, infatti, osservato che con tale motivo la ricorrente nella sostanza contesta la valutazione delle risultanze probatorie operata dalla Corte d'appello in merito al contratto di apprendistato senza tenere conto del consolidato e condiviso principio secondo cui in tema la valutazione delle risultanze probatorie, il giudizio sulla rilevanza da attribuire ai vari elementi di prova e la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito e sono apprezzabili, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dovendo emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n. 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).

Nella specie le deposizioni testimoniali di cui si lamenta l'erroneo esame sono riportate solo parzialmente e, nel contempo, non è trascritta nè allegata la contrattazione collettiva cui si fa riferimento.

8.- In conclusione, il ricorso appare manifestamente fondato quanto ai primi due motivi, assorbiti il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo, mentre è manifestamente inammissibile quanto al settimo motivo”;

che, quindi, il relatore ha proposto la trattazione del ricorso in camera di consiglio, in applicazione dell'art. 376 c.p.c., art. 380 c.p.c., comma 6, n. 5 e art. 375 cod. proc. civ.

Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ.;

che, pertanto, il primo e il secondo motivo del ricorso vanno accolti, il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo vanno dichiarati assorbiti e il settimo motivo va dichiarato inammissibile;

che, quindi, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso, dichiara assorbiti il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo e dichiara inammissibile il settimo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione.

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